OCCHI VERDI A LECCO

Globali chiusure


Per caso mentre passeggio in montagna colgo al volo questa frase: “Lei è di Pasturo, ma si è sposata fuori a Barzio!”. E’ questo “fuori” che mi sembra esagerato per indicare i pochi kilometri che dividono i due paesi. La mia riflessione srotola il gomitolo dei pensieri.   Si parla spesso di globalizzazione, villaggio globale, le merci si spostano da un continente all’altro con facilità, qui troviamo i prodotti africani, ovunque mangiamo gli spaghetti, in poche ore  voliamo da un paese all’altro, da un emisfero all’altro, eppure la mentalità della gente comune non sembra influenzata da queste novità e resta ancorata ai medesimi schemi delle generazioni passate. I nostri nonni abitavano in paesi chiusi e il loro modo di pensare corrispondeva esattamente a questa chiusura, il paese vicino era già avvertito come straniero, estraneo, spesso si parlavano dialetti incomprensibili. L’autosufficienza del villaggio, che si automanteneva con i suoi prodotti, generava un sistema di pensiero dai confini ristretti. C’era una coerenza perfetta tra la mentalità di ogni individuo e la vita che gli scorreva lì vicino.Oggi tutto questo equilibrio non esiste più: il mondo si allarga, abbiamo occasioni economiche per viaggiare, vediamo per strada gente di altri mondi, neri, o gialli eppure i più non compiono un passo in avanti nel modo di ragionare, ma anzi estremizzano quello di chiusura degli antenati. Arrivano a giustificarlo, come una difesa dall’invasione degli extracomunitari. Diventiamo integralisti di questa mentalità là dove in Medio Oriente si diventa integralisti nel sistema religione perché esso copre uniformemente anche la formulazione dei pensieri. Noi siamo meno appariscenti, ma non meno determinati. Loro sono più visibili e indubbiamente condannabili per le morti che procurano, noi siamo più subdoli perché sventoliamo per convincere gli altri, o forse maggiormente, proprio noi stessi, la nostra ospitalità mediterranea che chiamiamo tolleranza, ma che in realtà resta un’esperienza solo di facciata. Mangiamo cinese, africano, andiamo in Brasile o in Mali, ma siamo impermeabili a queste esperienze di vicinanza a altri mondi. All’estero la pancia è alla ricerca forsennata del caffè e della pasta, sempre meno buoni che in Italia, i luoghi sono sempre meno interessanti dell’Italia. Questo affetto morboso e poco maturo per la patria impedisce di vedere quanto il nostro paese sia in pieno declino e perda sempre di più in “civilizzazione”. Merce esportata a tutti costi, ma ormai ridotta a un’entità indefinibile. I viaggi restano momenti spot della nostra vita che, se già riescono a cambiarci un pochino, in qualche modo hanno avuto un loro frutto. Ma è raro che il viaggiare di un singolo riesca a tramutarsi in un benessere che, messo in comune alla società, diventi un bene collettivo. Torniamo a pensare secondo il sistema chiusura, non più adatto a decodificare il mondo esterno. I due vanno per le loro strade incomunicabili e non trovano un punto d’accordo se non quando generano la folle schizofrenia di cui soffriamo quasi tutti oggi.Lucia Giroletti