Dike

Post N° 228


L’ “IRISMO” PRODIANO ANCHE IN TELECOM  Le ultime vicende di Telecom italia ci stanno mostrando il vero volto dello pseudo liberismo del governo Prodi.L’Americana At&t, che aveva di recente lanciato, assieme alla messicana America Movil, un’Opa del 66% del capitale di Olimpia, la holding che con il 18% controlla Telecom Italia, ha deciso di ritirare la propria offerta sul 33% della stessa Olimpia per “regulatory uncertainty”, ossia per incertezza delle regole e per le pesanti interferenze del governo sulle vicende di una società quotata in borsa.L’exit strategy di At&t da Telecom dimostra inequivocabilmente il fallimento del nostro mercato oltre ad un discredito dello stesso di cui il Paese avrebbe fatto volentieri a meno.Molto dure sono state, in merito alla vicenda At&t-Telecom, le parole dell’ambasciatore americano a Roma, Spogli, il quale, in una conferenza stampa ha dichiarato che in Italia c’è “una lunga tradizione di intervento pubblico nell'economia, con una presenza molto forte del Governo dell'economia”. L’ambasciatore americano è stato particolarmente duro nel suo giudizio quando ha detto che nei prossimi anni  “sarà molto importante per gli italiani scegliere se questo è il sistema che vogliono per il futuro” poiché, “il livello di investimenti Usa in questo Paese è molto basso rispetto a Germania, Francia e Spagna e uno dei motivi storici è che non si è mai capito se le regole siano uguali per tutti”.Ma le critiche all’ingerenza del chaveziano governo Prodi nella vicenda Telecom non ci giungono solo dagli Stati Uniti. Anche gli analisti londinesi, commentando l’atteggiamento del governo tialiano nella vicenda telecom ha calcato ancora di più la mano, parlano di “altro esempio di cattivo capitalismo all'italiana”.Anche da Bruxelles giunge un monito a che il mercato delle telecomunicazioni italiano sia aperto a tutte le compagnie del mondo. E voci di critica si levano anche in Italia: Luca Cordero di Montezemolo, Presidente di Confindustria, ha chiaramente fatto intendere al governo che cambiare le regole in corsa porta inevitabilmente ad una perdita di credibilità del nostro Paese, con la conseguente riduzione degli investimenti stranieri in Italia, che non sono mai stati così bassi come oggi. Montezemolo ha aggiunto che non è compito della politica, ma del mercato, stabilire chi debba essere l'azionista di un'azienda o influire sulle scelte di questo azionista, e che lo Stato, se vuole evitare rischi di abusi, “ha una strada molto semplice che è quella della regolamentazione attraverso le competenze delle autorità garanti”.La vicenda Telecom mostra in tutta la sua limpidezza l’incapacità e l’irresponsabilità di un governo che non è stato nemmeno in grado di leggere i bilanci dello stato e ci ha impiegato dieci mesi per capire che fossero in ordine.Questo governo, che ha riscoperto l’italianità e l’orgoglio nazionale è arrivato perfino ad offrire a Silvio Berlusconi di fare un’offerta per Telecom. A Berlusconi, l’uomo che la sinistra reputa il principale responsabile di tutte le sventure italiane. Vorrei proprio vedere come questo Esecutivo di comici giustificherebbe ai loro elettori di voler incensare il deprecabile Berlusconi come il salvatore della telefonia. Ovviamente l’elettorato di sinistra, forte di questa ricossa nazionale e in nome del “non passa lo straniero”, si crogiolerà nelle parole di Bertinotti e dei politici chaveziani di casa nostra, che dicono che Telecom deve restare italiana,che invocano l’esproprio proletario, o, peggio ancora, che si beano delle sparate di un Di Pietro che a Ballarò si mette a dire: "non importa di avere i soldi per comprare, la mafia ha i soldi, le facciamo comprare tutto?" Quasi che imprese americane fossero tutte mafiose. Una considerazione troppo scontata e leggere per un paese dove la mafia, di tutte le tipologie, si sniffa più della cocaina nelle discoteche milanesi.Il nostro amato premier Prodi aveva già dato prova di poco liberismo all’epoca della vicenda della vendita dell’Alfa romeo, nel 1986, un’azienda senza debiti che dall’americana Ford aveva ricevuto un’offerta generosissima di 3.300 miliardi, oltre a certezze occupazionali, e Prodi invece la svendette alla Fiat per soli 1.050 miliardi, in cinque rate senza interessi, ed ancora adesso le concede ecoincentivi di ogni sorta.Ed adesso la possibilità di entrare in Telecom questo governo la darà alle banche; quelle stesse banche che, guarda caso, sostennero Tronchetti e Colaninno nella prima scalata a Telecom, ed hanno avuto una buona parte di responsabilità nei suoi disastri; quelle banche che fanno parte del sindacato azionario di Pirell; banche che dell’italianità sventolata da prodi non sanno cosa farsene, se non per la parte che riguarda gli utili. Suvvia non lamentiamoci troppo! il nostro governo non è capace di liberalizzare i grandi capitali, ma è abilissimo nel liberalizzare le aspirine. Le lenzuolate liberalizzatici di Bersani e Prodi ci permettono di andare dal parrucchiere di lunedì, di comprare le carote al supermercato e al contempo fare il pieno di carburante, di non pagare più i costi di ricarica dei cellulari anche se siamo costretti a pagare tariffe più care.Che vogliamo pretendere da un governo chaveziano-castrista che liberalizza senza essere liberista? Sarebbe come aspettarci che un pero produca mele.In fondo abbiamo difeso l’italianità, affinché su telecom italia non sventoli la bandiera stars and strips, anche se ci restano sul groppone 43 miliardi di euro di debiti e probabilmente il rating internazionale darà all’affidabilità dell'Italia un’ulteriore stangata, oltre a quella che di recente ha già tributato a questo governo.Qualcuno però, oculatamente, si domanderà perché nella vicenda Telecom vengono sfavoriti soggetti stranieri a favore di soggetti italiani anche oltretutto giocando al ribasso. La risposta la possiamo trovare se ci andiamo a leggere quanto ha scritto Sergio Romano ieri sul Corriere della sera:« Il mondo della politica (governo, partiti, sindacati) vuole interlocutori nazionali perché teme, con ragione, che i proprietari stranieri rifiuterebbero di giocare la partita con le regole a cui siamo abituati. Le grandi aziende devono restare italiane perché con gli italiani si tratta e, prima o dopo, ci si mette d'accordo>>.Credo non vi sia altro da aggiungere.