Flashback di ricordi

Bussana, il borgo che visse due volte: la rinascita


            
    
Alla fine degli anni cinquanta alcuni artisti scoprirono il villaggio e decisero di stabilirvisi creando una comunità artistica ideale. Il fondatore fu l'artista torinese Mario Giani (in arte Clizia), che dopo aver scoperto il luogo nel 1959, volle, con altri artisti, venire ad abitare nel villaggio. Venne redatta una specie di costituzione che ne regolava la vita. Dato che le case semidistrutte non erano più di proprietà di nessuno, chiunque avesse voluto stabilirsi nella vecchia Bussana avrebbe potuto scegliersi il proprio rudere e ristrutturarlo usando esclusivamente i materiali ancora presenti sul luogo. Si poteva usufruire di esso  solo per finalità artistiche, e quando si decideva di abbandonare il villaggio, colui che subentrava doveva solo rifondere le spese effettuate per la ristrutturazione. In caso di abbandono per più di tre anni, i locali ristrutturati dovevano ritornare alla comunità, che poteva assegnarli ad altri artisti. Inoltre, non era allora ancora consentito vendere le proprie opere o mettere in piedi atelier nel borgo. Durante questo periodo, il villaggio attirò molti artisti itineranti, che potevano dormire e mangiare per poco o niente in un ostello organizzato da Clizia. L'acqua doveva essere trasportata a mano all'interno del villaggio, come qualsiasi materiale da costruzione non ricavabile dalle macerie. Non c'era all'epoca alcun servizio sanitario né fognario. Questa costituzione funzionò fino a quando gli abitanti del villaggio, circa una dozzina, cominciarono a ritenere poco corretto che il frutto del loro duro lavoro di ristrutturazione dovesse appartenere all'intera comunità, quindi optarono per il mantenimento comune solo di alcuni luoghi, tra cui una galleria che raccoglieva le opere di tutti gli artisti del villaggio. Nel 1963 Clizia abbandonò il borgo, nel frattempo abitato ancora solo stagionalmente, ma il nucleo di artisti continuò a crescere, fino ad arrivare ad una trentina di persone nel 1968. Bussana Vecchia era ormai divenuta internazionale: si era creato un villaggio di artisti e liberi pensatori che comunicavano tra loro principalmente in inglese e francese, riunendosi in spazi comuni. Alcune divergenze interne, tuttavia, cominciarono a dividere gli artisti, e gli spazi comuni andarono sempre più restringendosi, fino al 1968, quando nacque il primo atelier individuale. Intanto, mentre gli abitanti stagionali ritenevano che fosse sufficiente per le proprie esigenze vivere con candele e acqua di fonte, la popolazione stanziale spingeva per l'allacciamento del paese alla rete idrica ed elettrica. Intanto, si era arrivati agli inizi degli anni settanta, che videro i primi problemi interni sul riconoscimento legale dei luoghi: la proprietà privata iniziò a delinearsi come una necessità, in netto contrasto con gli ideali iniziali della Comunità degli Artisti. Nel frattempo, i discendenti degli abitanti originari del paese fondarono l'associazione degli "Amici di Bussana", con l'intento di riappropriarsi delle zone appartenenti ai propri antenati, ed in tal modo cintarono e dichiararono propria l'intera area nord del paese. In questo periodo, il villaggio era ancora visitato solo da un turismo di élite, poiché gli stagionali avevano altre risorse per vivere e si recavano a Bussana Vecchia dei periodi limitati, motivati da fini creativi. Ben diverse erano le esigenze di coloro che avevano cominciato a risiedervi ormai permanentemente e che dovevano vivere solo coi proventi della propria attività artistica. Essi miravano ad attirare nel luogo, a fini di lucro, il turismo di massa, come di fatto avvenne. Intanto, nel 1974, l’acquedotto comunale venne allacciato al paese. Con l’inizio degli anni ’80 la popolazione residente ammontava ormai ad un centinaio di abitanti. Gli abitanti non erano più esclusivamente artisti come in principio, poiché, il boom economico di quel periodo spinse molti ad investire nel turismo estivo, ed infatti furono aperte botteghe artigianali meno attente agli aspetti artistici, che abbassarono il livello qualitativo delle opere prodotte.