La Specola

FELICITA'


Livia Drusilla come Cerere, dea dell'abbondanza. Museo del Louvre Quanti di noi non hanno mai pensato almeno una volta nella vita che sarebbero più felici se avessero più soldi? Ma allora c’è un rapporto tra denaro e felicità?Secondo studi condotti da Robert Lane, professore emerito di scienze politiche a Yale che ha verificato la situazione negli Stati Uniti e Richard Layard professore di economia alla London school of economics che invece si è occupato di dati provenienti da altri paesi, la soddisfazione di vita aumenta in modo parallelo alla crescita del prodotto nazionale solo fino al punto in cui il reddito riesce a soddisfare i bisogni essenziali, le esigenze di sopravvivenza, mentre si ferma o rallenta molto quando l’agiatezza aumenta ulteriormente.  Le società occidentali dalla fine della seconda guerra mondiale sono diventate sempre più ricche ma questo non si è automaticamente accompagnato ad un aumento della felicità percepita, forse perché buona parte dei beni cruciali per la felicità non hanno un prezzo di mercato e non si possono acquistare nei negozi. Certamente l’amore e l’amicizia, una piacevole vita familiare, l’autostima per un lavoro ben fatto, la simpatia, il rispetto degli altri, cioè la maggior parte di quello che riteniamo indispensabile per vivere felici, non sono acquistabili in un centro commerciale. Inoltre, se ci pensiamo un po’,  guadagnare il denaro che ci permette di acquistare i beni che si trovano nei negozi incide molto sul tempo e sulle energie che restano per procurarsi e godersi beni come quelli non acquistabili. Quante volte si sono acquistati regali costosi per la persona amata per compensarla del poco tempo che si è passato con lei, delle poche occasioni che si hanno per parlarle e delle scarse attenzioni o premure che le si sono dedicate? Quante volte riempiamo i nostri figli di giochi o gadget elettronici perché ci sentiamo in colpa del poco tempo che dedichiamo loro? Quanto più si riduce la possibilità di offrire beni che non si possono acquistare con il denaro, tanto più aumentano infelicità e sensi di colpa e allora si va alla ricerca di surrogati che si possono trovare in commercio e quindi a utilizzare ulteriormente il proprio tempo per guadagnare denaro.Ma avere la possibilità di acquistare beni (avere quindi denaro per farlo), fa sentire più felici? La pubblicità è intrisa di questo tipo di messaggio, in modo più o meno subdolo: ogni prodotto è sempre accompagnato da immagini di gente felice che si diverte con il “giocattolo” di turno, dalla bella macchina al biscotto. Per la nostra società di mercato basata sui consumi, questi messaggi da far entrare nel cervello dei consumatori sono assolutamente necessari. E lentamente diventiamo succubi di questo tipo di pubblicità, pensiamo che potremmo essere più felici possedendo quell’oggetto. Ma questa è una rincorsa senza limiti: quando riusciremo a possedere quell’oggetto, ecco che spunterà un nuovo oggetto migliore e più bello ad alimentare la nostra ricerca della felicità in una frustrante rincorsa all’irraggiungibile proprio perché non saranno mai degli oggetti che riusciranno a darci la felicità. E’ su queste basi che si fonda la società dei consumi in un circolo vizioso che non avrà mai fine se non saremo noi stessi a metterci una fine.Il denaro è senza dubbio importante ma il suo limite è nel raggiungimento della soddisfazione dei bisogni primari. Oltre non può andare. Gli oggetti rendono senza dubbio la vita migliore ma dobbiamo dare agli oggetti il loro giusto significato: una macchina serve per spostarsi e rendere più facile la nostra vita. Sta a noi capire che questo scopo può essere raggiunto anche dall’utilitaria e non solo dalla macchina di lusso. Nel momento stesso che abbiamo bisogno della macchina di lusso, forse dovremmo chiederci cosa ci manca veramente, cosa dobbiamo dimostrare non solo agli altri ma anche a noi stessi, il surrogato di che cosa è questa macchina. Imparare a recuperare il senso delle cose che ci circondano, piuttosto che voler dare un senso alle cose.La felicità non è una merce acquistabile con il denaro, ma è quel senso di soddisfazione che deve nascere dentro di noi coltivando affetti, soddisfazioni personali e solidarietà verso gli altri.