Creato da veuve_cliquot il 10/01/2011

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"Non mi piace la via che conduce qui e là. Non bevo alla fonte verso cui tutti s'intruppano. Detesto ciò che é comune, popolare e senza regole" Callimaco

 

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CARAVAGGIO

Post n°120 pubblicato il 18 Marzo 2012 da veuve_cliquot

Caravaggio: Vocazione di San Matteo

 

Di questa mia lunga assenza dalle pagine del blog, è responsabile, ma non solo, una permanenza di una settimana a Roma. Potrei definirla una immersione nella bellezza dell’arte, con un percorso che potrebbe intitolarsi “sulle orme di Caravaggio”. Amo molto Roma, ma non c'ero mai stata per una settimana. Spesso ho fatto delle tappe “mordi e fuggi”. Due anni fa ho visto la mostra su Caravaggio alle scuderie del Quirinale e l’anno scorso ho visitato il palazzo Doria Pamphilij, ma in entrambi i casi ero arrivata al mattino e ripartita la sera, con unico scopo questi due itinerari artistici. Altre volte ero andata a Roma ma sempre per soggiorni abbastanza brevi e spesso legati al lavoro, soggiorni che mi avevano consentito qualche mezza giornata per girare soprattutto per le strade e ammirare i monumenti. Questa volta invece ho programmato la mia visita, prenotando i musei vaticani (in passato vari tentativi di entrare senza prenotazione erano stati scoraggiati dalla lunghezza della fila in attesa che circondava le mura vaticane), la mostra sul Tintoretto alle scuderie del Quirinale e palazzo Borghese (anche se già visitato in passato, avevo voglia di rivederlo). E soprattutto avevo identificato le chiese in cui sono esposti quadri di Caravaggio: San Luigi dei Francesi, Sant’Agostino e Santa Maria del Popolo. Dovrò senza dubbio ritornare ai musei vaticani: anche se sono rimasta dentro più di cinque ore, sono così pieni di opere d’arte che una sola visita mi è sembrata assolutamente insufficiente anche perché dopo un po’ la stanchezza e forse l’eccessiva emozione di trovarti davanti a tanti capolavori, non ti permette di gustarli con la dovuta comprensione.

Ma di questo soggiorno ricorderò senza dubbio il Caravaggio. Non sono un esperto d’arte, ma il ritrovarmi davanti a capolavori che avevo solo visto nelle foto dei libri d’arte, mi ha veramente emozionato. Avevo già ammirato Caravaggio nella bellissima mostra che si era tenuta alle scuderie del Quirinale due anni fa, mostra che ricordo ancora come la più bella che abbia mai visto: quello che si vede ammirando i quadri “dal vivo”, nessuna foto d’arte, anche la migliore riesce a farti vedere. Ricordo ancora l’impressione che mi aveva suscitato la “Cena di Emmaus” della National Gallery di Londra: il discepolo che appoggia le braccia ai braccioli della sedia, colto nel momento di stupore nel riconoscere Gesù, aveva un movimento così naturale, da sembrare che si stesse realmente alzando dalla sedia, il movimento che percepivi sembrava sarebbe continuato. Forse sono attimi, momenti che rimangono impressi nella tua mente rimanendo indelebili e facendoti realmente capire la grandezza di un artista e da parte mia un “innamoramento” che credo continuerà per tutta la mia vita.

E la stessa impressione mi ha dato la “Vocazione di San Matteo” a San Luigi dei Francesi: l’espressione di stupore e di sbigottimento di Matteo che ha una mano sul tavolo sopra il danaro e l’altra mano sopra il petto, e che sembra dire “chi, io?”. Ti sembra proprio di udire queste parole, di sentirle attraverso l’espressione del viso e il gesto della mano, tu sei lì che assisti alla scena, fai parte di essa e capisci cosa si sta svolgendo davanti ai tuoi occhi. Indimenticabile, come indimenticabili sono tutti gli altri quadri del Caravaggio che ho potuto ammirare.

Ma tralasciando questa immersione nella bellezza che ho avuto in quei giorni romani, voglio fare due considerazioni.

Mi ha stupito che quadri di questa bellezza e importanza venissero offerti alla vista di chiunque senza nessun “riparo”: è vero che gli altari in cui erano esposti avevano una bassa grata metallica che impediva di arrivare troppo vicino all’opera e probabilmente se si fosse superata la grata sarebbe suonato qualche allarme, ma se qualche pazzo (non potrei definire altrimenti una persona simile) avesse portato della vernice o dell’acido da lanciare contro queste opere, avrebbe facilmente raggiunto il suo scopo. Nessun vetro o altra barriera le protegge, sono spesso sistemate in piccoli altari che rendono anche difficile poterle ammirare comodamente (è il caso della Crocefissione di San Pietro e della Conversione di San Paolo a Santa Maria del Popolo) e assolutamente senza protezione. Inorridisco all’idea che queste opere possano essere rovinate da qualcuno e dentro di me ho sperato che non fossero gli originali ma delle belle copie. Ho pensato dentro di me che sarebbe meglio magari trasportarle nella sacrestia e metterle in una sicurezza maggiore, lasciando sull’altare solo delle copie (in molte chiese spagnole ho visto capolavori messi proprio nelle sacrestie, dietro una parte a vetro che ne impediva qualsiasi avvicinamento e magari con un piccolo biglietto d’ingresso che potrebbe andare alla chiesa che li possiede). Mi sembra quasi che in Italia, l’eccezionale quantità e qualità delle opere d’arte che possediamo determino una certa incuria e fiducia nel prossimo che forse è un po’ eccessiva.

L’altra considerazione invece riguarda le persone che mi circondavano: ho visto ben pochi che ammiravano con i propri occhi questi quadri esposti nelle chiese: i quadri venivano visti attraverso l’obiettivo dei cellulari o delle macchine fotografiche. Molte persone arrivavano già con il cellulare puntato sul quadro, esso veniva inquadrato e la foto scattata, nemmeno un momento per “vedere” con i propri occhi il quadro. Gli occhi non guardavano direttamente il quadro, ma in mezzo c’era l’obiettivo, come se gli occhi non riuscissero a vedere ma necessitassero dell’obiettivo come gli occhiali per un miope. E questo l’ho visto soprattutto nei giovani ma anche in persone intorno ai 30 anni. Già entravano nella chiesa con il cellulare o la macchina fotografica puntata, come se fosse un’appendice del proprio corpo. E scattata la foto, questa veniva rivista e quindi si allontanavano, nemmeno un momento per gustare e farsi “entrare dentro” la bellezza di quello che avevano davanti. Guardavano senza vedere, senza sentire cosa il pittore aveva voluto dire. Non so se rivedere queste foto sul p.c. possa ancora dare delle emozioni, ma senza dubbio per vedere delle foto di opere d’arte, ci sono fotografi professionisti che riescono a farne di migliori. Personalmente non ho scattato nessuna foto di opere d’arte, limitandomi in questo soggiorno a qualche scorcio panoramico dalle vie o a qualche facciata di palazzo alcune volte incorniciata da un po’ di verde. Senza dubbio le foto di questi ragazzi verranno messe su F.B. per essere condivise dagli amici, ma, attraverso queste foto, quanta emozione verrà condivisa, quanta bellezza verrà data da chi non l’ha vista perché troppo occupato a fotografare?

 

 
Rispondi al commento:
veuve_cliquot
veuve_cliquot il 19/03/12 alle 22:23 via WEB
Probabilmente hai centrato il significato di questa compulsione allo scatto fotografico: esso diventa l'attestazione dell'"io ci sono". Io esisto perché sono stato là e te ne do testimonianza attraverso una foto che diventa testimone del fatto. Non so quale soddisfazione si possa trarre da ciò, ma forse sono nata nel secolo scorso e non riesco ancora a capire questa pratica. L'avere di Fromm si è trasformato nell'esserci, Io sono non più in quanto ho ma in quanto ci sono. E la foto che ho scattato ne è la testimonianza. Cosa poi ho fotografato non ha importanza, quello che è importante è poterti dire che io in quel posto ci sono stato. Cosa ho visto o cosa c'era ha poca importanza. :))
 
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