La parola...

25 aprile


Da 'Il Manifesto''Par­lare oggi del 25 aprile sem­bra deci­sa­mente con­tro­cor­rente, se si pre­scinde dalle cele­bra­zioni rituali e buro­cra­ti­che, e non solo per­ché per ragioni fisio­lo­gi­che la gene­ra­zione della Resi­stenza anno dopo anno si va assot­ti­gliando, ma soprat­tutto per­ché il con­te­sto che ci cir­conda risulta sem­pre più indif­fe­rente ed estra­neo allo spi­rito che con­sentì la pas­sione e l’esperienza della Resi­stenza prima e suc­ces­si­va­mente la rico­stru­zione delle com­po­nenti mate­riali del paese distrutto e della vita demo­cra­tica.Ma non mera­vi­glia nep­pure l’indifferenza se non l’idiosincrasia con le quali anche in ambiti cul­tu­rali il rac­conto della Resi­stenza viene stem­pe­rato in un sem­pre più pro­nun­ciato qua­lun­qui­smo delle parole che denun­cia in realtà la lon­ta­nanza dall’oggetto del rac­conto. Ne deriva una sorta di cari­ca­tura della Resi­stenza che non ha nulla a che fare con un natu­rale e neces­sa­rio pro­cesso di sto­ri­ciz­za­zione a oltre settant’anni da que­gli eventi, ma che riflette piut­to­sto uno spi­rito di par con­di­cio pro­fon­da­mente intro­iet­tato nell’opinione comune, quasi a non volere fare torto a nes­suno con il risul­tato di col­lo­care tutte le parti in lotta sullo stesso piano. La pre­sunta equi­di­stanza che tra­duce gli eventi ter­ri­bili del 1943–45 nel ripar­tire il ter­rore da una parte e dall’altra è la nega­zione di quella dispa­rità di valori che fu nella copn­vin­zione di coloro che sali­rono in mon­ta­gna o affron­ta­rono la guer­ri­glia in ambito urbano. Vice­versa, fare la sto­ria a tutto campo facen­dosi carico anche delle ragioni dell’altra parte non vuole dire appiat­tire i ruoli e met­tere tutti allo stesso livello, misco­no­scendo ancora una volta la dif­fe­renza tra chi ha com­bat­tuto per la libertà e chi ha soste­nuto sino alla fine la bru­ta­lità della dit­ta­tura e dell’oppressione. L’anestesia del lin­guag­gio non è che l’espressione in super­fi­cie dell’anestesia della memoria.'