Messaggi del 22/03/2006

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Post n°28 pubblicato il 22 Marzo 2006 da verdimaddaloni.it
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da Diritti & diritti

MINIERE,CAVE E TORBIERE

ABUSI E SANZIONI

La legge n. 54 del 1985 della Regione Campania, sulla “coltivazione di cave e torbiere”, ha valutato gli opposti interessi in conflitto (riferibili alla “rigorosa salvaguardia dell’ambiente” ed al “corretto uso delle risorse”: art. 1) ed ha previsto la regola generale per cui “la coltivazione dei giacimenti in disponibilità dei privati o di enti pubblici è subordinata ad autorizzazione” (art. 4, secondo comma): a regime, l’autorizzazione costituisce l’unico titolo per la coltivazione di tali giacimenti (art. 4, terzo comma). In un ottica di valorizzazione del piano regionale del settore estrattivo, il primo comma dell’art. 35 ha previsto un temporaneo divieto di rilascio di “autorizzazioni per aperture di nuove cave”. Per le “cave in atto”, l’art. 36 ha consentito la prosecuzione della relativa attività di coltivazione, purché: - esse risultassero già in esercizio alla data dell’8 gennaio 1986, in conformità alle previsioni del D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, e a seguito della prescritta denuncia al Comune e alla Regione Campania; - fosse presentata (entro il termine di sei mesi) una ‘domanda di proseguimento’, unitamente alla documentazione prevista dal precedente art. 8 e al rispetto di altre formalità. In particolare, il terzo comma dell’art. 36 ha disposto che la domanda di autorizzazione alla prosecuzione delle “cave in atto” (per il cui esame non è stato previsto un limite temporale) poteva essere respinta “quando l’attività estrattiva risulti in contrasto con i vincoli urbanistici, paesaggistici, idrogeologici ed archeologici derivanti da altre leggi nazionali o regionali”. In tal modo, in presenza delle formalità ivi previste e in attesa del formale provvedimento di autorizzazione, l’art. 36 ha consentito la prosecuzione dell’attività già legalmente esercitata in precedenza (senza alcuna possibilità di autorizzare l’ampliamento del perimetro). Come si evince dai lavori che hanno preceduto l’approvazione della legge n. 17 del 1995 (e in particolare dalla relazione assessorile, allegata al processo verbale della seduta della giunta regionale del 29 dicembre 1993), nella prassi amministrativa è poi avvenuto che: - non sono stati conclusi formalmente i procedimenti attivati dalle domande proposte in base all’art. 36 della legge n. 54 del 1985 (in tal modo non acquisendo rilevanza concreta i vincoli); - non vi è stata la repressione delle indebite attività di coltivazione di particelle non dichiarate nelle denunce a suo tempo presentate ai sensi del D.P.R. n. 128 del 1959, ma inserite per la prima volta nella denunce ‘di proseguimento’ previste dall’art. 36 (e rispetto alle quali trovava applicazione il ‘divieto di apertura di nuove cave’, sancito dall’art. 35). La legge n. 17 del 1995 ha aggiunto - alla legge n. 54 del 1985 - l’art. 38 ter, il quale: - al comma 1, ha fissato il termine del 31 dicembre 1995 per l‘adozione del piano regionale delle attività estrattive; - al comma 2, ha previsto che, sino all’entrata in vigore del piano, “il perimetro delle attività estrattive oggetto di istanze di prosecuzione della coltivazione delle cave in atto secondo quanto previsto dall’art. 36 della presente legge, fermo restante la possibilità di proseguire l’attività estrattiva in approfondimento sull’area già interessata dai lavori di escavazione, può essere modificato per consentire il recupero ambientale di tutta l’area di cava a condizione che venga inoltrata, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, apposita istanza”; - al comma 3, ha previsto i presupposti per la modifica del perimetro, in particolare disponendo che “possono essere utilizzate aree adiacenti al perimetro di cava fino al 30% della complessiva superficie adiacente e non superiore al 20% dell’area di cava ovvero del complesso estrattivo legittimamente interessato all’attività di coltivazione per i fronti di cava che hanno bisogno di una maggiore superficie necessaria per il corretto recupero ambientale”; - al comma 4, ha disposto che “la modifica del perimetro … è sottoposta alle condizioni di cui appresso”, tra cui la presentazione di una documentata istanza “ai sensi dell’articolo 8 della presente legge” (lett. b) e la conformità ad un “progetto – programma redatto ai sensi dell’articolo 8, comma 2, lettera f) della presente legge” (lett. d); - al comma 5, ha fatto salvi “gli atti amministrativi depositati ai fini dell’istruttoria tecnico-amministrativa di domande presentate dagli interessati anteriormente all’entrata in vigore della presente legge che risultino ancora con essa compatibili ed aventi ad oggetto lo sviluppo dell’attività”. Ad avviso della Sezione, le riportate disposizioni dell’art. 38 ter: - non hanno consentito la materiale modifica del perimetro delle attività estrattive (già oggetto di precedenti istanze di prosecuzione), sulla base della mera istanza prevista dal comma 4, lett. b); - hanno disposto che tale materiale modifica possa avere luogo solo nel caso di rilascio della formale autorizzazione, prevista dall’art. 8 della legge n. 54 del 1985, in presenza dei relativi presupposti, in coerenza col piano regionale delle attività estrattive e nell’ambito del perimetro tassativamente individuato dalla Regione; - impongono di qualificare come abusive, in assenza della autorizzazione, le attività di coltivazione eccedenti il perimetro preso in considerazione dall’art. 36 della legge n. 54 del 1985. Tale interpretazione si fonda sulla ratio e sul testo dell’art. 38 ter, poiché: - come emerge dai lavori preparatori della legge n. 17 del 1995 (e come ha puntualmente evidenziato la sentenza impugnata), il legislatore regionale del 1995 ha inteso maggiormente salvaguardare l’ambiente, sottoponendo a una più stretta vigilanza l’attività di coltivazione, anche quando si tratti di attività connessa al recupero ambientale; - la legge n. 17 del 1985 nulla ha innovato sul divieto di apertura di nuove cave, sancito dall’art. 35 della legge n. 54 del 1985;  - l’art. 38 ter, al comma 4, ha richiamato in più punti l’art. 8 della legge n. 54 del 1985, disponendo che la coltivazione di ulteriori aree (rispetto a quelle interessate dalla normativa transitoria di cui all’art. 36 della legge del 1985) sia consentita solo a seguito della valutazione della specifica istanza e del relativo progetto-programma; - la verifica della sussistenza delle “condizioni” previste dal comma 4 dell’art. 38 ter implica necessariamente l’emanazione di un provvedimento amministrativo; - il legislatore regionale non ha previsto una ipotesi di silenzio assenso o di denuncia di inizio lavori e non ha disciplinato (come era avvenuto per l’originario art. 36 della legge n. 54 del 1985) una ipotesi di ‘prosecuzione’ (per definizione assente nel caso di istanza di ampliamento del perimetro di cava). In base all’art. 38 ter, l’Amministrazione deve quindi valutare se, per preminenti ragioni di recupero ambientale di tutta l’area di cava e per evitare fenomeni di dissesto, vada accolta la domanda di autorizzazione di ampliamento del perimetro, rispetto a quello in precedenza legittimamente interessato dall’attività (sulla base di un esercizio motivato di un potere discrezionale, fondato sulla esclusiva finalità del recupero ambientale). In altri termini, la società che svolge l’attività di coltivazione della cava non può motu proprio ritenere idoneo il progetto di risanamento e considerare sussistenti i presupposti per l’attività di coltivazione in ampliamento, ma deve al riguardo formulare la relativa istanza, aspettando l’esito del relativo procedimento.

 

Il primo comma dell’art. 26 della legge della Regione Campania n. 54 del 1985 dispone che la sospensione può essere disposta “quando si verifichi l’inosservanza delle prescrizioni del provvedimento” e “quando siano necessari ulteriori accertamenti in vista dell’adozione di un provvedimento di decadenza o di revoca”: legittimamente la Regione ordina la sospensione quando risulta che l’esercizio della coltivazione riguardi particelle rispetto alle quali l’attività vada considerata abusiva. In base a tale norma, l’accertamento dei non consentiti lavori in ampliamento costituisce un elemento tale da condurre alla decadenza del titolo abilitativo (ancorché provvisorio e in attesa del provvedimento formale) e comporta la sospensione dei lavori nel loro complesso, non solo di quelli abusivi, ma anche di quelli rispetto ai quali può essere disposta in seguito la formale decadenza.

 
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