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Converrete con il dottore capo

Post n°5 pubblicato il 18 Febbraio 2010 da piluchini
 

Mi schiantai dal terzo piano ai piedi dell'albero e feci i miei giorni di degenza all'ospedale comunale; privo di istruzione medica rimasi a letto seguendo, testa in alto, le ombre delle ragnatele che garrivano al vento dalla finestra lasciata accesa, ignaro delle mie condizioni generali di salute.

Veniva a sedersi sul letto del miracolato ogni esempio di umano contegno: chi mi sbraitava in faccia condannando i  miei silenzi da cavernicolo (con un pennarello rosso avevo inziato a istoriare il séparé di cartone), chi mi offriva prosciutto crudo in cambio di uno sfogo, di una lamentazione, chi  mi voleva forte, fortissim…issimo ("E allora ti alzi e ti senti finalmente grande e al primo che passa per il corridoio lo fermi e gli dici di guardarti la faccia, la faccia dei coraggiosi, così ti voglio caro!").

In televisione (avevo un apparecchio nella stanza che spossava un tavolinetto di fòrmica) i programmi che vedevo contemplavano solo gente eretta, solo in un telefilm tedesco vidi un uomo barbuto in carrozzina che dava ordini e due ragazzotti lo ascoltavano e alla fine sapeva di più di ciò che era successo nel mondo lo storpio di quegli altri arruffoni che spaccavano le porte a spallate.

Dopo un mese, due paramedici e il dottore capo mi deposero su una carrozzina; subito iniziarono a prudermi le piante dei piedi e lo feci notare.

Il luminare mi disse:

"A volte quando siamo costretti ad amputare gli arti può succedere che il paziente senta ancora di averli avvertendo dolore o prurito, ma nel suo caso, visto che non abbiamo fatto nulla di tutto ciò e che lei presto riprenderà a camminare, le darò un bel bastoncino per grattarsi e un bel piatto di prosciutto crudo. Ci sono cose inspiegabili e cose normali, le prime lasciano l'impronta del monco e le seconde le puoi grattare e grattare e grattare."

Fuori dall'ospedale le ombre ormai lunghe facevano il loro turno di lavoro.

 
 
 

morto

Post n°4 pubblicato il 31 Gennaio 2010 da piluchini
 

Finendo ogni riferimento
Perché le mani sono callose
E abituate alle superfici,

La memoria confonde i materiali.
Le vene del legno sono uguali
Alla pelle dell'acqua
Che finisce nel singhiozzo del gorgo.

Quando si vaga ciechi nel fiume
E qualcuno ti chiama da riva (tu)
Fai finta che sia solo un urlo.

Stringi i pugni in fondo alla gola
Senti le nocche e sei di sasso.

 
 
 

risotto salmonato

Post n°3 pubblicato il 23 Gennaio 2010 da piluchini
 

risotto salmonato (dal mio manuale di cucina cerebrale)
 
Risotto salmonato

Ingredienti per 4 persone:
350 grammi di Riso - 50 grammi di Salmone Affumicato- 1/2 Bicchiere di Vino Bianco- 125 Cl di Brodo- 1 Scalogno- 40 grammi di Burro- 2 Cucchiai di Olio d'Oliva Extravergine - Sale - Pepe – il succo di mezzo limone

Esercizi preparatori:
Per preparare questa ricetta è necessario allenare il polso in quanto nel suo momento clou il risotto va rigirato con brio e voglia di stancarsi, a costo di sembrare agli eventuali spettatori degli alienati mentali.
Per quanto riguarda il lato spirituale, è consigliabile, per entrare in sintonia con l'ingrediente caratterizzante la ricetta (il salmone affumicato), far correre l'acqua calda del rubinetto fino a che questa inizierà a fumigare investendovi coi suoi vapori appannanti. Il trattamento deve durare cinque minuti e può anche non essere ripetuto.

Esecuzione della ricetta:
Pulite lo scalogno, affettatelo a velo e fatene appassire in una padella antiaderente i ¾, poi tuffatevi tutto il salmone sbriciolandolo villanamente senza curarvi di lasciare pezzi troppo grandi.

Dopo pochi minuti, scalogno e salmone inizieranno a conoscersi e la cucina si riempirà di un inconfondibile aroma di soffritto: è questo il momento di buttare in padella il riso.
Lasciatelo tostare finché non vi sembrerà che abbia perso la sua spocchia (e paradossalmente il suo candore), poi bagnatelo con il vino che farete evaporare e il succo di limone.

Inizia ora l'aggiunta del brodo: un mestolo alla volta è più che sufficiente per garantire al risotto di non patire le pene dell'assetato. Svolgerete questa operazione fino a cottura ultimata, che garantisco essere all'incirca di 15 minuti.
Infine regolate di sale e pepe e mantecate col burro; trasferite il risotto sui piatti di portata aggiungendovi a crudo i veli di scalogno che vi erano precedentemente rimasti.
Quest'ultima operazione si rende necessaria in quanto si vuole cercare di imitare il tratto caratteristico della vita terrena del salmone, che è quello di risalire le correnti dandoci l'impressione di voler invertire il senso del tempo.
Nella nostra ricetta avviene quindi, come evento conclusivo, il ritorno al sapore originale dello scalogno.

 
 
 

omicidio dal robivecchi

Post n°2 pubblicato il 16 Gennaio 2010 da piluchini
 


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Aveva perso il lavoro e di conseguenza gli era stato ingiunto lo sfratto.
Nei suoi quarant'anni di vita aveva smarrito tante cose, piccole e grandi; quando era bambino viveva in un bel palazzo signorile con quattro domestici, un istitutore e il giardiniere Guerrino.
I suoi genitori, due esseri umani viziosi e molesti, abitavano separatamente nella metropoli industriosa e con lui non avevano rapporti perché troppo impegnati a far soldi.

Guerrino lo portava nel giardino e gli faceva vedere le meraviglie del Creato, lo alzava sopra di sé e lo metteva con la faccia vicino ai frutti maturati e quasi marciti; fu l'epoca in cui sviluppò il senso dell'odorato in maniera più che eccezionale.
L'istitutore gli insegnava le solite materie, ma peccava di pigrizia, non spingendosi mai ai limiti della propria precaria istruzione. I quattro domestici vivacchiavano come fanno i vecchi: pulivano un po' in giro e sdormicchiavano.

Poi tutto andò alla malora: si scoprì che Guerrino in giardino seppelliva oro e cadaveri, entrambi portati nella villa dai bravi del padre e dai guardaspalle della madre, a seconda di chi aveva più tempo libero per il viaggio in campagna.
Era stato Guerrino a snocciolare tutto alla polizia, li aveva portati in loco e con un badile aveva bucato il giardino facendo rinvenire ossa e tesoro.
La vita dorata era quindi finita assieme alla libertà dei suoi genitori.

Il nostro eroe ormai ventenne si fece quindi hidalgo: come facevano nel XVI secolo gli spagnoli di nobili origini caduti in disgrazia, si arruolò in una scaramuccia mondiale nel ruolo di soldato mercenario.
Gli toccò in sorte di partecipare al conflitto scoppiato nell'isoletta oceanica di Kiriati.
Sbarcato dalla nave che lo aveva portato nel luogo della sua impresa guerresca, era stato accolto da una voce: “Sono qui signorino Cacioski, sono venuto a prenderla... sono il suo capitano!”; era Guerrino vestito di tutto punto con la mimetica.
Guerrino gli chiese subito: “Signorino, non ha con sé la valigia?”.
Cacioski replicò che nel momento dello sbarco non l'aveva più trovata.
Pazienza signorino, tanto il bagaglio non le servirà a nulla qui. Conto di far terminare questa pagliacciata di guerra tra una mezz'ora”, così dicendo Guerrino gli prese il braccio e lo accompagnò in un desolato parcheggio a lisca di pesce dove una Volkswagen color pruneto attendeva sotto ad un sole cocente.
E ad attendere stava anche una ragazza nascosta in un fularone bianco, che subito si tolse mostrando il viso a Cacioski. Era bella, anche se tutta la sua pelle era cosparsa di nei scurissimi, gli occhi le ridevano come un fuoco artificiale e la bocca, pur aprendosi per salutare e dire il proprio nome (Nalda), non mostrava nulla del proprio contenuto.
Nel frattempo Guerrino accese il motore e partì, e tra lui e la ragazza iniziò una conversazione serrata in una lingua sconosciuta a Cacioski; la cosa strana fu che dopo qualche minuto l'idioma diventò per il giovane familiare, ma solo quando era Nalda a parlare.
Così ai suoni incomprensibili emessi da Guerrino si contrapponevano risposte intellegibili quali:
Non credo sia il caso” oppure “Potevo essere d'accordo con il tuo piano, ma vedendolo con quest'aria ...fiduciosa...”.
La città sconosciuta faceva intanto dai finestrini sfilata di sé, e l'abito con il quale vestiva era certamente pezzato e miserevole: uomini del color della sabbia bagnata stavano buttati davanti a case che il terremoto costante e inarrestabile della povertà distruggeva di minuto in minuto.
Lo portarono su un enorme spiazzo asfaltato che faceva da anticamera ad un palazzo barocco; Nalda, che aveva appena terminato di fumare una sigaretta, guardò Cacioski con intensità e quella visione fu per lui l'ultima prima di finire all'inferno.
Proprio così, l'inferno.
Risvegliandosi, per qualche ora pensò che il buio totale in cui era precipitato fosse l'aldilà (quello punitivo però) e che le voci che ogni tanto sentiva appartenessero agli altri dannati che in quel luogo continuavano sfortunatamente la vita.
Ben presto si rese conto di stare invece in una prigione: nella più grande casa di correzione dell'isola, come amava definirla il secondino che gli passava il cibo da una feritoia e che parlava un po' d'inglese da dietro al muro.
Cacioski non vide mai il volto del suo cameriere speciale (altro termine usato dal guardiano), perché non gli fu mai permessa una luce piena che desse a quella voce un volto.

Quando fu rimpatriato, scoprì di aver trascorso in quel buco due anni e di essere stato imprigionato poiché giudicato dalle autorità kiriatesi il capobanda della fazione antigovernativa.
Per questo motivo, cioè per il clamore suscitato nella nazione dal fatto che un connazionale fosse implicato così gravemente in un fattaccio del genere, nessuno per parecchio tempo volle dargli un lavoro, e si ritrovò in una situazione allarmante di disgrazia. Inoltre, il tempo passato nell'oscurità gli aveva provocato una malattia agli occhi: veniva colto improvvisamente da black-out visivi che potevano durare anche parecchie ore, e fu proprio a causa di una crisi che perse il misero lavoro che si era faticosamente conquistato.

Pur abitando nello stesso paese, vidi Cacioski per la prima volta quella fatidica mattina di luglio nella quale gli diedi un passaggio in automobile. Fui io a chiedergli se desiderava un trasporto dopo che rischiai di metterlo sotto; vagava infatti alla cieca sulla sede stradale, passando con disinvoltura da un lato all'altro.
La magrezza del suo viso e le labbra spellate e bruciate mi fecero pensare ad un sopravvissuto del mare. I suoi occhi azzurri non vedevano ma erano espressivi e sembravano essersi presi solamente un momento di riposo.
Quando mi disse il suo nome io, che faccio il giornalista, lo misi subito a fuoco inquadrandolo come
la celebrità della nostra piccola comunità.
Così, mi feci raccontare la sua storia.
Sono un pessimo autista e, nelle parti più originali della sua vicenda, la macchina ha rischiato seriamente di finire in bocca al fosso che costeggiava la stradina, fino ad arrivare magicamente, nello stesso momento in cui Cacioski terminò, davanti al posto in cui mi aveva chiesto di andare.
L'indigenza lo aveva portato a recarsi a vendere la sua merce usata al robivecchi; era il secondo giro che faceva quel giorno. La prima volta aveva rotolato verso il negozio due gomme d'automobile quasi nuove ma era stato fortunato perché ancora non era incorso quel giorno nel suo patologico black-out.
Questa volta invece portava al robivecchi un bel modello di trapano marcato Cacioski Tech (un cimelio di quando la famiglia era ancora fatta di capitani d'industria) ed aveva avuto la fortuna che il suo amico giornalista (così ormai mi considerava) quasi gli sbattesse contro e che fosse così gentile da accompagnarlo in sicurezza.
Aprì la portiera dell'auto e guardandomi come se ci vedesse mi ringraziò (non volle essere aiutato ulteriormente) e si avviò, tenendosi appigliato ad una siepe, verso la porta del negozio con il fagotto di tela blu che conteneva il trapano. Riavviai il motore e feci una manovra da ritiro della patente per tornare in strada ed andare finalmente al lavoro.
Uno sparo di pistola proveniente dalla bottega festeggiò la mia partenza.

 
 
 

omicidio al cinema

Post n°1 pubblicato il 15 Dicembre 2009 da piluchini
 
Tag: giallo

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Non avendo le braccia ed essendo la gente impressionabile quando siedo al cinema, mi capita sempre di non avere nessuno a lati.

Per non dovere subire un'umiliazione così totale tendo a mettermi nei posti a fianco ai corridoi in modo da avere vicino un solo posto che malinconicamente rimane vacante.

Naturalmente il fatto che non mi si sopporti attorno è un mio pensiero, però tutte le volte che ho tentato di sperimentare l'ebbrezza di sedermi tra la folla, la composizione che ne è derivata è sempre sembrata simile al gioco “campo minato”; persino nei posti davanti e dietro dopo poco è spuntato il fiore del nulla.

 

Oggi ho scelto una colossale multisala nella quale posso perdermi senza sentirmi evitato; il film proiettato è uno di quelli definiti d'azione e non mi è sembrato granchè fino alla sequenza in cui entra in scena un uomo senza un braccio. Lui, dall'esotico nome di Lion è un fottuto pazzo bombarolo che nello scontro di un anno prima con la ghenga dei fratelli Cacioski ha perso quell'appendice.

Lion ha appena finito di spiegare allo sbirro protagonista del film, un uomo più biondo che alto, che dopo il suo incidente ha iniziato con grande fatica a costruire le bombe utilizzando la lingua, dopodichè gliel'ha mostrata rossa e spupazzata.Poi è iniziata una lunga scena di esplosioni nella quale credo di essermi sonoramente addormentato poichè non ricordo nulla fino alla pigra accensione delle luci, che è il segno visibile della fine del primo tempo.

 

Nella penombra mi si è presentato il buon Guerrino, il mio accompagnatore a pagamento,

che mi ha aiutato ad alzarmi allo scopo di portarmi in bagno.

Abbiamo seguito le indicazioni verdeggianti e siamo finiti nel salone principale del cinema che è anche biglietteria e spaccio delle canoniche vettovaglie.

Nel clamore delle voci assettate ed affamate ci siamo diretti lungo un corridoio; naturalmente Guerrino mi presta la sua mano per espletare i miei bisogni: mi apre la patta, me lo tira fuori e lo dirige verso la turca.

Oggi la sua bocca butta fuori un alito particolarmente prepotente dove la nota più forte è senza dubbio la grappa, la sua mano è bombardata dal tremore e il primo getto di piscia finisce quindi fuori bersaglio.

“Sarà contenta quella delle pulizie!”.Cerco di sdrammatizzare.

“Cazzi suoi”, bofochia Guerrino mettendomi a tacere.

Quando sei nella situazione in cui qualcuno ha il tuo pisello in mano conviene non fare grandi polemiche, magari si può parlare del tempo aspettando che tutto sia finito.

Ecco che ci siamo: l'ultimo goccio è uscito. Guerrino, oggi veramente scostante, non si preoccupa di darmi una scrollatina, me lo ricaccia nelle mutande quasi fosse un gatto da annegare e tira su la zip facendomi sussultare come se dovesse immediatamente coprire alla vista dei curiosi una testa di morto particolarmente orripilante.

Non rischiando poichè non ha più in mano nulla di mio lo schernisco: “Un bel lavoro del cazzo, complimenti!”.

Siamo rientrati in sala scansando una donna dal volto paonazzo che veniva portata per le ascelle da un uomo; la luce era già stata spenta ma ho ricordato dove si trovava il mio posto: proprio di fianco al cartello luminoso verde con l'omino stilizzato che fugge verso l'uscita d'emergenza.

Con mia grande sorpresa ci stava seduto qualcuno, una figura veramente imponenente (“un armadio!”, ho pensato). Se ne stava incassato coi gamboni appoggiati alla poltroncina davanti; mi è uscito immediamente un saluto molto cerimonioso ed entusiasta, lui di risposta ha ululato una risata spiacevole e prolungata.

Innervosito dall'atteggiamento del mio ospite ho sgridato Guerrino che è rimasto impalato ad osservare la scena terminando con un :“Puoi andare adesso”.

“Mi siedo anch'io”, e si è buttato su una poltroncina.

 

 

“Va bene, forse tra un pò ho bisogno che mi porti ancora in bagno, ma è meglio che ti metti qualche posto più in là, fuori dalle balle. Oggi sembra che hai mangiato merda innaffiata con la benzina”.

La risata dell'energumeno ha incorniciata la scenetta.

 

E' iniziato il secondo tempo con una scena di una macchina che cade da una rupe, però il tutto senza il contorno del sonoro.

“Adesso comincia...”, ha sussurrato Guerrino mettendosi le gambe tra la testa, strano ma vero.

“E' già iniziato ma non si sente un tubo”, gli ho risposto sgarbato.

“Comincia,comincia,comincia,comincia...”.

Guerrino mi è sembrato impazzito e in quel momento l'energumeno si è alzato,con le braccia al cielo e rivolto al mondo ha detto:

“Decimo posto per l'attore più antipatico del mondo...il premio, signori, va a Hugh Grant...motivazione: che cazzo avrà da ridere sotto...i baffi. Signoriii, Hugh Grant non ce li ha ...i baffiiii!!! Capiteee!”.

Ha preso fiato un secondo ed ha ripreso:

“Ok, ok...fate entrare la mia assistente. Questa,signori, sarà la prima e ultima volta che metterò in scena questo esperimento. Si chiama...”, mi ha guardato in cerca di un'imbeccata.

“Sta bene signore?”. Gli ho chiesto.

“Benissimo,benissimo. A questo proposito mi viene in mente una poesia veramente belli-belli-si-si-mama-mama. Si intitola Acapulco.

Allora, fa così :Acapulco, Acapulco, dove sei? Eh! Sei qui o qua? Ahahahaha Acapulco”.

Ho guardato Guerrino che ormai stava catatonico a fissare l'energumeno.

“Ma chi cazzo è?”, mi sono informato.

“E' il presentatore ed è venuto per spararti”.

 

 

 

 
 
 

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