Dike

Post N° 179


QUANDO L’EMARGINAZIONE DIVENTA UN’ATTENUANTE Una persona lega un’altra mani e piedi e con un corpo contundente (una bottiglia di liquore) gli infligge numerosi colpi al cranio, che ne causano la morte. La vittima, tuttavia, non muore subito, ma resta agonizzante per ore, mentre il suo carnefice sta a guardarla, indifferente per quell’agonia, e non prova l'umana pietà di chiamare i soccorsi nemmeno vedendo la vittima ridotta in quello stato. Poi l’assassino fugge, rubando anche denaro e oggetti (un televisore al plasma, un ciondolo, un computer portatile e un palmare).L’assassino viene identificato solo grazie alle preziose descrizioni di un testimone: è un immigrato irregolare rumeno di 21 anni, che vive di espedienti; l’uomo è arrestato, processato e condannato a 17 anni e 6 mesi per omicidio volontario. La Procura generale della Corte d'Assise competente presenta ricorso in Cassazione contro la pronuncia della Corte d’Assise d’appello, asserendo che il giudice di merito, pur definendo il delitto commesso come “particolarmente efferato” (come si legge nelle motivazioni della sentenza)  non ha ritenuto di conteggiare l’aggravante della crudeltà, ma ha riconosciuto al reo uno sconto di pena, concedendogli le attenuanti generiche dall'art. 62 bis del codice penale, venendo meno all'obbligo di indicare le ragioni per la quali ha ritenuto di riconoscere le stesse. Nei giorni scorsi la prima sezione penale della Suprema Corte, con sent n.957, pur senza pronunciarsi sul merito – perché ciò "si risolverebbe in una valutazione del fatto"- respinge il ricorso presentato dalla Procura e conferma il riconoscimento dell’attenuante generica, rilevando  che il giudice di merito ha opportunamente considerato le attenuanti tenendo presente «la giovane età dell'imputato, la sua arretratezza culturale e la sua situazione di emarginazione sociale conseguente allo stato di clandestino, senza uno stabile lavoro e senza uno stabile riferimento in Italia». Le attenuanti generiche e le aggravanti della ferocia del delitto si sono risolte per la Suprema Corte in una "valutazione di equivalenza". Dunque, se l’omicidio fosse stato commesso da un normale cittadino, non “abbruttito”, probabilmente l’aggravante della crudeltà sarebbe stata conteggiata. Invece, dato che il delitto è stato commesso da un clandestino “abbruttito”, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittima la decisione del giudice di merito di non riconoscergli l'aggravante della crudeltà, ma di riconoscergli le attenuanti generiche.L’abbruttimento, determinato dalla “emarginazione sociale e arretratezza culturale”, diventa dunque – per la Cassazione- una sorta di nuova attenuante nell’ambito del processo penale. In punto di diritto nulla da dire, poiché l'art. 62 bis cp  prevede la concessione di attenuanti in base a valutazioni discrezionali del giudice. Qualcuno tuttavia potrebbe anche domandarsi, legittimamente, se nel nostro ordinamento sia ancora vigente il principio di eguaglianza, se la legge sia davvero uguale per tutti, se esista ancora certezza del diritto e, soprattutto, certezza della pena.La domanda che mi pongo è questa: se davvero la legge è eguale per tutti gli esseri umani che si trovano sul territorio nazionale, allora anche agli italiani indigenti ed abbruttiti che si rendessero rei di delitti efferati dovrebbe/potrebbe essere applicata l’attenuante dell’emarginazione sociale?Pur con il massimo rispetto nei confronti delle alte magistrature dello Stato, spero che l’emarginazione e il conseguente abbruttimento sociale non si trasformino, da attenuante in casi eccezionali, in comodo alibi per clandestini che decidono di vivere di espedienti, confidando poi nella clemenza discrezionale della corte.