Dike

Post N° 220


TU QUOQUE....?Che vi siano incomprensioni tra politici e loro elettori talora è normale. Ben più grave è quando questa incomprensione si trasforma progressivamente in incomunicabilità.Che vi sia una incomprensione tra certa sinistra e parte della sua base elettorale ce ne eravamo accorti da qualche tempo, ma ne abbiamo avuto attestazione esplicita a gennaio, quando si svolse a Vicenza la manifestazione contro l’ampliamento della base usa di Campo Ederle. In quella occasione, infatti, esponenti di spicco della sinistra radicale, come Diliberto e Giordano, parteciparono alla manifestazione vicentina quasi facendo a gara tra chi, di loro, rappresentasse meglio la sinistra pacifista “senza se e senza ma”, e vi intervennero sfilando accanto a striscioni che chiedevano al governo Prodi di andarsene a casa e che asserivano che “solo gli imbecilli non cambiano idea”.Allora sembrò che il rapporto tra l'Unione e la sua base elettorale, almeno quella più sanguigna, fosse seriamente messo in discussione; ma quegli stessi politici che avevano sfilato a fianco al popolo di Vicenza, dismessi gli abiti rivoluzionari che avevano indossato alla manifestazione, successivamente si presentarono in Senato a votare a favore della mozione D’Alema sull’Afghanistan, disorientando non poco il popolo di Vicenza e i movimenti pacifisti di sinistra.La seduta di Palazzo Madama in cui si votò la mozione D’Alema è un lampante esempio di una sinistra politicamente divisa in materia di politica estera e assai distante dal sedicente popolo della pace. Quella sessione di voto è celebre perché due senatori di estrema sinistra –Franco Turigliatto, di Prc e Fernando Rossi, ex Pdci- si astennero dal votare la mozione, facendo andare il governo in minoranza. La defezione dei due senatori nell’immediatezza procurò ad essi un pioggia di insulti pesanti e grida poco onorevoli da parte dei loro compagni/compagne di partito; successivamente costrinse Prodi a prendere atto che in senato il governo non disponeva della maggioranza e quindi a rassegnare le dimissioni; ed infine indusse il Collegio di Garanzia di Rifondazione comunista ad allontanare dal partito il senatore Franco Turgliatto, in perfetto stile da purghe staliniane.Ieri mattina il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, recandosi alla facoltà di Lettere dell'Università "La Sapienza" di Roma, per partecipare ad un dibattito sulla “cooperazione internazionale e lo sviluppo”, è stato contestato da una cinquantina di studenti  del coordinamento dei collettivi studenteschi universitari di sinistra.A prescindere dagli insulti pesanti mossi a Bertinotti (“assassino”, “guerrafondaio”, "buffone"), dai fischi e dalle urla, che fanno perdere alla contestazione il suo valore propositivo, ciò che ieri mattina si recriminava al Presidente della Camera era il tradimento politico, ovvero il tradimento del mandato elettorale e degli ideali di partito fatto in nome di un compromesso con il nemico.La cosa inquietante è che quel j’acuse proveniva dalla piazza, quella piazza che Bertinotti si è sempre allevato (“se non fossi presidente della Camera sfilerei a Vicenza” diceva ancora due mesi fa), quella piazza dalla vocazione rivoluzionaria,  quella piazza mai troppo rimproverata quando bruciava bandiere alle manifestazioni pacifiste, quella piazza che ieri gli ha presentato il conto delle promesse non mantenute.Non si può non constatare che la sinistra radicale, il cui principio qualificante era il no alla guerra “senza se e senza ma”, da quando è al governo è portavoce di troppi “se” e di troppi “ma”, e che questa incoerenza è dettata dalla strenua volontà di tenere in piedi un governo che altrimenti cadrebbe.Ma la paura di scongiurare una crisi di governo ed un possibile ritorno del centro destra alla guida del paese, vale davvero una abiura dei propri principi guida e una conseguente accusa di tradimento da parte dei propri elettori?La protesta di ieri contro Bertinotti era l’ennesima dimostrazione di una sinistra che manifesta contro se stessa. E ad essa si è dato rilievo perché si è svolta in luogo pubblico e di fronte ai media. Ma vi sono altri malcontenti nella sinistra, tra elettori ed eletti,  che si traducono in reazioni che i media preferiscono fare restare nell’ombra e che tuttavia sono indice di incomprensioni profonde tra elettori e propri rappresentanti al governo.Sabato scorso su Liberazione, quotidiano di Rifondazione Comunista, è comparsa una inserzione, voluta da esponenti del Comitato 17 marzo,  in cui si invitavano “i senatori/trici eletti/e con i voti del popolo no-war” a non coprirsi di vergogna tradendo il mandato elettorale ed a “votare contro il decreto che finanzia le missioni di guerra” e si informava di un sit-in organizzato a questo scopo davanti al Senato per il 27 marzo.
Non è passato nemmeno un giorno da questa inserzione che già i capigruppo di Camera e Senato del Prc, Giovanni Russo Spena e Giovanni Migliore, hanno provveduto a rimproverare pubblicamente  i compagni che legittimamente chiedevano coerenza ai loro eletti ed a rivolgere altresì un rimprovero ai vertici del quotidiano, reo di aver loro dato voce. Spena e Migliore hanno scritto una lettera al quotidiano Liberazione –intitolata: “Un’inserzione volgare e stalinista”- di cui riporto alcuni stralci:“Cari compagni, sentiamo l’urgente bisogno di rivolgervi alcune fraterne domande: com’è potuto succedere che abbiate accettato di pubblicare un’inserzione pubblicitaria che invita ala partecipazione ad un sit-in che chiede ai nostri senatori e alle nostre senatrici di “non coprirsi di vergogna tradendo il mandato elettorale, affinché “votino contro il decreto che finanzia le missioni di guerra”. Com’è possibile che sia sfuggito all’ufficio commerciale, ai grafici, ai redattori, alla direzione del giornale, all’editore, l’intento intimidatorio, stalinista e volgare dell’insulto contenuto in quella inserzione?….. Insomma ci siamo rimasti male, non abbiamo capito e speriamo di non trovarci più a scrivere lettere al giornale. Con affetto.”Come potrete notare questa missiva è una bella lavata di capo ai compagni che hanno osato chiedere ai loro eletti di rispettare il mandato elettorale.  Il contenuto della inserzione fatta pubblicare dal "Comitato 17 marzo" viene definito dai due politici di Prc come un insulto “intimidatorio, stalinista e volgare”. Non posso non rilevare con meraviglia  il senso negativo con cui si sia usato il termine stalinista da parte di esponenti di un partito che di StaLin è figlio; un figlio che non ha mai troppo criticato il genitore.Ma soprattutto non posso non rilevare il pesante rimprovero mosso a tutti gli operatori del quotidiano, da coloro che si occupano dell’ufficio commerciale fino alla direzione e all’editore.Dissidenti? Schegge dell’estrema sinistra che rifiutano la politica e la non violenza? Compagni che portano avanti insulti intimidatori stalinisti e volgari? Questi sono gli appellativi coniati per chi non si allinea a ciò che il partito dispone ed impone.Ma è davvero così? Si tratta davvero solo di proteste fini a se stesse, di una sorta di “protesto, dunque esisto”, oppure ci troviamo di fronte a partiti che non sanno più ascoltare una parte importante della propria base elettorale e in nome dell’attaccamento allo scranno talora la raggirano fino al punto da rendersi vittime dei loro stessi figli?