Vertigine

Se Giovanni Falcone fosse vivo...


 Se Giovanni Falcone fosse vivo oggi avrebbe 73 anni e sarebbe uno di quegli uomini in grado di raccontare un mondo fatto di avventure belle e brutte, di paura e di qualche gioia, di vittorie e di sconfitte, di nemici e di qualche amico. Sarebbe un uomo ancora formidabile, di quelli che guardano negli occhi un giovane e gli fanno passare davanti una vita intera. Parlerebbe non da eroe, ma da uomo fedele allo Stato che ha passato un'esistenza a combattere la mafia, a tentare di sradicare la cultura mafiosa, a difendersi da coloro che avrebbero dovuto proteggerlo. A guardarsi intorno sempre, attento a ogni uomo e a ogni movimento. Guardingo, vigile. Sempre. E con lui, guardinghi e vigili, gli uomini della scorta. Giovanni Falcone racconterebbe della sua infanzia in uno dei quartieri più difficili di Palermo, della sua amicizia fraterna con Paolo Borsellino, del lavoro del pool antimafia, degli schiaffi morali assestati da qualche benpensante, del maxiprocesso del 1987 che per la prima volta nella storia italiana portò davanti ai giudici del tribunale un pezzo di mafia. Falcone racconterebbe dell'esilio forzato al carcere dell'Asinara, assieme a Borsellino e alla rispettive famiglie: troppo il timore che l'incolumità dei due magistrati potessero correre rischi. Ore, settimane di lavoro per preparare l'istruttoria e alla fine lo Stato rimise il conto da pagare, come se si fosse trattato di una vacanza. Racconterebbe che fu lui a convincere Tommaso Buscetta, mafioso di rango, a collaborare con la giustizia. O forse questo lo celerebbe, pensando al contrario di sembrare un vanitoso avventuriero bisognoso di qualche altra medaglia morale da sistemare sul bavero della giacca. Io Giovanni Falcone ogni tanto provo a immaginarlo. E lo vedo come un distinto signore in doppiopetto, baffi curati, aspetto giovanile, garbato. Non lo so perché, forse sta tutto nel fatto che io vent'anni fa già sapevo tutto di lui e non ci fu bisogno di comprare libri e leggere giornali per sapere chi era saltato in aria. E soprattutto perché. E lo stesso fu per Paolo Borsellino. Qualche tempo fa a Roma, in un ristorante, incontrai Giuseppe Ayala. Mi avvicinai al suo tavolo, mi presentai, gli dissi che per me Falcone e Borsellino erano sempre stati degli eroi, e come loro tutti quei magistrati che sapevano di rischiare la vita ma continuavano lo stesso a servire lo Stato. Gli dissi che il rammarico più grande era – ed è – quello di non aver cercato Antonino Caponnetto, capo del pool antimafia. Viveva a Firenze, non lontano da me. Mi sono sempre detta che un giorno lo avrei incontrato. Ma il tempo passa e con lui le persone. E restano i rimpianti.