La Vita e La Morte

Enver Hoja


Chissą la paura in quegli occhi da bambino quando una polizia corrotta schiacciava in terra il tuo viso, fetore anfibio. Chissą le ossa di un quindicenne colpite da un manganello. Chissą quale paura quando cani dal sorriso sardonico vennero in cella a dirti “aspettaci che ripassiamo pił tardi”. Chissą che pensieri a vedere il nonno rincasare prima e a fil di voce raccontare di gendarmi comunisti che fucile alla mano si eran fatti consegnare le chiavi dei tuoi palazzi. Chissą che vuol dire ritrovarsi poveri in un giorno. Chissą che si prova nel vedere la propria madre piangere per non poter cucinare la torta di compleanno al proprio figlio perché l’odore del dolce era vietato se non nelle feste di regime. Chissą che si prova a vedersi chiusi i confini da un giorno all’altro per quarant’anni e sapere del nonno in Italia che č morto senza pił potervi rivedere, chissą che si prova a sapere che ogni sera, ogni giorno si sedeva su quel molo guardando verso la sua terra. Chissą che si prova a non poter pił parlare, scrivere, leggere, studiare e pensare liberamente. Chissą che si prova a sapere di amici d’infanzia dimenticati in galere d’inferno per vent’anni ,torturati violentati ed uccisi per le loro idee contrarie al regime. Chissą quale voglia di scappare una volta caduta quella statua in piazza, chissą l’umiliazione continua per la fama globale fatta sporco luogo comune dei violenti della tua nazione, chissą che vuol dire piangere addio alla propria madre a diciott’anni per andare a studiare in un paese libero, chissą le volte che ti sei sentito dire “devo lasciarti perché i miei non vogliono che stia con uno della tua nazione”,  chissą una nuova lingua, chissą la laurea chissą l’esame di pochi giorni fa. Sei la persona pił corretta ed onesta che abbia mai incontrato, occhi d’onore come quelli di tuo padre, nessuno se lo meritava quanto te, hai vinto,finalmente.