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I partiti veri da quelli non veri si differenziano nel cambiare il leader e non il nome

Post n°214 pubblicato il 05 Aprile 2011 da vitotroiano

Il secondo mandato del premier spagnolo Zapatero è stato talmente opaco da lasciare ormai appena intravvedere i successi del primo. Il Psoe a picco nei sondaggi non è una conseguenza dell’usura fisiologica di una leadership ormai al vertice da 7 anni. Blair con la terza vittoria del suo New Labour ha dimostrato che – nonostante l’Iraq – si può vincere anche tre volte di fila, se il fisico regge e visione e missione riescono ancora a raccontarla giusta. Il tonfo del Psoe è tutto ascrivibile all’approssimazione e agli errori del governo Zapatero. Sono lontani  tempi in cui il Bambi spagnolo osava sperimentare la mescolanza tra il Nuovo centro di Schröder e la Terza via di Blair, inaugurando la sua Nuova via, che finiva per essere presa sul serio più degli originali, con gli osanna laici, ma pur sempre dementi, della nostra sinistra salottiera.

Eccettuata la crociata anti-cattolica intrapresa per puntellare il partito a sinistra, ridotta all’osso la strategia della leadership zapateriana si è caratterizzata per una sostanziale continuità con l’azione di governo targata Aznar. Una politica economica tendente ad allargare i ristretti spazi di libertà del mercato, puntando pure sui cospicui aiuti che venivano dall’Europa. Grande merito, quello di Zapatero. In un brillante faccia a faccia che tre anni fa ebbe col candidato popolare Rajoy, richiesto seccamente dall’intervistatore di spigare come aveva speso i soldi dei finanziamenti europei, Zapatero sfilava dalla sua cartellina un disegno dei confini della Spagna e cominciava a tracciare tutte le linee dell’alta velocità ultimate durante il suo primo mandato. Provate a chiederlo a Bassolino, cosa ha fatto di dieci anni di finanziamenti europei in Campania! Rajoy, di suo, non aveva niente da dire, neppure che la maggior parte di quei progetti erano stati ideati e voluti dal predecessore di Zapatero.

La politica va così. Zapatero lascia, ma il suo partito, come è stato per il Labour dopo l’era Blair-Brown, non si dà per vinto. Anzi. Velocizzando l’uscita di scena di quello che ormai era solo un peso morto, una zavorra per la competizione elettorale del prossimo anno, il Psoe mostra di essere in buona salute. Come i Tories con la signora Thatcher, defenestra il suo leader. Perché in Spagna, a differenza che in Italia, si preferisce cambiare il nome dei leader dei due partiti principali, piuttosto che modificare quello del partito. È probabile che, se non rimetterà in corsa i socialisti per la vittoria, questa iniziativa tempestiva di defenestrazione farà recuperare consenso al Psoe, permettendogli di perdere “bene” le elezioni e preparare la rivincita del 2016. Un po’ come è stato in Gran Bretagna, dove Brown ha limitato i danni, lasciando alla leva della new generation un partito in salute.

Già, la new generation. Nessuno lo ricorda mai, ma Zapatero fu cooptato da Felipe Gonzales quando era un mezzo comunista (proveniente da una famiglia comunista per intero) ed eletto alle Cortes alla giovane età di 26 anni. Era molto più a sinistra di quanto non sia oggi, ma Gonzales capì che il giovanotto aveva della stoffa e lo rieducò al gradualismo socialista, portandolo in Parlamento nonostante Josè non avesse alcuna esperienza rilevante in ambito istituzionale. Anche a livello partitico Zapatero aveva fatto pochissimo. Gonzales lo cooptò. Come Blair e Brown hanno cooptato i fratelli Miliband, Ed Balls e Andy Burnham, i challengers dell’ultimo congresso laburista. Come Alcide De Gasperi cooptò Giulio Andreotti. Tutti cooptati. Alla faccia di quelli che parlano della cooptazione politica senza sapere cosa diavolo sia.

 
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