Ira Viola

NERE INVISIBILI


Nigeriane in Italia. Vendute, picchiate, stuprate. Non denunciano mai, per paura del rimpatrio. Anche quando i violentatori sono i maghrebini del Casertano:sfogatoio perfetto, calmieratore di tensioni sociali ed etniche. Di Laura Maragnani in Stupro 20 ottobre 2006 il problema è solo questo, dice Isoke: da dove cominciare a raccontare. Da Judith, 14 anni appena, che alla sua prima sera di lavoro sui marciapiedi romani della Salaria è stata stuprata e picchiata dal primo cliente, e poi lasciata sull'asfalto più morta ke viva? O da Joy, che era incinta, e che ha perso il bambino ke aspettava? Da Gladys, a cui un cliente ha distrutto l'ano violentandola tre, quattro volte di fila? O da Rose, stuprata da chissà quanti e in chissà ke modo, fino ad avere l'utero perforato; e che, pure, non osava nemmeno mettere piede in un ospedale per curarsi? Non sono le storie che mancano. Anzi, sono perfino troppe, quaggiù, sugli affollati marciapiedi d'Italia. Gli stupri qui sono roba quotidiana; violenti, se non addirittura atroci; eppure assolutamente invisibili, e dunque assolutamente impuniti:<perchè le ragazze non denunciano mai. E nemmeno vanno al pronto soccorso, a meno di non essere moribonde>, spiega Isoke. E la voce le trema. Le viene da piangere.Isoke ha 27 anni, è alta, mora, bella. Nigeriana. Di Benin City. E' da Benin che provengono, a migliaia, le ragazze buttate dal racket sui marciapiedi italiani, 10-12 ore al giorno di macchine e di clienti, esposte in mutande e tacchi a spillo a ogni genere di violenza e di aggressioni. Lei, trafficata come le altre, è riuscita a uscirne e a salvarsi. Oggi vive ad Aosta, sta per sposare un italiano. E insieme, lei e io, stiamo scrivendo per l'editore Melampo un libro sulla tratta. Sulla sua esperienza di ieri e sul suo lavoro di oggi: uno, <dare voce a chi non ce l'ha>, ossia alle ragazze che ogni sera scendono in strada senza sapere se mai ritorneranno, xkè sono <almeno duecento, stando alle cronache dei giornali, quelle che negli ultimi anni sono state accoltellate, strangolate, uccise a furia di botte o di iniezioni di veleno agricolo>, senza contare quelle torturate e stuprate e massacrate, ma che in qualche modo sono tornate a casa vive, e dunque non fanno assolutamente notizia; due <cercare di creare una rete, di trovare insieme un percorso di uscita, un'alternativa alla strada>; tre, <mettere in piedi una casa-alloggio per le ragazze che non ne possono più>. Aprirà tra poche settimane, ad Aosta. E si chiamerà, ovviamente, la Casa di Isoke. Sottoscrivete. L'indirizzo è rbc_isoke@yahoo.it . Allora, dice Isoke. Questa storia degli stupri etnici. Le ragazze la vivono tutti i giorni, ogni volta ke vanno al lavoro. Ogni sera escono di casa con due pensieri in testa: forse questa è la sera che incontro il cliente ke mi aiuta, ke magari mi risolve un po' il problema del debito. Trenta, cinquanta, sessantamila euro. Il costo ke le ragazze pagano per arrivare in Italia, con la promessa di un lavoro che le salverà dalla miseria di Benin City. Arrivano qui, dice, e scoprono che il lavoro è poi sempre uno e uno soltanto, il marciapiede. E sul marciapiede succede di tutto; ma voi non lo sapete. E dunque il secondo pensiero che le ragazze, ogni sera, hanno in testa è questo: speriamo che non mi succeda niente. Ma a una o all'altra qualcosa succede. Sempre. Gli stupri sono la regola. Tutti i giorni, dice Isoke. Tutti i giorni gliene segnalano uno. Stavamo scrivendo la storia di Osas, arrivata a Torino dopo due anni (due anni? <sì, due anni interi>) di viaggio attraverso l'Africa, su su dalla Nigeria fino al deserto del Sahara. In 60 stipati su un camion, senz'acqua né cibo, e quelli ke erano di troppo venivano lasciati giù. Così. A morire. Mentre il camion proseguiva verso il nord del Marocco su una pista punteggiata di ossa e di cadaveri freschi. Arrivata a Torino, Osas è stata buttata sulla strada. Caricata da un cliente. Dove andiamo? Ha chiesto lui. <posto tranquillo> ha detto lei; era una delle poche frasi ke le avevano insegnato le compagne di lavoro. Solo che il posto tranquillo di lui era una cascina semidiroccata nell'hinterland torinese, spersa nella nebbia e nel freddo. E arrivati lì lui le ha puntato un coltello alla gola. L'ha violentata, picchiata, rapinata. Lei ha urlato e urlato. Da un'abitazione vicina una voce ha gridato: <ma bastam ma finitela. State zitti>. E solo dopo ke l'uomo se n'è andato qualcuno ha osato mettere il naso fuori. Un ragazzo con un cane. Che vuoi, ha chiesto mentre il cane le ringhiava contro; che cosa è successo. Poi l'ha caricata in macchina e l'ha riportata a Torino. <E' stato uno degli uomini più gentili ke ho incontrato in Italia> dice Osas adesso. Bene. Stavamo scrivendo di Osas quando a Isoke è arrivato un messaggio dalle ragazze di Verona. E' sparita Prudence. Arrivata una settimana fa dalla Nigeria. Vent'anni. Analfabeta. Non una parola che sia una di italiano. Prudence non tornava a casa da due giorni. A casa aveva lasciato i suoi vestiti e le sue poche cose. Le compagne di strada la stavano cercando dappertutto. Ospedali, questure. Niente. Fino a che è ricomparsa. Irriconoscibile. Sfigurata dalla botte. Quasi non riusciva a camminare. Che cosa è successo, le ha chiesto Isoke in dialetto ebo. <mi hanno bucato l'utero, mi hanno bucato l'utero>. Prudence riusciva a dire solo quello, ossessivamente. A fatica abbiamo saputo che un cliente l'aveva caricata al suo joint, che è lo spicchio di marciapiede che ogni ragazza ha in dotazione e per cui paga a chi di dovere un affitto mensile che va dai 150 ai 250-300 euro. L'aveva caricata e portata chissà dove. E violentata. E riviolentata. E picchiata. Massacrata. Derubata. Scaricata in un bosco, a chilometri dalla stanzetta che Prudence considerava casa sua.Prudence è rimasta in quel bosco tutta la notte, tutto il giorno dopo. Senza mangiare né bere. Sconciata. Sanguinante. A fatica s'è poi trascinata fino ad un campeggio, c'era gente che faceva vacanza, che l'ha riportata a Verona. Lì è finalmente riuscita a orientarsi. È tornata a casa. <mi hanno bucato l'utero, mi hanno bucato l'utero>. In ospedale non ci è voluta andare, per paura ke la polizia la rimandasse a casa. Rimpatrio forzato. Così com'era, in mutande. A marcire in una prigione di Benin City dove le altre detenute ti violentano con una bottiglia, ridendo e dicendo: cosa è meglio, dicci, questa bottiglia o quello ke sei andata a goderti in Italia. Di Prudence non abbiamo saputo più niente. E' difficile per una donna italiana ascoltare storie del genere. Ascoltare Isoke ke dice: ogni africana stuprata è un'italiana salvata. E' difficile. E' orribile. Ma vero. I nostri uomini, gli italiani. Stupratori a pagamento, li chiamano le ragazze sulla strada. Quelli che perchè pagano i 25 euro della tariffa standard si sentono in diritto di esigere qualunque cosa. Cazzo ti lamenti, bastarda. I soldi li hai avuti. Succhia. Girati. Apri il culo. E giù botte. Hanno l'ossessione del culo, gli italiano che vanno a puttane.< dicono: voglio fare quello che con mia moglie non faccio mai>, spiega Isoke. <scene da film porno. Tutto quello ke hanno visto nei film porno e con la moglie non hanno il coraggio o il permesso di fare>. Ho pagato, è la frase chiave dello stupratore da 25 euro. E giù botte, se solo dici di no. Gladys non riesce quasi più a camminare. Un cliente le ha sfondato l'ano. Era <come una bestia> dice, l'ha costretta a subire una, due, tre, quattro violenze, a un certo punto Gladys ha sentito <come un distacco, nel profondo>. Da quella lacerazione non è più guarita. Ospedale? Cure? Denunce? Ha una paura terribile, Gladys. Non ne vuole sapere. Si trascina sul marciapiede a fatica, ogni sera. Ormai zoppica. E non c'è verso di convincerla ad andare da un medico. Dice : <se la polizia lo viene a sapere mi rimanda a casa>. E' la regola. Dice Isoke: < a volte le ragazze ridotte molto male finiscono al pronto soccorso. Ma devono vermanete essere ridotte molto, ma molto male. Incoscienti. In coma>. Al pronto soccorso non è che le trattino coi guanti. Dovrebbe essere rispettata la privacy, certo. Ma chi mai dice ke la legge valga anche per le puttane negre clandestine? A volte infermieri e medici sono cattivi, a volte addirittura strafottenti. Chiamano la polizia. La polizia prende svogliatamente la denuncia; poi ti da il foglio di via. Sei la vittima di uno stupro. Ma se anche quella ke ne paga le conseguenze. Così le ragazze appena possono girano alla larga dalla polizia e dagli ospedali. Tornano a casa più morte che vive. Traumatizzate. Distrutte. La maman dice: ma di cosa ti lamenti, a me è successo tante volte. E il giorno dopo le rimanda sulla strada, coi ilvidi e i tagli e i segni dei morsi e delle cinghiate e delle bruciature di sigaretta in bella vista. I clienti a volte si impietosiscono, dice Isoke. Ti danno i soldi, dicono: vai a casa e curati. Allora la maman dice: vedi, anche ridotta così sei in grado di guadagnare. Di cosa mai ti lamenti. Sei scema. Gli stupri di gruppo. Capitano spesso. Tre-quattro per volta, arrivano, ti caricano a forza. Sei fortunata a uscirne viva. A volte gli uomini dicono delle cose, mentre ti stuprano. Cose come: brutta negra. Cazzo vieni a fare qui. Così impari. Stattene in mutande a casa tua. Ti faccio vedere io. Schifosa puttana. Chi ti ha mai detto di venire qui. Tornatene nella foresta, insieme alle scimmie. Si sentono in qualke modo dei giustizieri, dice Isoke. Ce l'hanno con te perchè sei donna. E nera. E puttana. E debole. Non so perchè ma i più violenti, quelli più grandi e grossi, si scelgono sempre le ragazze più leggere e più fragili. Quelle così magre e sottili che sembrano una foglia di mais. Se ci provano i ragazzini, 16 anni, 18, bè, dice Isoke, gli molli un pugno da tramortirli e scappi via. I più pericolosi sono quelli dai 25 anni in su. Ottanta-novanta chili. Trent'anni. Quaranta. Quelli ke a prima vista non diresti mai ke sono stupratori. Che non hanno niente nel vestire ke ti allarmi, nulla nell'approccio ke ti metta in guardia. Sono quelli ke poi dicono: ho pagato. Che magari hanno l'Aids ma non vogliono usare il preservativo, per sfregio, e poi ti mettono incinta. Che dicono negra di merda, adesso ti sistemo io. Che tirano fuori il coltello o la pistola. Che ti bruciano con le sigarette, ti riempiono di pugni, ti portano via la borsetta, i soldi, il cellulare. Che ti lasciano a decine di kilometri da casa tua, nel buio o nella neve. E queste sono soltanto alcune delle cose ke ti posso raccontare. Solo ascoltare è mostruoso. E ascoltare non finisce mai. Ci sono le mille altre storie della strada, le mille vicine di marciapiede delle ragazze di Benin City: le trans sudamericane, vittima preferita dei Nordafricani. Stupro omosessuale, lo chiama pudicamente Isoke. C'è la bambina brasiliana di 10 anni. Ci sono le albanesi violentate coi bastoni e con le bottiglie dia loro magnaccia, per convincerle ad andare sulla strada. C'è un campionario osceno di bestialità maschile, senza filtri e ma e se. E, soprattutto, c'è la paura delle ragazze. Perenne. Dice Isoke: il primo stupro è difficile da superare. Sei distrutta. Qualcosa in te si è rotto per sempre. Però ti consoli dicendoti: mi sono vista morta, eppure sono viva. Al secondo dici: capita. Al terzo dici: è normale. Dal quarto in poi non li conti più. È un rischio del mestiere. Di Prudence, dicevo, non abbiamo saputo più niente. Non è ancora andata in ospedale. Se l'infezione non si aggrava non ci andrà probabilmente mai. La curano le sue compagne di strada e di casa. Una di queste è Eki, che ha avuto finalmente il coraggio di raccontare: è successo anke a me. Mi hanno stuprata e picchiata e torturata con sigarette accese. Allora le sue compagne hanno detto: anch'io. Stanno mettendo in comune la paura, lassù a Verona. Stanno cominciando a pensare ke forse bisogna trovare il coraggio di sfidare il racket e decidere di smettere. Non che sia facile, dice Isoke. Non lontano da Verona una ragazza ke non voleva più saperne del marciapiede, Tessie, è stata costretta dai suoi magnaccia a bere acido muriatico. L'hanno salvata per un pelo. E adesso si ritrova sfigurata e handicappata e quasi muta. Una ragazza africana di villaggio, semplice semplice. Ignorante. Analfabeta. Che diavolo di futuro può trovare in Italia. Ditemelo voi. Poi ci sono le ragazzine. Tredici anni, quattordici. Vergini. Vendute agli italos dalle famiglie che vedono i vicini ke fanno una bella vita grazie alle figlie ke lavorano in Italia. Che si comprano il motorino. Il Mercedes coi sedili leopardati che quando passa nei villaggi solleva una gran polvere e tutti i ragazzini gli corrono dietro rapiti. Quando ste ragazzine arrivano in Italia le maman si mettono le mani nei capelli. Che cosa devo fare con te, che non sai niente. Allora pagano tre-quattro ragazzoni africani, grandi bastardi, dice Isoke, che le violentano in tutti i modi finchè non hanno capito e imparato quel ke si deve fare sulla strada. Ora. Vorrei potermi risparmiare almeno questa parte della storia, ma non si può. Gli extracomunitari ke raccolgono i pomodori, l'uva, le mele. Dodici, quindici ore di lavoro per sette, dieci, dodici euro. Frustrazione e rabbia pura. Vi siete mai chiesti come la sfogano? Sulla Domiziana, dalle parti di Castelvolturno, terra senza dio né legge, in provincia di Caserta, le ragazze vivono in catapecchie senz'acqua né luce. Guadagnano 5 o 10 euro a botta. Sono la vittima perfetta dei loro stessi compaesani. Che le schifano, <perchè si vendono ai bianchi>. E non hanno soldi e non le pagano e le rapinano nella certezza della totale impunità. Si vendicano della vita di merda ke fanno. Con loro, le ragazze di Benin City. Isoke dice: però questo io non lo posso dire. Allora lo dico io. In certe zone la polizia chiude non un occhio, ma due, e forse anke tre, avendoli, e pure anche quattro. Ve bene ke ci siano le ragazze di Benin City: sono uno sfogatoio perfetto, un matematico calmieratore di tensioni sociali ed etniche. Sono la vittima designata, l'agnello sacrificale. Perchè ogni africana stuprata è un'italiana salvata. E l'africana stuprata tace. Ha troppa paura per parlare. È perfettamente invisibile e dunque non fa notizia né statistica. Nemmeno di questi tempi, ragazze mie. Pensatele ogni volta ke uscite di casa a notte fonda, e soprattutto ogni volta ke rientrate. Voi, bianche. Voi, sane e salve.