Creato da veuve_cliquot il 10/01/2011

La Specola

"Non mi piace la via che conduce qui e là. Non bevo alla fonte verso cui tutti s'intruppano. Detesto ciò che é comune, popolare e senza regole" Callimaco

 

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SCHIAPPE

Post n°104 pubblicato il 12 Novembre 2011 da veuve_cliquot

Bruegel: Giochi di bambini

Qualche giorno fa ho ascoltato su radio 24 una notizia che mi ha fatto pensare: a Livorno (se non sbaglio) un padre ha scritto al giornale lamentandosi del fatto che suo figlio fosse stato escluso dalla squadra di calcio perché considerato una schiappa e il vescovo della città ha detto di voler creare una squadra di schiappe.

Il fatto che si tratti di bambini per cui partecipare al gioco di squadra vuol dire stimolare in loro il senso di collaborazione, l’aggregazione, l’aiuto, la collaborazione per raggiungere un risultato, mi fa anche concordare con le parole del vescovo, ma credo che una visione del genere non dovrebbero essere poi traslata nella vita degli adulti. Forse questa teoria di formare quadre di schiappe può funzionare nello sport quando si tratta di bambini, ma non nella vita.

Fin  dalla giovinezza, ho sentito gridare nelle piazze che la disuguaglianza era un problema sociale e non personale e con questa idea siamo arrivati all’Italia attuale, in cui una retorica dell’abbasso le disuguaglianze ha portato a un livellamento verso il basso in cui non è il merito ma l’uguaglianza a qualsiasi costo che deve essere raggiunta.

Secondo la costituzione tutte le persone hanno gli stessi diritti, ma questi si riferiscono ai diritti primari, alla salute, al lavoro, all’istruzione, alla legge, ma poi è giusto che chi è più intelligente, chi ha più volontà e dedizione, superi gli altri e questi meriti gli vengano riconosciuti. Invece nella nostra società in cui si è sempre voluto mettere allo stesso livello la schiappa e il genio, si è finito (e questo si vede soprattutto negli organismi statali) per demotivare chi aveva più possibilità di emergere, a innalzare la mediocrità per abbassare la competenza, a far sì che chi dirigesse non fosse il migliore ma quello che, spesso con diritti che gli derivavano da questo malinteso senso di uguaglianza e non da un suo merito personale, riusciva ad “accumulare più punti”.

Ricordo un fatto personale: molti anni fa ho partecipato a un convegno in cui si discuteva di salute e di risorse economiche. Era presente un padre gesuita e gli posi la domanda di come, da un punto di vista morale, davanti a risorse economiche limitate, si dovesse scegliere a chi darle escludendo una delle due persone. Mi rispose “Siamo tutti uguali davanti a Dio, ma non lo siamo davanti agli uomini” avvallando quindi la possibilità di creare una disuguaglianza. Sul momento questa risposta mi lasciò interdetta, andava contro tutte quelle idee di cui eravamo stati imbottiti nel post sessantotto, l’idea di uguaglianza.

A trent’anni di distanza mi sto invece rendendo conto di come nel nostro paese, l’idea di uguaglianza abbia esclusivamente portato a un livellamento verso il basso e di questo la nostra società ne sta pagando le conseguenze: abbiamo tarpato le ali alle nostre menti migliori facendole fuggire all’estero, tenendoci spesso i mediocri e facendoli diventare classe dirigente.

Come dice Baricco (che non considero un grande scrittore ma che trovo splendido come affabulatore), nel suo intervento alla Leopolda, non abbiamo saputo creare una classe dirigente perché abbiamo avuto paura di dire che esistono i migliori ed esistono i mediocri e che la scelta dovrebbe cadere sul migliore: finalmente ho sentito qualcuno che ha avuto il coraggio di superare questo italico tabù: quello di dire che a dirigere bisogna mettere i migliori, non avendo paura di pronunciare questa parola perché, anche se siamo tutti uguali davanti a Dio, non lo siamo davanti agli uomini.

 

 
Rispondi al commento:
veuve_cliquot
veuve_cliquot il 19/11/11 alle 10:16 via WEB
E' vero, ma i punti di partenza differenti sono sempre esistiti ed è un dato di fatto: già ai miei tempi (e ti parlo di quasi 40 anni fa), le tasse di iscrizione alla Bocconi erano tali che solo i più abbienti potevano permettersele. Però esisteva economia e commercio anche alla Statale a cui anche i figli degli operai potevano accedere. Evidentemente laurearsi alla Bocconi dava un "marchio" diverso, ma anche aprire a tutti l'Università statale senza nessuna selezione mi sembra abbia solo riempito l'Italia di laureati che davanti a un'aspettativa di vita migliore, si sono invece trovati a sgomitare con schiappe arrivati al titolo di studio senza nessun merito se non quello di essersi parcheggiati nelle università e alla fine essersi laureati per sfinimento. :))
 
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