OCCHI VERDI A LECCO

Metropoli


Milano. Siamo accolti da un tanfo irrespirabile di gomma bruciata che ci entra dentro nelle ossa e ci fa star male, corriamo verso il metrò. Il buio, il tanfo, i fumi dei motori che, come nuvolette, stanno a mezz’aria tra terra e cielo, la folla di gente che spintona e corre, tutto crea un’atmosfera simile a un girone di dannati dantesco. Nel metrò siamo imbalsamati come statue di cera al nostro posto, abbiamo sempre l’impressione di occupare uno spazio troppo esteso, tendiamo a comprimerci su noi stessi. Arriviamo in centro, entriamo in un bar: uno in seguito all’altro, questi locali sono budelli di intestino che mostrano tutta la loro sporcizia e insalubrità nei bagni, sporchi fino all’inverosimile, contro ogni normale legge di pulizia. All’esterno sono tutti omologati: camerieri ingessati con il volto di cera, animato da un sorriso così falso da mettere a disagio gente come noi che viene da fuori, da rassicurare, invece, chi vive da sempre in questa ambientazione di falsità. Una sfilata di piatti pronti tutti rigorosamente uguali che sembrano di plastica, come la frutta e la verdura che i bambini usano per giocare al mercato. Nessuna idea di freschezza, nessuna idea di originalità. Passeggiamo tra le bancarelle di prodotti gastronomici, poi sotto i portici della Rinascente e infine in Via Montenapoleone e della Spiga. Le vetrine abbagliano per le illuminazioni, frastornano per gli abiti eleganti, ma poi raffreddano la vista perché i negozi sono disabitati, le uniche ombre umane sono i manichini, sagome lontane di noi stessi e i commessi che si nascondono tra gli abiti e hanno le medesime fattezze dei manichini.Passo veloce, sguardo distratto, attraverso questo luogo sospesa in una sensazione di terribile irrealtà: tutto mi sembra finto, posticcio, pronto a cadere da un momento all’altro. Non c’è anima in questa città, non c’è spontaneità, vitalità. Sono colta dal desiderio di scivolare via, invisibile da questo luogo che inizia a mettermi un po’ troppo a disagio. Milano doveva essere bella a fine ‘800 nell’epoca delle carrozze e dei cavalli, ora ha perso l’anima, la gente viene qui per fare affari, comprare, riempirsi lo stomaco, non c’è nessun locale ampio in cui ci si possa “svaccare” in libertà e stare a chiacchierare per quanto si vuole, come nelle birrerie a Monaco. Qui si entra in questi baretti piccolissimi, si sta in piedi, il tempo di recitare la parte, un primo atto o un secondo e poi di essere risucchiati dalle strade, dai rumori, dalla puzza di scarico, dalla fretta malata.Mangiamo qualcosa e poi entriamo al teatro Manzoni per un generico concerto di cui non si sa nulla. Con noi c’è l’amico di Alberto, Federico da Livorno. Formigoni sale sul palco e prepara un discorso in difesa di un assessore a suo giudizio attaccato ingiustamente. Inizia a perorare la causa senza specificare di cosa si tratti. La parola più abusata è AMICI: qui sono tutti amici tra loro, si conoscono, si sostengono, la politica di destra è il loro collante, siamo ospiti nel teatro di Berlusconi. Ma a darmi fastidio non è l’appartenenza a questo o a quello schieramento, ma il sentirsi grandi amiconi, l’usare parole celebrative gli uni per gli altri per accrescere tra loro il circolo d’affetto e la sensazione sicura di essere nel giusto. Tutti gli altri che la pensano diversamente sono “nemici” e si vede che da tempo non siamo più in guerra perché usiamo a sproposito un linguaggio bellico che esagera la realtà e non le corrisponde. Difficile definire di che genere di spettacolo si tratti: concerto solo all’inizio per il coro di presentazione, cabaret nel mezzo, canto pop alla fine. Un miscuglio di prove che lascia insoddisfatti i palati dei giovani, probabilmente soddisfa quelli dei più anziani a cui piace l’intrattenimento alla “Domenica In”. Le donne sono bistrattate: al presentatore piace vantarsi delle proprie conquiste, ormai passate, perché l’età è visibilmente avanzata. E le donne ridono di essere (state, la maggior parte) oggetto di questa contesa. Non provano irritazione? Non c’è già stata la rivoluzione femminista? Non vorrebbero valere un pochino di più? Usciamo intorno alle 22.00 e ci rifugiamo a Mec Donald’s per un’insalata. Sento che, come nel supermercato, sta per scadere il tempo di accettabile permanenza in questa città: entro breve supererò la soglia di sopportazione che mi indurrà a diventare irritata, difficilmente controllabile. Mangiamo e torniamo a casa. Più mi allontano, più torno a sentirmi leggera.Lucia