OCCHI VERDI A LECCO

mala malattia


Da alcuni mesi sono raggiunta da notizie che mi sconcertano non poco: molte persone che conosco si ammalano di mali gravi e, il più delle volte, muoiono dopo poco. Se tento di dire a me stessa che è questione di congiunture, che quest’anno è un concentrato di esperienze negative, non trovo molto sollievo: l’occhio cade spesso su annunci mortuari in cui molti sono i giovani di cui si comunica l’avvenuta morte. La mia prima riflessione è questa: ma non viviamo in un paese in cui la vita media si è allungata di molto? E allora queste morti giovanili dove stanno nella statistica? E ancora: perché nessuno parla di questa pestilenza tumorale che circola nell’aria e che pesca a caso le sue prede?Tutti dovremmo sentirci dei miracolati per il momento, ma dovremmo maturare in cuor nostro la convinzione che nel mazzo toccherà, prima o poi, anche a noi di essere scelti. Questo è un sano fatalismo che rischia di trasformarsi in un non altrettanto sano qualunquismo.E’ vero che si muore qui, come si muore in molte altre zone del mondo. Ma spesso in paesi dell’Africa o dell’Asia, la gente ha la piena consapevolezza di vivere in un mondo di “morte” dove non ci sono cure a sufficienza, cibo e acqua per tutti, e allora uomini e donne lottano con i loro pochi o tanti strumenti per renderlo migliore e, se non ci riescono, se ne vanno in cerca di una casa più umana. Tornano a essere migranti come la specie umana era alla sua origine.E noi? La maggior parte della collettività vive in apnea, avvolta in una bolla che la isola dalla realtà: molti cittadini elogiano con toni quasi trionfanti la loro città, la ritengono la più bella e più vivibile del mondo. Ciechi a ciò che capita attorno e sordi alle notizie che sono date, volutamente vogliono ignorare la realtà di decadenza in cui viviamo e ripetono come un ritornello maniacale l’elogio di questo mondo che vale la pena esportare come modello di sicuro successo anche negli altri continenti. Ma forse un elogio così ripetitivo e forzato cela qualcosa di più: una paura sottile, ma ancora falsamente nascondibile tra le pieghe dell’animo, che il nostro mondo contiene qualcosa di incontrollabile, di schizofrenico, che sfugge alla possibilità di controllo umano e che anzi si ritorce contro l’umanità stessa. Troppo difficile riconoscerlo palesemente perché significa cambiare idea sul luogo in cui abitiamo, adottare atteggiamenti più critici e di impatto più concreto sulla realtà e, là dove non si può fare altro, ricorrere alla fuga, come accadeva nel passato: di fronte a un pericolo, le tribù di uomini come le mandrie degli animali adottavono lo stesso rimedio, la fuga.Lucia Giroletti