OCCHI VERDI A LECCO

LA MIA AFRICA POLITICALLY INCORRECT


Ho sentito spesso giovani rientrati dall'Africa sub sahariana, dopo una permanenza di uno, due mesi, parlare con toni enfatici degli africani. I racconti andavano dagli immancabili sorrisi dei bambini all'ospitalità degli adulti, dallo stile di vita tranquillo e rilassato alla gratuità del comportamento. La mia esperienza di volontario mi porta a credere trattarsi nient'altro che di luoghi comuni, né più né meno delle etichette: mafia, pizza e mandolino affibbiate ancora oggi agli italiani.Dovessi definire in poche parole l'africano medio, o meglio il camerunese medio (poiché è in questo Paese che opero), direi: fatalista, rassegnato e alla perenne ricerca di un alibi per giustificare l'inattività al cambiamento.La mia convinzione trova riscontro in un bel romanzo che ho appena finito di leggere. Si intitola "L'intérieur de la nuit" ed è scritto da un'autrice camerunese: Léonora Miano. Molte pagine delineano la cultura dei neri africani in modo autentico e disarmante, andando al cuore dell'Africa o, come esprime il titolo, all'interno della notte.L'immagine che esprimo è ben sintetizzata dalle parole, ripetute come un mantra, che la scrittrice mette in bocca, a chiusura del romanzo, ad una ragazza giudicata pazza, e pazza diventata davvero per l'isolamento sociale cui viene condannata. Ad essa si associa la protagonista del libro, alla ricerca delle sue origini dopo un periodo di studio in Francia, come se quelle parole fossero il grimaldello che andava cercando per capire la sua terra.Ed eccole queste parole ripetute all'ossesso: "Adesso basta! Io lo dico e lo ridico. Basta far finta, basta continuare ad accusare gli altri. Essi hanno i loro torti e le loro mani sono insudiciate dal sangue di cui si sono abbeverati. Ma qualsiasi cosa abbiano potuto fare e qualsiasi siano state le manipolazioni contro di noi, gli altri non possono portare le nostre colpe. Possiamo continuare a pretendere che milioni di nostri figli ci furono strappati senza la minima complicità dei nostri? Confessiamo le nostre colpe, prendiamo la nostra parte di responsabilità. Lo dico e lo ridico, è tempo di riconoscere che abbiamo partecipato al nostro dissanguamento. Se non ammettiamo le nostre colpe potremo mai liberarci da quelli che ci tengono stretti ancora così vigorosamente? Ecco ancora una volta i nostri figli in strada per la guerra, eccoli ancora privati dell'amore e della luce. Mentre noi elemosiniamo la colpevolezza dell'occidente, a chi i nostri figli domanderanno riparazione?" Si "la pazza" Erzulie e la protagonista Ayané hanno ragione. Gli africani dovrebbero scuotersi dal torpore rassegnato e de-responsabilizzante in cui si sono rifugiati perchè "tanto non cambierà mai niente", perchè "sono gli altri che determinano tutto". Che assumano le proprie responsabilità e da li ripartano senza aspettare che i soliti altri provvedano, magari a titolo di espiazione per i mali commessi. Riprendano in mano il destino che gli è stato sottratto con la forza degli altri e la complicità dei loro, ma che hanno poi colpevolmente lasciato nelle mani degli altri e di alcuni di loro, per ignavia, pigrizia, disorganizzazione ed anche una certa dose di un altro cattivo ingrediente. Lo definirei sadismo e si tratta di quel sentimento per cui l'importante non è che io stia meglio, ma che l'altro stia un po' peggio di me. Sentimento che, mi è stato candidamente confessato da una camerunese doc, non è immediatamente visibile ai nostri occhi, ma pervade la società africana ed è in esso che trae nutrimento la sorcellerie più che mai florida e freno alle forze di cambiamento. Ma questa è un'altra storia....Alberto Valsecchi