OCCHI VERDI A LECCO

Ecocompatibilità? Si, ma solo nei nomi


Può esserci cemento verde e cemento e basta. C’è, in altre parole, una edificazione eco-compatibile ed una solo selvaggia, tanto più oggi che materiali e tecnologie nuove miscelate a vecchio buon senso costruttivo e basilari nozioni urbanistiche consentirebbero di edificare senza troppo pesare sul territorio e i suoi abitanti. A Lecco per ora ci si è fermati all’ecologia dei nomi: Il PARCO del Broletto e il GIARDINO di Pescarenico parlano da soli; ci si chiede invece se con Lecco ALTA ci si  riferisca alla zona dell’intervento o all’altezza dell’edificio.Abbiamo letto con attenzione l’intervista all’assessore Pesenti appropriatamente titolata “Colata di cemento su Corso Promessi Sposi”, pubblicata sul giornale di lunedì 7 aprile. Condividiamo le perplessità espresse  nelle domande, ci preoccupano le risposte. Il megaprogetto alle Caviate è giustamente salito alle cronache cittadine e nazionali perché per la prima volta si assiste ad un attacco violento e volgare non solo al tessuto urbano ma anche alle coste e alle stesse aree lacuali, con un tentativo di espropriare il diritto al godimento da parte di tutti i Cittadini delle aree demaniali (per le quali vale sempre il principio dell’uso indiscriminato e generalizzato) a vantaggio di ben limitati gruppi di interesse settoriale.La stessa procedura di “project financing”applicata alla costruzione di un porto in un luogo inadatto morfologicamente cerca di ammortizzarne i costi strutturali attraverso lo sfruttamento intensivo del Territorio con interventi invasivi di alveo lacuale (vedi piattaforma cementificata).A differenza di passate situazioni di edificazione incontrollata ed irrazionale dove solo isolate minoranze ne avevano evidenziato le incongruenze e le conseguenti ricadute negative, il caso Caviate ha innescato una mobilitazione preventiva della Cittadinanza, favorita anche dalla procedura V.I.A. che  ha mostrato “il re nudo”.In questo clima, il rischio è che la politica urbanistica di questa amministrazione, che manifesta una implacabile continuità con quella delle Giunte succedutesi dagli anni ’80 in avanti inizialmente avversate dalla Lega, passi quasi inosservata e produca effetti disastrosi riscontrabili solo a posteriori.Il sacco di Lecco sembrava finito con gli interventi di trasformazione urbanistica nelle aree dismesse  (vedi per es. Sae, Badoni, Caleotto, Aldè ecc.) che hanno rappresentato una occasione persa per ridisegnare e rendere ben fruibile la città. Non si è voluto risolvere le criticità pregresse, anzi si sono determinati nuovi deficit in termini di servizi, mobilità, disponibilità di immobili a prezzi contenuti, organizzazione logistica degli uffici pubblici, mancato riequilibrio urbano nella città policentrica a rischio marginalizzazione. Invece il caso OASA ed oggi gli interventi sull’area ex scatolificio Pagani, c.so Promessi Sposi, ex Berera, Viale Valsugana, quarta torre alle Meridiane rappresentano un filo conduttore di saldatura del periodo di urbanistica selvaggia di fine secolo con l’attuale. Stessa logica di colate di cemento, quantità e non razionalità, medesimi effetti negativi sulla qualità della vita in città. Lecco ha certo un buon punteggio per la raccolta differenziata dei rifiuti, ma un brutto voto per l’incontrollata crescita del traffico automobilistico indotto anche dallo sviluppo edilizio sregolato. Nondimeno l’indice dei costi delle abitazioni, pur in presenza di vani inutilizzati, è sempre in crescita favorito da un mercato che “drogato”.Il bilancio della politica urbanistica è in rosso e ciò che più preoccupa è che non si intravede alcun ripensamento ne dubbio su questa occupazione sistematica e disorganizzata di ogni brandello di città. Dice bene la giornalista quando scrive che: “ Si ha l’impressione che ogni progetto sia a se stante, che non esiste un disegno complessivo di Lecco. E’ facile prevedere che quando si interverrà con il nuovo piano di governo del territorio ed in particolare con il piano dei servizi, la voracità costruttiva lasciata a briglie sciolte farà trovare ben pochi spazi coerenti per la riorganizzazione del tessuto urbano cittadino.Caviate insegna che dopo la terra ferma è la volta di occupare con piattaforme cementificate anche le acque del lago e la tendenza nefasta sembra già avere dei proseliti. Basta osservando taluni progetti di intervento sui lungolago lariani e ascoltando le voci circa un  prospettato deposito nel lago, alla riva di Fiumelatte, del materiale cavato per il parcheggio nella montagna a Varenna. Pare non esserci limite al peggio. La cementificazione sconsiderata di un Territorio è come una malattia degenerativa che deve trovare nella legalità e nella sensibilità operante dei Cittadini gli anticorpi per una urbanistica ecologicamente sostenibile. Alberto Valsecchi e Pierfranco Mastalli