Ira Viola

Post N° 368


3.1 Il blog come piazza Dalle risposte del 20% dei blogger intervistati emerge chiaramente l’insoddisfazione per la realtà che minaccia la loro personalità a favore della realtà virtuale che invece aiuta a essere se stessi. Nella virtualità ci si sente più veri che nella realtà perché si è veramente liberi in quanto siamo noi che ci creiamo la nostra interfaccia secondo i nostri gusti, la nostra percezione estetica e dunque la nostra personalità, non come nella realtà dove sono gli altri e la società ad imporcela. Come affermava il sociologo Erving Goffman in Il rituale dell’interazione (Il mulino, Bologna, 1988) "quando un soggetto ha la sensazione di essere esposto con la propria faccia, egli prova un senso di fiducia e sicurezza". Il profilo è dunque una sorta di carta d’identità che non ci chiede quanto siamo alti e di che colore abbiamo i capelli, ma ci chiede cosa ci piace e cosa invece non ci piace. Ci guarda dentro e non fuori. E questo, in una società dove l’immagine vale più della sostanza e modelli imposti dalla cultura ci perseguitano per omologarci al sistema dei valori e dei canoni dominanti, è rivoluzionario. Possiamo esplorare noi stessi dando voce a tante identità quanti sono i lati del nostro carattere.Come i personaggi pirandelliani si dimenano sul palcoscenico cercando il proprio autore, che dia loro una forma e la possibilità di esistere, così le particolarità della nostra personalità possono emergere dal torpore che domina nella vita quotidiana ed esprimere il bisogno di confrontarsi. Negata l’identità, somiglianza, mimesi e riproduzione formale perdono senso e un ritratto può essere reso in chiave simbolica, in assenza della persona, per mezzo di tracce e gesti che ne descrivano le pulsioni emotive, l’universo interiore.Sherry Turkle, sociologa al MIT, dopo vent’anni di ricerche sul campo, pubblica La vita sullo schermo (Apogeo, 1997) dove si chiede se la vita reale e la vita virtuale siano veramente mondi distinti e separati ed evidenzia come il nostro rapporo con il computer stia modificando la nostra mente e i nostri sentimenti. E’ interessante ed esplicito questo estratto che segue, da un’intervista per il quotidiano La Repubblica del 31 maggio 1999: Quando si va online, quando si accede a un servizio in Rete, una chat, ci si chiama “Il ragazzo Armani”, in un’altra “Il Motociclista”, in un’altra ancora si usa il proprio nome. Quando scegliamo un determinato nome, compiamo il primo passo verso la creazione di un’identità grazie alla quale potremo esplorare diversi aspetti di noi stessi. Non è vero, dunque, che in Rete si sviluppino identità molteplici o disturbi della personalità; piuttosto ci si accorge di poter attraversare le varie componenti della propria natura e credo che in questo modo si arrivi ad apprezzare meglio il fatto che dentro ognuno di noi c’è una molteplicità di componenti. Siamo stati abituati a concepire l’identità come una specie di unità: io sono ‘uno’. Oggi si guarda all’identità come a una realtà molto più fluida, che risulta dall’insieme dei tanti sé che coesistono all’interno dell’uno. Perciò credo che il nostro concetto di identità stia davvero cambiando man mano che approfondiamo la conoscenza di noi stessi mediante questo nuovo mezzo di comunicazione. C’è, nell’uomo contemporaneo, la necessità di esistere in uno spazio nella rete, non più nella luce come nella fotografia, nel movimento come nel cinema o nelle frequenze come nelle radio libere. Oggi, nel nuovo millennio, c’è bisogno di una rete che ci acchiappi tutti e ci sollevi dalle acque torbide di un mare in tempesta?Nella realtà siamo troppo alienati, indecisi e premurosi verso la nostra immagine reale, mentre nel virtuale, con una maschera rappresentata da vari elementi come il nickname o la grafica del blog, riusciamo a non avere pudori. Ognuno di noi, andando a scuola dalle elementari al liceo, ricorderà sicuramente il compagno emarginato, quello deriso, vittima di ogni genere di bullismo, di solito perché grasso, non vestito alla moda o con i brufoli. Costui entrava in aula per primo e ne usciva per ultimo, evitando i contatti con i compagni. Si portava dentro di sé, ogni anno, un fardello, il peso di essere lo scemo del villaggio. Non possiamo stupirci se ragazzate adolescenziali hanno delle conseguenze serie su di un ragazzo più debole degli altri, così questo giovane avrà sempre paura del contatto, avrà paura di essere simpatico perché troppe volte gli hanno riso in faccia, avrà paura ad avvicinarsi ad una ragazza perché è sempre stato snobbato dalle compagne. Per lui, la possibilità di interagire con gli altri attraverso una chat sarà magnifica, quasi provvidenziale. Il computer, in questo caso, agisce come la livella di Totò: ci rende tutti uguali. Così il bel ragazzo, idolo delle ragazzine, in una comunità virtuale sarà considerato allo stesso modo del ragazzo con i brufoli. Perché l’idea di noi, che vogliamo dare, possiamo crearla a tavolino, con tutto il tempo di riflettere e decidere. Se non va bene si può sempre cancellare, forse con questo gesto estremo una parte di noi morirà, ma sarà sempre e in ogni caso una nostra libera scelta.Viviamo nella rete come su di una piazza, di una città immaginaria, utopica, fondata veramente su noi stessi, e non come nella realtà che è fondata sul lavoro, sulle gerarchie e sul valore del denaro. Nella realtà virtuale ci si veste di parole e di immagini sotto lo sguardo del passante che ha tutto il piacere di soffermarsi su chi gli sembra, a prima vista, affine, e non come nella realtà dove non c’è mai tempo per fermarsi perché le nostre vite sono regolate da orari rigidi e preconfezionati e la gente va per forza sempre di fretta, ed è perennemente distratta. Il blog è come un marciapiede dal quale posso urlare ciò che mi tormenta e coinvolgere chi passa per caso. Se camminando per Bologna, piuttosto che bevendo un drink in un bar, vedessi da lontano, venirmi incontro, una persona che mi ispira affinità per come è vestita piuttosto che dal libro che ha in mano, e la fermassi per conoscerla, sarei sicuramente vista in modo sospetto probabilmente come una che vuole vendere un abbonamento in palestra o se si tratta di un incontro tra un uomo e una donna, sarei vista come una dai “facili costumi”. Così il mio tentativo di interagire fallirebbe in meno di cinque minuti. Nella realtà virtuale invece nessuno mi considererebbe pazza se iniziassi a parlare con il primo che incontro. Perché nelle comunità virtuali gli utenti sono completamente disponibili al dialogo e alla conoscenza reciproca e magari anche ad un incontro al di fuori della virtualità, ovvero nella realtà. In rete nascono legami forti, basati o meno sulla condivisione di una passione o di un problema, che godono dello stesso rispetto e della stessa dignità dei rapporti che nascono nella realtà. Nei mmog, come nelle chat, gli avatar si sposano e le persone vivono la vita dell’avatar con lo stesso entusiasmo di come vivrebbero la propria esistenza reale.Proprio per la libertà di reinventarsi che le comunità virtuali consentono, alcune persone, quando si collegano ad Internet e assumono una nuova identità, spesso scelgono un personaggio di sesso opposto al loro. Uomini si presentano online come donne e molte donne si presentano come uomini. Magari solo per scoprire come ci si sente ad esplorare aspetti della propria sessualità che hanno a che fare con l’appartenenza all’altro sesso, può succedere di vivere un flirt dall’altra sponda. Per molte persone questo atteggiamento può diventare una presa di coscienza sull’universo dell’altro sesso. Molte delle mie studentesse si collegano alla Rete con un nome maschile, e scoprono di non trovare nessuno pronto ad aiutarle come quando compaiono come donne. Ma non solo, ci sono persone che fanno vere e proprie esperienze sessuali online. Inviando, in tempo reale, ad un’altra persona descrizioni di sensazioni e gesti di natura sessuale, si masturbano. Il fatto straordinario è la profondità del coinvolgimento emotivo, le persone si innamorano sul serio perché ci si rende conto che non si ha a che fare con una macchina, un computer, ma con un’altra persona. Dunque Internet diventa come un prolungamento del corpo. Un tempo i computer aiutavano a pensare, oggi anche a provare emozioni.La rete dimostra come l’uomo contemporaneo non sappia più comunicare con i suoi simili, semplicemente guardandosi negli occhi. Ma lo può fare con un blog. Infatti, nel caso dei blog che entrano nella tipologia del diario personale, noi non possiamo sapere chi c’è dietro un monitor come negli esempi dei blogger che abbiamo fatto prima, in quanto l’anonimato è una caratteristica comune dei blogger di questa categoria. E’ come se sopra la persona che scrive la sua vita ci fosse un velo che lascia intravedere l’essenza, la lucentezza e fa sentire le emozioni, ma non lascia vedere la persona reale con i propri tratti somatici. Nella blogosfera l’avatar, ovvero il proprio doppio virtuale, è incarnato dallo stile della grafica, dalla scelta delle immagini e dei colori e dal carattere del testo che si sceglie di usare. Ed è così che il proprio mondo interiore soffocato nella realtà quotidiana, affiora nella virtualità.  3.2 Il paradosso della comunicazione Come abbiamo detto, la realtà virtuale nei casi più estremi può essere provvidenziale. Ma non possiamo ignorare le probabilità che questa meraviglia si trasformi in una gabbia, dorata sì, ma pur sempre una gabbia.Il ragazzo che a scuola è stato vittima del bullismo dei compagni, potrebbe decidere di chiudere la porta della realtà per sempre, perché dalla finestra della virtualità può vedere il suo riscatto, può vivere la vita che ha sempre sognato. Con la virtualità può surrogare i bisogni e i desideri che non può soddisfare nella realtà. Nell’articolo Internet addiction: does it really exist? Mark Griffiths osserva che i giovani dipendenti da Internet possono stare davanti al terminale una media di 38,5 ore alla settimana, rispetto alle circa quattro ore degli utenti "normali". Per questi utenti, Internet viene ribattezzato "Prozac della comunicazione" in quanto risultano più aperti e amichevoli sulla rete che non nella vita normale. A lungo andare, la virtualità potrebbe portare i soggetti più deboli ad allontanarsi completamente dalla realtà. Il blog che dovrebbe raccontare e contenere la vita, finirebbe per essere la vita stessa. Quindi il sé, con la sua reale fisicità, scomparirebbe a favore di un simulacro.Nella rete, il giovane emarginato, troverà tutto quello di cui ha bisogno e sarebbe finalmente felice. Ma per preservare cotanta felicità dovrebbe escludere ogni contatto fisico, reale. Vivrebbe una vita di illusioni. Toccare i tasti della tastiera del computer non può dare piacere come stringere la mano della persona che si sente vicino. Però potrà avere degli amici virtuali pronti a dargli quell’affetto, che magari anche loro vorrebbero nella realtà, e che nessuno gli dà. Ma per quanto il computer possa surriscaldarsi emanando calore, non sarà mai caldo come l’abbraccio di un amico reale, in carne ed ossa. Per quanto possano nascere degli amori, non sentire il battito del cuore di chi ci sta accanto non può darci quella sicurezza e quella fiducia che solo negli occhi luccicanti di una persona innamorata si può leggere.La donna sposata appassionata di poesia, dell’esempio del primo capitolo, restando in casa per il quieto vivere farà il gioco della società. Se ella non ci trova nulla di male a frequentare altre persone, dovrebbe lottare per poterlo fare, affrontando a testa alta le malelingue del vicinato e le preoccupazioni del marito.Un blogger che si sfoga in un post raccontando i suoi problemi riceverà sicuramente un commento di qualcuno che cerca di tirargli su il morale con parole speciali e cariche di affetto. Il blogger sarà felice di quelle piccole, ma grandi, attenzioni che gli strapperanno un sorriso, ma non potrà fare a meno di ascoltare il silenzio che lo circonda. Nessuno busserà alla sua porta per trascinarlo all’aria aperta e fargli sentire com’è dolce il respiro del vento, altro che valvole del computer!La realtà virtuale deve essere considerata come un’estensione della realtà, non come un’alternativa di essa. Questa straordinaria tecnologia che ci da la sensazione di esserere onnipresenti e onnipotenti, una cosa impensabile fino a pochi anni fa, può trasformarsi in una minaccia per l’umanità perché mentre ci avvicina, inevitabilmente ci allontana. Prima dei cellulari e dei programmi di Instant Messaging, per parlare con un amico o semplicemente per starci insieme bisognava uscire di casa e incontrarsi per strada, essere fisicamente presenti in luoghi pubblici. Oggi posso chattare ed eventualmente con una webcam posso anche videochiamare il mio amico senza muovermi da casa. La virtualità quindi avvicina le anime, ma allontana i corpi. Potrebbe farci alienare ancora di più. Dobbiamo ricordare sempre che prima di ogni altra realtà, esiste la nostra vita e il mondo che ci circonda.