Marasma dialettico

Post N° 52


 Una creatura è invischiata nel fango, ha gli abiti sudici di questa melma grigia, fa fatica a tenersi in piedi, il peso della terra sporca è insostenibile, i muscoli sono in tensione come un Prometeo incatenato, ogni movimento risulta rallentato, appesantito, difficile. Nell’atto di voltarsiovvero avvitarsi su se stesso nel pieno dello sforzo, la creatura mostra le ali.Anch’esse, come il resto del corpo, sono lerce ed imbrattate di terriccio, gocciolanti, neanche il ricordo di quelle che furono quando vibravano nell’aria consentendogli di spiccare il volo nel cielo. Ora pendono in basso bagnate, ipotoniche, atrofiche: arti inutili, arti mal funzionanti, arti nel fango come esperienza di dolore. La creatura nel fango fu un angelo dalle ali bianche che, distratto alle cose della terra, faceva giravolte nel cielo avendo come unico disegno quello di avvicinare la stella più grande, la più luminosa. Era un angelo solitario, appartato, così soddisfatto delle proprie ali bianche da risultare sordo ai rumori che gli uomini urlavano nei loro mille traffici. Il cielo era
l’unica parte della casa ove ogni creatura cessava il suo verso, le sue parole, i suoi latrati, il suo guaire esasperato. E l’angelo amava dire in silenzio affinché nessuno ascoltasse, nessuno replicasse il suo pianto. Ora l’angelo nel fango ricorda la sua vita celeste e silenziosa con una certa rabbia. Quando decise di volgere lo sguardo agli uomini trafficanti, ebbe un sussulto e fu sul punto di desistere. Partì verso il latrare umano divenendo improvvisamente maleodorante. Intuiva che qualcosa non avrebbe funzionato ma la necessità di andare era più forte del bisogno di restare nel cielo. La potenza del desiderio degli angeli è pari alla massa universale. Un angelo che volge lo sguardo agli uomini è origine di maremoti. Quando l’angelo precipitò nella melma, ci fu effettivamente un maremoto. L’angelo solleva lo sguardo al cielo, smette di tirare, tutto sembrerebbe compiuto, non resta che desistere e lasciarsi andare nella terra.Ed invece.Abbassa lo sguardo a terra, ricomincia a tirare, una nuova forza sembra impossessarsi di lui, le ali battono a liberarsi della melma per farsi di nuovo leggere, non è tutto perduto, bisogna tirare più forte, bisogna lasciare esplodere i muscoli, allargare le braccia, serrare le dita in un pugno di rabbia, allargare le gambe e fare presa maggiore a terra. E’ possibile venirne fuori, è possibile volare via dal fango. L’angelo smette di guardare i suggerimenti celesti e fiducioso offre i suoi occhi alla terra fangosa, in quel misto di argilla, sangue, sudore, pianto, forza, desiderio, muscoli, ossa, petrolio.“Avevo in mente di scriverti qualcosa qui..e leggendo capisci da solo perché mi ha ricordato te..t bacio”