Creato da vitotroiano il 08/01/2008
politica-attualità
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Post n°211 pubblicato il 03 Marzo 2011 da vitotroiano
La proposta del Pdl di introdurre settimane alterne per le conduzioni di trasmissioni di dibattito politico in Tv ha scatenato una serie di discussioni. L'idea non è del tutto da buttare, ma Sgarbi, per parlare di un formidabile conduttore appare perplesso. Mentre Sergio Zavoli, uno dei grandi del giornalismo e fra i migliori Presidenti della Rai che ora siede a capo della commissione parlamentare di vigilanza, parla di passi in avanti della maggioranza. Urlano contro la censura i Pdinni e contro il Minculpop i vari Santoro, presumibilmente a nome dei suoi colleghi che da parecchio, forse da troppo tempo hanno preso in mano le sorti della politica in (Tv), con risultati ben noti. Qualche giorna fa il Foglio di Ferrara faceva notare che sulle nostre televioni passano almeno una quarantina di trasmissioni politici alla settimana. Un'overdose, naturalmente. Dovuta, parafrasando un desaparecido, dalla politica ma non dalla valorosa professione forense, Mino Martinazzoli, ad un eccesso di oppiacei ideologici abusati in quelle fumerie-trasmissioni. E diceva questo ancora nei primi '90, anni nei quali, per l'appunto, presero il sopravvento le diverse fumerie: Santoro, Lerner, Deaglio etc mentre tambureggiava quotidianamente l'implaccabile Telekabul di Curzi. Da allora la situazione è peggiorata quanto a dispersione di fumi, tanto obnubilanti quanto distruttivi della politica. Distruttivi perchè la sostituivano promuovendone da un lato una visione manichea, da ordalia, dall'altra unom svuotamento in nome dell'antipolitica. L'antipolitica il vero cancro del nostro paese, ovverero il rovesciamneto del canone tradizionale fatto di confronto, dialettica, conduzione neutrale e rispetto dell'avversario in uno scontro aal'arma bianca, in una rissa permanente, col conduttore trasformato in partecipante attivo e aizzatore, deus ex machina politico, unico protagonista dello show. I politici sono stati relegati, dunque, in una sorta di cammeo, magari dall'Annunziata o da Fazio, ma inn sostanza la loro missio, la loro stessa raison d'etr, è stata ampiamente ridotta in una simile Tv. E' l'antipolitica di cui la Tv è, al un tempo, la causa e l'effetto, anche soprattutto perchè la politica si è indebolita, è troppo fragile, molto disattenta, lontana dalla relatà del paese. Non è (solo) colpa di una certa Tv se la politica è diventata un oggetto di sistematica irrisione, una specie arena che mette alla berlina chi si occupa di Politica. Si ha come l'impressione che molti politici guardini troppo la Tv e troppo poco il paese e il loro ruolo, dal loro orizzonte sfuma la politica e s'ingrandiscono le tentazioni degli show che li rendono ridicoli.
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Post n°210 pubblicato il 28 Febbraio 2011 da vitotroiano
Tratto da l'opinione Paolo Pillitteri La febbre dell’ormai leggendaria Piazza Tahrir ha contagiato proprio quelli che da noi dovrebbero saperla lunga a proposito di rivolte in piazza. Invece i nostrani intellettuali, gli uomini della cultura impegnata e del giornalismo più corretto politicamente sembrano aver contratto il morbo della rivoluzione pret-a-porter, ovvero a portata di mano, basta fare come – nell’ordine – in Tunisia, Egitto, Libia ecc . |
Post n°209 pubblicato il 23 Febbraio 2011 da vitotroiano
Tratto da Affaritaliani
Le trattative tra la Lega e il Pd sono all'ordine del giorno da qualche mese. La dimostrazione più evidente l'abbiamo avuta con l'intervento in prima pagina su la Padania del segretario del Pd Pierluigi Bersani che ha esplicitamente chiesto al Carroccio di mollare Silvio Berlusconi e fare il federalismo insieme alla sinistra. Ma l'artefice dell'avvicinamento tra i due partiti ha un volto e un nome ben precisi. Si chiama Daniele Marantelli, deputato del Pd, varesotto e amico personale di Umberto Bossi e di Roberto Maroni. Marantelli nato a Varese il 18 gennaio 1953 sposato e padre di due figli, dopo essersi diplomato all'istituto tecnico commerciale ha lavorato come dipendente di un'azienda bancaria. Entra in politica nel 1985 e fino al 1995 è consigliere comunale a Varese con funzioni di capogruppo e presidente Commissione Bilancio e successivamente diventa vice sindaco della città lombarda. Dal 1995 al 2005 è Consigliere regionale della Lombardia. Nel 2006 il trasferimento a Roma dove viene eletto alla Camera nella lista dell'Ulivo e fa parte dell'Assemblea nazionale del Partito democratico. E' proprio lui a dividere i colonnelli del Senatùr: al fianco del sinistro Maroni, pronto a diventare premier anche con l'appoggio di Bersani (come propose Enrico letta mesi fa), ci sono il governatore del Piemonte Roberto Cota, il sindaco di Verona Flavio Tosi e il leader della Lega Lombarda Giancarlo Giorgetti. Sul fronte dei berlusconiani, ovvero i fedelissimi del ministro Calderoli, troviamo Marco Reguzzoni, Angelo Alessandri, presidente federale del Carroccio e Rosi Mauro, vice presidente del Senato.
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Post n°208 pubblicato il 07 Febbraio 2011 da vitotroiano
Piaccia o no, Silvio Berlusconi ha sette vite come i gatti. L’hanno dato più volte per spacciato, ma poi come Lazzaro è risuscitato. Giovedì scorso, giorno della doppia votazione sul federalismo e sull’autorizzazione a procedere contro il presidente del Consiglio, è riuscito a pareggiare sul federalismo e a vincere sulla Procura di Milano. |
Post n°207 pubblicato il 05 Gennaio 2011 da vitotroiano
Sarà pur vero che la Lega ormai è l'unico partitito che si occupa del territorio sarà parzialmente vero che Bossi non va mai in vacanza, salvo che a Ponte di Legno - mentre gli altri, da Fini a Casini, svernano ai Tropici - e sarà verissimo che mentre gli altri riposano, i leghisti lavorano, per il loro Nord, beninteso: soprattutto dichiarano, parlano, esternano. |
Post n°206 pubblicato il 28 Dicembre 2010 da vitotroiano
C'era da aspettarselo che prima o poi l’eroe di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, dovesse vedersela con la questione morale di cui lui è stato il principale propagandista e accanito propugnatore. Proprio lui, che ha sconfitto la Prima repubblica dei partiti finanziati illegalmente di cui Bettino Craxi fu preso come capro espiatorio, per cui fu soggetto al lancio di monetine dai comunisti e fascisti all’uscita dell’Hotel Raphael, mentre nel bunker del Palazzo di giustizia di Milano, l’eroe se la godeva per il fattaccio accaduto, ha subito la medesima onta da parte dei suoi militanti e simpatizzanti all’entrata di un cinema di Matera. Brutto Natale per Di Pietro. Un anno “horribilis per il fustigatore dei costumi politici non consoni alla morale. Per la legge del contrappasso si potrebbe dire che Di Pietro ha subito la pena afflitta alle anime dei peccatori per le colpe da loro commesse sulla terra. La goccia che fa fatto traboccare il vaso Idv è stata la fuoruscita dal partito di tre parlamentari verso la maggioranza berlusconiana. Nella scorsa legislatura, invece, ci fu il caso del senatore napoletano De Gregorio che prese cappello è lasciò Di Pietro di stucco, mettendo, di fatto, in crisi la già fragile maggioranza a Palazzo Madama del governo Prodi, sostenuta finché fu possibile dal gruppo dei senatori a vita. In questa legislatura, i dissidenti dell’Idv hanno funzionato come una sorta di soccorso rosso, salvando la maggioranza berlusconiana traballante. Per il primo caso e per il precedente, si dice che il miglior alleato di Berlusconi è Di Pietro. Va da sé che sul banco degli imputati, ironia della sorte, sta l’ex Pm, accusato di aver voluto liste a sua immagine e somiglianza che, alla prova del fuoco, si sono rilevate dei boomerang. Chi muove le accuse nei suoi confronti per aver fatto dell’Idv una sorta di legione straniera o, come dicono in molti, una specie di “armata Brancaleone”, sono i suo avversari interni capeggiati da Luigi De Magistris, l’ex Pm di Catanzaro arrivato alla notorietà per via dell’inchiesta “Why not, che, alla fine, si è risolta in fumo, senza arrosto. Naturalmente, la perdita di parlamentari ha dato il pretesto a De Magistris e ad esponenti dell’Idv di sollevare la questione morale. In verità, non è la prima volta, infatti da tempi non sospetti, si muovo critiche a Di Pietro, colpevole di gestire il partito in termini personalistici, facendo di tutta un erba un fascio. Siccome la gestione di Di Pietro tende a mettere assieme vicende di famiglia e affari politici, questo modo di fare politica e governo interno non va per nulla giù alla corrente più radicale di De Magistris, legata alla rivista MicroMega, sostenitrice dell’alleanza tra Idv e Sel di Vendola , con la partecipazione straordinaria del movimento di Beppe Grillo. Il che non significa la costituzione di un quarto polo a sinistra del Pd, anzi tutt’altro, un partito alleato del Pd. Tutti insieme appassionatamente per fare la fine dell’Unione, con i ministri di Prodi che scioperavano contro il loro medesimo governo. Tuttavia, De Magistris precisa, nel contempo, che l’attacco non è rivolto nei confronti dell’eroe – fondatore, bensì è un modo chiaro per dirgli che così come stanno le cose non vanno, ragion per cui, occorre un cambio di passo dentro l’Idv, introducendo la democrazia interna ed evitando che ci sia un uomo solo al comando. Una dialettica che dura da mesi, per l’esattezza prima del congresso nazionale, ma Di Pietro da questo orecchio non ci sente e va avanti come crede e piace, non ascoltando la coscienza critica al suo interno.
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Post n°205 pubblicato il 24 Novembre 2010 da vitotroiano
Il Pdl, olltre a vivere con preoccupazione i problemi della tenuta della maggioranza di governo, sta vivendo malamente due crisi davvero inedite: la questione femminile e il caso della cultura. Per questo, se si andasse al voto anticipato, questi due nodi non sarebbero scioti. Soprattutto la questione delle donne è un'occasione persa che serba in sè notevoli potenzialità e novità, mentre il caso cultura appare ormai irrecuperabile, nonostante le capacità del ministro Bondi e la presenza, alla nascita di Forza Italia, di alcuni intellettuali di altissimo livello. Il fatto clamoroso, però, è che il Pdl ha perso terreno non solo sulla cultura, ma anche nel terreno natutrale di Berlusconi: la tv. Non si potevano di certo cancellare programmi come "Anno zero", "Ballarò"e "Vieni Via con me", ma a questi si potevano contrapporre programmi della stessa portata bellica è questo Berlusconi non è stato in grado di farlo. Insomma è mancata una controinformazione berlusconiana verso quellain mano all'opposizione di centrosinistra e della sinistra radicale. E, comunque, ha sottovalutato quest'arma mediatica micidiale, strano per uno che viene dalla televisione, per cui sta pagando prezzi altissimi politici e di immagine. Dirte che Porta a Porta è alleata di Berlusconi è dire una fesseria. Bruno Vespa è un professionista non fazioso che gioca di certo sul versante del centrodestra, ma con quel equilibrio e con quella moderazione tipicas della scuola ex Dc di Ettore bernabei e di Biagio Agnes. Per quanto riguarda la questione femminile, la minaccia di dimissioni dellla Carfagna l'ha fatta esplodere sebbene covasse come carboni ardenti sotto la cebnere. La questione è venuta fuori per la politica di arruolamento fatta da Silvio Berlusconi. Questa operazione gli farebbe onore se fosse stata concepita per aprire una sorta di breccia nel mondo maschilista della politica. E', come si suol dire, la vicenda del ministro Carfagna è da leggere come una crisi di crescita, che non può essere banalizzata con il gossip, nè tantomeno presa sottogamba. Queste donne parlamentari e di governo venute da esperienze diverse ne hanno fatto di strada. In questo Berlusconi nopn c'entra un fico secco, semmai è tutta farina del loro sacco. Parafrasando Simone de Beauvoir: "Donna non si nasce , si diventa". Questo vale soprattutto in politica. Parliamo di quelle che correttamente e in modo serio e impegnato fanno il loro mestiere e non di quelle che fanno di tuttto per mettersi in vista, facendo più danno che bene a Berlusconi e alla maggioranza. Berlusconi, nelle variecampagne elettorali ha messo in lista un gruppo di giovani donne, senza alcuna motivazione politica, bensì, a mio avviso come oggetto d'amore e per farsi bello. Alcune di queste sono state elette parlamentari e addirittura sono nel governo. Per come si sono mosse, hanno dimostrato di avere fegato, qualità che alcuni loro colleghi di partito e di governo si sognanoe hanno anche portato una ventata di aria nuova nella vita politica Italia, dall'altro. E adesso, piaccia o non piaccia, vogliono contare di più all'interno del partito. Proprio per come sono cresciute politicamente, partendo praticamente da zero, sono da ammirare e da tenere a debita considerazione. Gli esempi non mancano: Maria Stella Gelmini in Lombardia, Jole Santelli in Clabria, Michaela Biancofiore in Trentino Alto Adige, Deborah Bergamini in Toscana, Stefania Prestigiacomo in Sicilia. Sono tutte ormai navigate che vivono in un partito in cui la plotica è maschile. Non possono essere trattate con sufficienza, per il fatto che Berlusconi abbia fatto loro il regalo parlamentare e ministeriale. Proprio per questa ragione c'è la rivolta delle donne del Pdl che vogliono essere "mai ombre a nessuno". |
Post n°203 pubblicato il 17 Novembre 2010 da vitotroiano
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Post n°202 pubblicato il 16 Novembre 2010 da vitotroiano
Lo schiaffo al Pd c’è stato, eccome. La vittoria alle primarie di Pisapia, non candidato dal Pd che gli aveva preferito Boeri, archistar amato da una certa borghesia progressista, e non solo, può portare a inedite svolte sia dentro la vecchia sinistra milanese e lombarda (vecchia anche per sconfitte ripetute) sia nell’intero panorama politico. |
Post n°201 pubblicato il 25 Ottobre 2010 da vitotroiano
Un mondo a sè, cambiato, diverso, capovolto. No, non è (più) la Rai. Nella parabola discendente del suo direttore generale Masi e in quella sempre più in sù e sempre meno frenabile dei vari anchor men/women che vanno per la maggiore, c’è tutta la “non Rai” di oggi, l’autobiografia di una nazione in cui la politica è stata colpita al cuore e sostituita da un gruppo ristretto di protagonisti dei mass media i quali, più o meno in accordo con Procure talvolta amiche, stanno dettando l’agenda politica dell’opposizione. Sono, anzi, loro l’opposizione, ne determinano le sorti, la linea, i successi. La Rai, che è da sempre il termometro della nostrana Polis, il suo sismografo che anticipa le mosse del Palazzo, è in tutto e per tutto lo specchio vuoto della politica italiana. Al tempo stesso, l’irresistibile ascesa dei conduttori militanti ha di fatto modificato la struttura per dir così storica, politicizzata della Rai, con la sua endemica lottizzazione. Il costituirsi di un pezzo della azienda pubblica in un partito a sè è la vera novità, suo modo rivoluzionaria, di quanto sta accadendo. Noi possiamo addirittura seguire gli sviluppi di questa mutazione giorno per giorno, puntata dopo puntata. In cui prende forma, al posto del Partito Unico Rai, una serie di movimenti politico-populisti a sè stanti, con i relativi leader di riferimento, genericamente giustizialisti, che ignorano sistematicamente la loro genesi, la loro come dire legittimità storica, chè anzi la rifiutano contestandola alla base e sbeffeggiandone chi la rappresenta, ovvero il direttore generale. Se il potere della politica si fonda sulla auctoritas, la quale è tale anche nelle diverse branchie in cui si articola, in modo particolare la Rai, che è statuariamente dipende dal Parlamento e dunque dai partiti politici, se questa autorità riconosciuta e condivisa viene meno perché respinta al mittente, ecco che il vuoto creatosi viene immediatamente riempito da un’altra forma di auctoritas, da un altro potere. Quello che i conduttori tipo Michele Santoro, ma non solo, vanno oggi mostrando, dati dell’audience alla mano, altro non è che un contropotere che essi oppongono al parlamentarismo e che fanno derivare direttamente dal popolo. Anche il Presidente del Consiglio si comporta spesso così, invocando la sua investitura popolare, ma a differenzaa loro, Berlusconi è appunto, plurilegittimato dal voto del popolo, non da un indice di gradimento. Ma a certi conduttori poco importa se l’Auditel è una cosa e il popolo italiano un’altra. La dinamica che li spinge inesorabilmente a contestare Masi e dunque l’autorità che è responsabile dell’Azienda Rai, ha un sottofondo autoritario la cui autoreferenzialità modifica alla radice la mission della Rai e, prima o poi, ne segnerà la crisi. Troppo facile e sommariamente superficiale invocare le nefandezze del conflitto d’interessi, i fondi di Minzolini, il Tg di Fede, gli effetti del duopolio. A parte il fatto che il duopolioo non c’è più e da tempo (Murdoch, digitale terrestre, La 7 ecc) il fatto vero è che il servizio pubblico radiotelevisivo è tale nella misura in cui tutti i suoi componenti si riconoscono non tanto o soltanto in un Cda voluto dal Parlamento quanto, soprattutto, nel direttore generale che del servizio pubblico è garante e gestore massimo. Il giorno in cui questo principio viene infranto, anche alla luce dei colpi esterni inferti da magistrati che hanno imposto e ricollocato dirigenti e conduttori,la Rai perde inesorabilmente l’identità e lo scopo. Del resto,già da anni si assiste ad una parcellizzazione del potere,nel senso che quote di questo potere Rai vengono sottratte alla dirigenza interna e attribuite all’outsoursing, ovvero ai padroni dei Format. Ill discorso ci porterebbe lontano,ma se osserviamo la decadenza progressiva delle idee e delle progettualitàRai, non è difficile comprenderne una delle ragioni proprio nell’invasione di decine e decine di i Format, pensati e realizzati fuori dalla Rai. Alla fine, che resterà del mitico Servizio Pubblico Radiotelevisivo? |
Post n°200 pubblicato il 24 Settembre 2010 da vitotroiano
Ci sono diversi modi per collocare i problemi di Milano (“la città più città d’Italia”) in una prospettiva storica tale da ricomporre in un ampio affresco i tasselli che l’hanno messa insieme, da Roma, anzi dei Celti, ai giorni nostri, di Albertini e Moratti. Quello scelto da Lodovico Festa e Carlo Tognoli nel loro “Destino di una città”, Boroli editore, è di certo il modo più consapevole e istruttivo, mai disattento, spesso ricco di spunti, intrigante, suggestivo. E’ una vera e propria conversazione a due voci in cui il ruolo di chi è stato per un decennio Sindaco, oltre che Ministro ed europarlamentare socialista, è come nascosto, per la naturale vocazione all’understatement tognoliano, dietro il narratore storico, col controcanto attento, integrante e graffiante politicamente, di un acuto giornalista, Lodovico Festa, peraltro ottimo saggista, sempre per la Boroli, con il non dimenticato pamphlet: “Il partito della decadenza”, che già nel titolo è una narrazione politically uncorrect, fuori dal mainstream. Tognoli e Festa, delineando il destino milanese “dalla città romana all’Expo 2015” partono da una premessa, che vuole essere un preambolo storico-politico per respingere le letture sommarie e semplificatorie di una città periodicamente insidiata dalle emergenze (gli immmigrati), sull’orlo dell’abisso (mafia e ndrangheta), sulla strada dell’inesorabile declino (non c’è più lavoro), vittima di uno dei tanti crolli della modernità (la droga e l’inquinamento). Un immagine volutamente deformata di città, in nome di quella filosofia spicciola e strumentale che si ispira all’antico adagio “non è più la Milano di una volta,signora mia”. Infatti, per dirla con l’ex Sindaco di Milano: “Abbiamo vissuto abbastanza per vedere noi stessi diversi ‘crolli’ di Milano al di là delle ultime macerie della Seconda Guerra mondiale... dall’immigrazione dei ’50 all’inquinamento industriale del boom, alla delinquenza dei sessanta e agli sconvolgimenti successivi” quando, nei ’70, non potevi andare in centro, vuoi per la contestazione vuoi, soprattutto, per il terrorismo. L’approccio alla storia di Milano si ispira evocare, qua e là, alle impostazioni e agli accenti del grande lombardo, Alessandro Manzoni, con la sua serena e paziente capacità di declinare una parentesi, quella sì davvero tragica e catastofrica, la Peste del 1628 (con la mirabile figura di Federico Borromeo, omaggiato giustamente dal libro come personalità eccezionale di un epoca), ricorrendo oltre che ai disegni della Provvidenza, alla memorabile esclamazione di un personaggio, con quel “Va va povero untorello, non sarai tu quello che spianti Milano”, frase quant’altre mai emblematica, che racchiude l’inconfondibile “cifra” di una evocazione storica della città lontana dagli stereotipi. Una Milano cui il destino ha riservato anche il ruolo di capitale dell’impero romano,pur sapendo conservare,come in una felice contraddizione, quel carattere di indipendenza da Roma “ imposto da Ambrogio, suggerita,pare , da Sant’Agostino,diffidente verso i pagani” , e il conseguente ,mai rinnegato,rito ambrosiano , iscritto nel dna cittadino,ben oltre i dettami puramente liturgici.La cavalcata è lunga e appassionante, per via di una non linearità della storia milanese, con le sue fermate e le sue rinascite. La conversazione di Tognoli e Festa non dimentica le caratteristiche geografiche, oltre che storiche, di MIlano dove ha contato il suo essere spartiacque tra la Lombardia irrigua e agricola e quella prealpina a vocazione manifatturiera. Una sorta di città stato, si direbbe, collocata al centro dell’asse padano, prima tra la Gallia e Roma imperiale successivamente al crocevia dei traffici verso l’Europa carolingia. Mentre la stessa conformazione urbana si trasforma da castrum, da accampamento/presidio militare a città medioevale quindi sforzesca e leonardesca e via via teresiana (da Maria Teresa, grande imperatrice e grande riformatrice, che fa risorgere la città dopo la opaca parentesi spagnola, ricorda giustamente Tognoli) e napoleonica, giù giù, passando per la rivoluzione industriale che incorona la città come vera capitale economica, cuore pulsante e trainante nella compiuta unità risorgimentale. Centro di richiamo internazionale e, al tempo stesso, custode di una milanesità in cui una borghesia imprenditrice sa confrontarsi con la concorrenza mondiale mentre nascono i movimenti di massa, a cominciare dal socialismo riformista, turatiano, nordico, non senza le repressioni di fine 800 con Bava Beccaris,e le successive rinascite democratiche con i sindaci socialisti Caldara e Filippetti. Dopo la Guerra Mondiale, eccoci al fascismo con lo stato forte, onnnipresente e autoritario, l’architettura piacentiniana, i quadri memorabili di Mario Sironi con le ciminiere e le periferie, le prime Triennali che rispecchiano la vocazione creativa del design, l’arte applicata all’industria. E siamo al postfascismo, alla rinascita dalle macerie belliche, alle rinnovate guide socialiste a Palazzo Marino, da Greppi in poi. Dal centrismo al centro sinistra alle giunte di sinistra (con osservazioni preziose e inedite di Festa sul Pci milanese,di cui parleremo in altra occasione). E con le osservazioni pacate ma ferme di Tognoli sullo stantio ritornello del rampantismo degli ’80, che non riguarda certamente il gruppo dirigente socialista formatosi intorno a Bettino Craxi, ispiratore di una politica municipale che fu premiata dai milanesi dal 1980 al 1990, un decennio di grandi realizzazioni e di fondamentali decisioni e progetti per la città di oggi. Siamo arrivati ai nostri giorni. “Come dicono autorevoli sociologi ed economisti-conclude Carlo Tognoli - Milano è nella categoria delle città globali... una sorta di città anseatica connotata di commerci e contatti internazionali... anche se, proabilmente, manca oggi la visione, forse l’amore, come dimostra la tiepida élite che scompare al venerdì sera, al contrario dei padri e dei nonni. E’ il momento quindi di ricorrere, per sindaci e presidenti, al pragmatismo che ha caratterizzato la Milano del novecento prendendo come occasione l’Expo 2015, e agire, come se fosse una nuova ricostruzione”. Per non perdere |
Post n°199 pubblicato il 22 Giugno 2010 da vitotroiano
La morale di questa storiaccia di Tonino Di Pietro, indagato per truffa, in seguito alla denuncia del suo ex grande amico, Elio Veltri, ex PSI, per i rimborsi della campagna per le Europee del 2004 possiamo tranquillamente affermare che nessuno può ritenersi come la moglie di Cesare nemmeno Di Pietro. L'antico ed elegante aforisma del leader socialista romagnolo - contro chi, da bolscevico vittorioso o da perdente radicale, pretende di essere, appunto, un puro più puro che finirà per epurarti - conserva, ancora oggi, la sua attualità. Soprattutto, come monito, contro tutte le forme di radicalismo distruttivo e autodistruttivo. E non dovrebbe essere dimenticato, in primis, da quanti, all'interno del centro-sinistra, dovrebbero impegnarsi, in modo più convincente, per liberare l'opposizione dalle scorie nocive del giustizialismo.
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Post n°198 pubblicato il 15 Giugno 2010 da vitotroiano
Il giornalista milanese Enrico Mentana, 55 anni, è il nuovo direttore del Tg LA7 al posto di Antonello Piroso. Il papà di Mentana fu giornalista e inviato della Gazzetta dello Sport. Dopo aver iniziato in Rai ha condotto per circa 15 anni il Tg di canale 5, per poi condurre sempre sulle reti Mediaset il programma di approfondimento Matrix. Attualmente conduceva solo sul web la rubrica Mentana Condicio per corriere Tv. Fonte della notizia sito Dagospia. |
Post n°197 pubblicato il 08 Giugno 2010 da vitotroiano
Non esiste un giudice a Berlino per Antonio di Pietro, visto che lui è al di sopra di ogni sospetto, e che non è uno che può essere messo alla gogna giudiziaria come un normale cittadino italiano. Nessuno lo può giudicare, nemmeno il padreterno. Ci sarà pure una ragione se Di Pietro non ha alcun tallone d’Achille, per essere colpito, giudiziariamente, finché la magistratura è quella che è, chiusa nella sua logica di casta e corporativa: cane non morde cane. Anche la recente storia venuta alla luce, in cui Antonio di Pietro parrebbe coinvolto, in un rapporto con la “cricca” finirà in una bolla di sapone. Di Pietro ne ha viste di tutti i colori, ma è sempre uscito da ogni vicenda con la testa alta e stavolta sarà come le volte passate. Figurarsi se i suoi ex colleghi magistrati lo toccheranno, anche perché Di Pietro riesce sempre a trovare la pezza a colore, per cui lui risulta un intoccabile. Ecco, la parola giusta che gli si addice perfettamente è intoccabile, per cui è meglio mettersi l’anima in pace e convivere con lui politicamente, sperando nel cambio di opinione dell’elettorato. Per adesso, però, non ci sono segnali in questo senso. Forte di questo consenso, guascone com’è, è pronto ad affrontare qualsiasi rischio. Ultimamente è venuta fuori una fotografia in cui tra spioni italiani e americani c’era lui che veniva festeggiato e la vicenda, finì come finì: tanto rumore per nulla. Ma la Di Pietro story è ricca di episodi che lo vedono come indagato e testimone, subito dopo le sue dimissioni dalla magistratura. Dopo essere stato l’eroe in senso assoluto di Mani pulite, la magistratura inquirente lo indagò senza alcun esito, dato che le varie inchieste si risolsero in assoluzioni piene o archiviazioni. Non è tutto. Nell’anno di grazia 1995 venne indagato dal sostituto procuratore di Brescia, Fabio Salamone, che ipotizzò reati di concussione e abuso d’ufficio, in seguito a dichiarazioni rese dal generale della Guardia di finanza, Cerciello ma il giudice per le indagini preliminari archiviò il procedimento. Una seconda inchiesta venne aperta sulla base della testimonianza di Giancarlo Gorrini e di dossier anonimi su presunti traffici illeciti tra l’ex Pm e la società di assicurazioni di cui Gorrini era il proprietario. L’inchiesta prese una strada completamente diversa e il Pm Salamone arrivò ad ipotizzare un complotto finalizzato a far dimettere Di Pietro per mezzo di ricatti e dossier anonimi. Per farla breve, la Procura generale di Brescia rimosse dall’incarico i Pm Salamone e Bonfigli per una presunta “grave inimicizia” con Di Pietro, che non era imputato imputato. Intanto, Salamone faceva ricorso in Cassazione contro la decisione della Procura, ma venne respinto. Alla fine della storia, il Procuratore, che sostenne la pubblica accusa in sostituzione di Salamone, rinunciò ad interrogare i testimoni convocati dall’accusa e chiese subito l’assoluzione per tutti gli imputati. Istanza che venne accolta dal giudice. Comunque sia, tutto evaporò e Di Pietro uscì pulito e onesto, come volevasi dimostrare. Ammesso e non concesso che Di Pietro abbia alcun tallone di Achille, sotto l’aspetto giudiziario, per le ragioni dette, lo ha, invece, sul piano politico. Il suo partito non è duro e puro come lui lascia credere. Semmai è solo duro, portato a questo grado di inflessibilità, vuoi perché sfodera un giustizialismo d’antan vuoi perché fa la voce grossa su ogni provvedimento di governo. La politica del più uno, lo porta a scavalcare a sinistra il Pd, il suo benefattore. Senza l’apparentamento avuto gratis da Veltroni non avrebbe raggiunto il quorum per eleggere i parlamentari Idv. Si pone come un castigamatti, non guardando in faccia nessuno, ma c’è del “marcio in Danimarca”, ossia nell’Idv. Così titolò la rivista Micromega il saggio al partito “anticasta” per antonomasia, dipingendolo come una sorta di refugium peccatorum in cui si era accasato un personale politico cascame dei partiti della Prima repubblica. Vero o no, in quel tipo di partito ci potrebbero stare anche le case di cui si parla in questi giorni. Di fronte alle critiche rivolte all’Idv, si era impegnato in prima persona a sanarlo tramite un repulisti con il congresso, ma alla prova dei fatti non ha mantenuto le promesse, dimostrando, nella fattispecie, di non essere un uomo d’onore, bensì un marinaio. L’unica novità fu che Luigi De Magistris ne uscì con le ossa rotte. Che cosa si poteva aspettare da un partito gestito in modo padronale? L’Eroe non voleva che l’ex Pm di “Why not” fosse un primus inter pares. Questo è l’Eroe: “guai a quel paese che ha bisogno di eroi”. |
Post n°196 pubblicato il 01 Giugno 2010 da vitotroiano
Correva l’anno 1993, la Prima repubblica stava terremotando, con epicentro la Procura di Milano. Questa aveva iniziato, attraverso le sue inchieste giudiziarie, incentrate in particolare attorno al finanziamento illecito dei partiti , a spazzar via la classe politica di maggioranza e il sistema dei partiti. A distanza di anni, per l'esattezza diciotto, grazie a Francesco Cossiga, la cui autorevolezza sui misteri italianiè fuori discussione, abbiamo saputo che l'Fbi e i poteri forti forti economico-imprenditoriali diedero una mano al pool di Mani Pulite nonchè la Cia si oppose che Bettino Craxi andasse alla Presidenza del Consiglio. La prima Repubblica iniziò a terremotare con l'uccisione di Salvo Lima e poi con le violente scosse di Capaci e di via D'Amelio. Vale la pena ricordare che Giovanni Falcone aveva indagato sul rapporto Affari e politica in Sicilia, dove erano compromessi con la mafia tutti i gruppi imprenditoriali del Nord tranne, ad- onor del vero senza fare i difensori di Silvio Berlusconi, il gruppo dell'attuale Presidente del Consiglio. Lo scopo della strage di Via D’Amelio non fu quello che volevano impossessarsi dell’agenda rossa, che, tralaltro, non era neppure nella borsa lasciata in macchina, in quel drammatico giorno, ma, forse, perché Borsellino disse che la mafia era entrata in Piazza Affari, in due interviste esclusive. Falcone e Borsellino era due gocce d’acqua e questi non poteva non sapere dell’inchiesta Affari e politica e, quindi, “l’aggregato economico imprenditoriale politico” di cui parla Grasso, non aveva alcuna voglia di essere scoperto con le mani nel sacco mafioso. E’ una versione non campata tanto in aria, visto che di quell’inchiesta non si è saputo molto, anzi quasi niente, tuttavia, ha avuto, trascorso più di un ventennio, in questo mese, un’appendice giudiziaria, il caso Calcestruzzi. Prima in mano alla famiglia Ferruzzi – Gardini, ora alla Italcementi dei Pesenti, ma sempre oggetto dei desideri della Mafia. Comunque sia, Falcone, stando al Ministero di Grazie e giustizia, con Claudio Martelli, stava indagando con i magistrati di Mosca sull’intreccio tra Mafia siciliana e quella russa, composta da ex agenti Kgb, e su una montagna di rubli, a seguito del crollo dell’Urss, che questi volevano spostare in Italia. Non è che vogliamo fare di tutta un’erba un fascio, ma ci affidiamo alla narrazione di quei terribili avvenimenti, per capire meglio il contesto del 1993. Carlo Azeglio Ciampi, Presidente emerito della repubblica, ha ricordato quell’anno e la notte del 27 luglio, notte di bombe in cui si sfiorò, a suo avviso, il golpe. Bombe mafiose colpirono San Giorgio al Velambro e, strano a dirsi, Palazzo Chigi restò isolato dal resto del mondo, per via dell’interruzione delle comunicazioni. Tuttavia, gli attentati tra il ’92 e il ’93, a Roma, Firenze e Milano, non furono farina solo del sacco mafioso ma ci fu l’entrata in gioco di una “Entità esterna”, il cosiddetto “Antistato,” per aiutare, forse, la formazione di una nuova “Entità politica”, “che doveva irrompere sulla scena tra le macerie di Mani pulite”. Ciampi non si avventura a dichiarare che tutto ciò servì a spianare la strada alla costituzione di Forza Italia, come, invece, fa il giornalista che lo intervista, Massimo Giannini(La Repubblica). A dire il vero, ci sorprende che il presidente Ciampi, persona così misurata e di buon senso, parli solo ora di questi fatti e non lo fece quando aveva un potere di permettersi il lusso di investire direttamente il Parlamento e il Csm, avendo ricoperto le cariche di Presidente del consiglio prima e di Presidente della repubblica, successivamente. E, comunque, Ciampi,quando ha potuto e voluto, è stato tosto. Nel libro Dietro le quinte, Geronimo, Paolo Cirino Pomicino, lo accusa come il capo della congiura antidemocristiana nonché delle svendite dei gioielli di Stato( sistema Ppss di cui facevano parte le tre Bin e gli enti pubblici). All’epoca della stagione stragista, fummo, e siamo, convinti, al contrario di Ciampi, che le bombe servirono come catalizzatore, ovverosia per accelerare il crollo della Prima repubblica sulla scia della rivoluzione giudiziaria di Mani Pulite, altrimenti non si spiegherebbero l’uccisione di Lima e gli attentati a Falcone e Borsellino. In proposito, Bettino Craxi fu il primo a dire che aveva la sensazione che una “manona” esterna stava tentando di destabilizzare la democrazia italiana. Il ragionamento di Bettino è stato ripreso, in questi giorni, dal figlio Bobo: “Le bombe, per chi si ricorda bene, furono di intimidazione perché il Parlamento “degli inquisiti” stava avviando una timida resistenza e i suicidi di Cagliari e Gardini gettarono una luce sinistra sull’operazione Mani Pulite. Indirettamente quelle bombe servirono per accelerare la ‘rivoluzione’ italiana, non per frenarla”. Chi ha tentato di fare dietrologie su quella lunga notte del ’93, Piero Grasso ha puntualizzato che all’atto delle bombe, non era nato alcun partito politico. Con ciò, ha tracciato una netta linea di confine tra le due vicende: attentati e formazione di un nuovo soggetto politico. Il Procuratore nazione Antimafia è un magistrato troppo serio, senza il supporto di prove certe, non parla a vanvera. D’altronde, non vuole imitare alcuni suoi colleghi che non hanno dato, certamente, una mano alla giustizia, allorquando hanno azzardato congetture e si sono impegnati in elucubrazioni. Per Grasso (La Repubblica), “le stragi, secondo la ricostruzione , avevano da un lato la forma di un ricatto allo Stato per ottenere dei vantaggi, quelli indicati nel famoso papello ( 41 bis, abolizione dell’ergastolo e pentiti) e dall’altro le modalità tipiche del terrorismo mafioso lasciavano intravedere interessi di un aggregato economico imprenditoriale e politico che volesse conservare la situazione esistente”. Proseguendo in suo ragionamento, ha affermato che “teoricamente che il vuoto che si era creato poteva essere colmato da qualsiasi formazione politica di destra e di sinistra”. E, comunque, dietro la strategia della tensione del ’93, “c’era una regia che non poteva essere soltanto della mafia. Ma allo stato non c’è una prova giudiziaria dei contatto tra questa Entità e Cosa nostra”. E alla fine, ha concluso:” Dobbiamo stare attenti alla cronologia. Non risulta che all’epoca delle stragi di Roma, Firenze e Milano fosse già nato quel partito politico”. La sua conclusione è che Cosa nostra, il che è anche “provato”, “non aveva ottenuto alcun risultato dalle stragi compiute. La teoria del ricatto non aveva funzionato”. Più chiaro di così,vivaddio, Grasso non poteva essere, ragion per cui, non capiamo, da un lato, la levata di scudi nei suoi confronti di alcuni esponenti di maggioranza, come se avessero la coda di paglia, dall’altro, la conseguente forzatura da parte di quelli di opposizione che hanno concluso che due più due fa quattro, collegamento tra attentati e formazione di Forza Italia, quando non è nient’affatto vero.
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Post n°195 pubblicato il 26 Maggio 2010 da vitotroiano
La buffa armata dei direttori di giornale, lunedì, sembrava un Ballarò per audiolesi. Nessuno ha mostrato o neppure finto di conoscere la legge incriminata, mentre pochissimi probabilmente sapevano come nel resto dell'Occidente funzioni davvero il segreto istruttorio. Un linguaggio ancora più semplificato e scandito del consueto, accostamenti umanamente imperdibili, l'imbarazzo di chi era li soltanto perché mancare sarebbe stato ancora più complicato, la precisa impressione che la foto di gruppo contasse tutto e le parole niente. Nessuno - nessuno - ha mostrato o neppure finto di conoscere la legge incriminata, mentre pochissimi probabilmente sapevano come nel resto dell'Occidente funzioni davvero il segreto istruttorio.
Filippo Facci da Libero |
Post n°194 pubblicato il 24 Maggio 2010 da vitotroiano
La parola d’ordine viene dagli Stati Uniti. Apprendista scribacchino, giovane giornalista, costruisciti il tuo brand, diventa la testata di te stesso! Si chiama personal branding e consiste nell'essere il più visibile possibile sul web. Attraverso reti sociali, blog, etc; bisogna costruire la propria reputazione, saltare in testa alla classifica delle ricerche di Google e sperare così di sedurre un redattore capo che, entusiasmatodalla tua personalità ti farà ponti d'oro per farti correre nella sua prestigiosa rivista. Evidentemente, l’ efficacia del procedimento, alimentato soprattutto da un serbatoio di pensiero Usa come il Pew Research Center, va considerata con cautela, tranne che per qualche ‘firma’ già nota – visto che, per quanto riguarda il giornalismo online, internet continua ancora a non pagare, ma questo è un altro discorso. In ogni caso, la filosofia che sta sotto questo marchingegno è molto divertente Allora, dio Google finirà per prendere il posto della commissione che dovrebbe concederti la tessera stampa? In ogni caso l’ argomento torna in primo piano: senza dei buoni risultati da motori di ricerca, niente salvezza. Bisogna sbattersi per montare in alto nelle pagine dei motori di ricerca, sognando di raggiungere un giorno il Graal del primo risultato in classifica. Bisogna essere presenti, e poco importa con quali contenuti, ti diranno i corsi online di “referenziamento”: dopo tutto, un algoritmo non è particolarmente furbo. I promotori del personal branding blaterano sulla loro nuova fissazione e sul web in generale, sottolineando che tu, giornalista-marchio, devi essere prima di tutto autentico, invocare la tua etica e pubblicare i tuoi lavori. Quest’ ultimo dettaglio generalmente va in fumo perché tutta questa bella gente dimentica di andare a vedere come funziona il mondo, insomma di fare la vera cronaca. Essere visibile basterà. Al peggio, sarà il web a essere usato come terreno di indagine. La tua presenza di giornalista-brand online si riduce quindi nella tua presenza online. A questo punto, non si tratta altro che di comunicazione, il cui primo obiettivo è la promozione della tua persona attraverso il web. Bisognerà pensare a creare il proprio mezzo, ma (e vai con gli anglicismi…) in uno spirito ben lontano dal ‘do it yourself’ del nonno hyppie e più vicino invece all’ egotrip-marketing. Il discorso stile DRH (direttore delle risorse umane, ndr) è così apertamente rivendicato: devi venderti e travestirti da imprenditore. Gli eletti saranno pochi e allora ti devi battare. Potrai vantarti d’ aver ottenuto dei contatti telefonici (!) grazie al tuo blog e ai tweet e ai post… Ma si tratterà soprattutto di essere chiamato per fare un lavoretto in emergenza oppure per sostituire un’ assenza temporanea. Se non sei reattivo, non è grave: troveranno qualcun altro, ce ne sono tanti che si abbassano. Il sistema esiste già: il personal branding non fa altro che razionalizzarlo. Grazie. Mettere le mani su qualche imbratta-carte disponibile è semplice come chiuderti il becco. Un eden liberale per tutti gli editori che, in cerca dei sottoimprenditori con partita iva piuttosto che di impiegati da assumere come salariati (anche come collaboratori), sognano individui isolati, che si sentono dalla parte dell’ impresa, da arpionare colpo dopo colpo senza dover scucire un contratto, in un mercato libero, certo, deregolamentato, concorrenziale, privo dei freni sindacali e di altre tentazioni solidaristiche. E allora, tu che dovrai assicurare la tua promozione per venderti meglio, vedrai la tua capacità critica annacquata? Qualcosa mi dice che i dipendenti qualche idea sulla questione ce l’ hanno… Le scuole di giornalismo che, con regolarità sconcertante, si danno da fare per esplorare proprio le strade che sono più da scartare, si gettano sul concetto, finendo per confondere informazione e comunicazione, e facendo penetrare nei cervelli disponibili l'armatura del lecchino biodegradabile, che intreccia senza fiatare la sottomissione al mercato e la precarietà. |
Post n°193 pubblicato il 21 Maggio 2010 da vitotroiano
Una manovra più sistemica che congiunturale è quel che preannuncia il ministro Tremonti per il prossimo bilancio dello Stato. "Una manovra etica", come l'ha definita il ministro, con cui la correzione dei conti pubblici sarà guidata dal principio che "si darà a chi ha bisogno e si toglierà a chi non ne ha, riducendo i trasferimenti che non hanno ragione di essere e l'uso distorto del denaro pubblico". Questo quanto dichiarato recentemente a Bruxelles. |
Post n°192 pubblicato il 21 Maggio 2010 da vitotroiano
Con buona pace di Gino Giugni e Giacomo Brodolini, lo Statuto dei Lavoratori mostra i segni del tempo. Varato il 20 maggio del 1970, disegnava un sistema di tutele pensato per quegli anni e modellato sulla stragrande maggioranza delle aziende italiane di allora: quelle con oltre quindici dipendenti. E vero che non bisogna dimenticare la storia ma il sistema-Paese rispetto a quegli anni è del tutto diverso. Per provare a scrivere insieme le nuove regole del lavoro che cambia, lo sforzo dei giuslavoristi più preparati, come Angelo Tiraboschi, incontra l’attenzione del leader della Uil, Luigi Angeletti e di esponenti del governo, da Sacconi a Brunetta, e della maggioranza come Stefania Craxi e Stefano Caldoro. Tutti socialisti, sì. E’ proprio il mondo riformista, organizzato intorno alla Fondazione Craxi, che ieri a Roma, nella sala del Capranica, ha riunito intorno ad un progetto sullo “ statuto dei lavoratori” un parterre d’eccezione. La manovra di “austerity” che il governo si appresta a varare resta al centro del dibattito politico e sindacale. Ma sia il ministro del Welfare Maurizio Sacconi che il leader della Uil Luigi Angeletti hanno preferito non commentare le indiscrezioni di questi giorni. “La manovra si discute quando è fatta”, ha tagliato corto il ministro inaugurando il convegno per il 40° anniversario dello Statuto dei Lavoratori. Anche Angeletti, parlando degli incontri avuti con il titolare dell’Economia Giulio Tremonti, ha spiegato a margine della conferenza che “non ci sono ancora cose definitive”, piuttosto “noi abbiamo detto cosa vogliamo”, ovvero “aggredire l’evasione fiscale e tagliare i costi della politica”. Per il leader della Uil “è questa la strada maestra” da seguire. Ma, ha assicurato, “da parte del governo non ci sono stati cenni su una riduzione della spesa sociale” mentre per quanto riguarda le pensioni “si ragiona su un blocco delle finestre” il che significa “un innalzamento dell’età pensionabile di due o tre mesi” e “abbiamo discusso anche della moratoria dei contratti del pubblico impiego”. Angeletti è convinto che alla fine la manovra correttiva conterrà il blocco degli aumenti contrattuali per gli statali. “Penso di sì - ha osservato - aspettiamo quando la manovra sarà pronta. Per ora discutiamo di ipotesi e di cose di principio. Ma il governo ha capito che bisogna tagliare i costi della politica. Ci saranno delle proposte su come e quando. Noi aspettiamo”. Secondo il dirigente sindacale, insomma, “le vere due ’manovre’ da fare sono sui costi della politica e sull’evasione. E’ più importante questo, infatti, che coreggere dell’1,6 per cento i conti, che restano un problema. Ma in Italia - ha aggiunto - c’è un’altra questione da risolvere prioritariamente: il rapporto tra cittadini e istituzioni, che deve essere assolutamente cambiato”. Quanto alle polemiche sollevate dalla Cgil, “esclusa” finora dalle trattative per discutere la manovra finanziaria, Angeletti ha spiegato: “Ho chiamato il ministro dell’Economia due settimane fa per incontrarlo, gli ho detto vediamoci e lui mi ha risposto: ’vieni’. Ho alzato il telefono tre volte. Una volta sono andato da solo e un’altra con Bonanni. Così funziona”. Il leader della Uil ha quindi ricordato che in passato la Cgil ha trattato e chiuso accordi da sola. “Vale come quando Epifani ha fatto una trattativa e un accordo da sola con il presidente di Alitalia insieme al segretario del Pd”. Certo “non è la stessa cosa, è chiaro - ha proseguito - ma noi abbiamo fatto solo un incontro informale e loro un accordo. Comunque quando il governo convocherà le parti sociali, ognuno dirà quello che pensa”. E sull’atteggiamnento di corso Italia di fronte alla manovra è intervenuto anche Sacconi: “La Cgil non ha mai chiesto incontri informali” con l’esecutivo. In ogni caso, ha osservato il ministro, “ci sono continuamente contatti informali, stiamo in una fase di consultazione assolutamente informale. Poi ci saranno gli incontri istituzionali con tutte le parti sociali”. Quanto alle misure della manovra correttiva, Sacconi ha ribadito come “non c’e’ nessun intervento strutturale sulle pensioni” allo studio “come ha gia’ spiegato Tremonti” e che è probabile “il rafforzamento” degli incentivi per il salario legato alla produttività. E sulla manovra e’ intervenuto pure il direttore generale di Confcommercio, Luigi Taranto, anche lui ospite dell’iniziativa di Uil e Fondazione Craxi. “Siamo in attesa di conoscere i contenuti della manovra” e i suoi “dettagli operativi”, ha dichiarato, “tutto quello che serve per mettere in ordine la finanza pubblica va fatto, ma servono scelte coerenti per stabilizzare i conti e rilanciare l’economia”. Secondo il dg di Confcommercio “e’ importante che” nella manovra “si operi verso misure di riduzione della spesa pubblica e contrasto e recupero dell’evasione fiscale”. Allo scopo, ha concluso Taranto, “di ridurre la pressione (fiscale) su cittadini e imprese”. |
Post n°191 pubblicato il 03 Maggio 2010 da vitotroiano
Bobo Craxi, pur rappresentando l’ala antiberlusconiana della famiglia, ha fatto un balzo sulla sedia quando ha letto che Gianfranco Fini ha definito una “epurazione” l’abbandono della vice presidenza del gruppo del Pdl da parte del proprio fedelissimo Italo Bocchino e considererebbe una insopportabile aggressione la sostituzione dei fedelissimi Urso e Ronchi nel governo. Ai tempi della Prima Repubblica, ha ricordato Bobo, il gioco era che le correnti perdenti uscivano per un giro dal gioco dell’oca della lottizzazione: fuori dalle cariche di partito e di governo. Perché, si è chiesto allibito, adesso chi fa una corrente pretende di non vedere applicate le regole del gioco? Semplice! Perché il gioco è cambiato. Allora le correnti erano legate dalla solidarietà di partito. E chi stava fermo un giro sapeva che sarebbe rientrato. Adesso ogni militante o dirigente ha un rapporto diretto e personale con il leader. E la rottura si trasforma in divorzio. Con tanto di richiesta di casa e di alimenti. Gianfranco come Veronica! |
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INTERCETTAZIONI SPETTACOLO
La non politica che in Italia ormai manca da quindici anni, in questi giorni, si infiamma sulle presunte intercettazioni che riguarderebbero il Presidente del Consiglio. Silvio Berlusconi, che non è il male di questo Paese, dal '94 ad oggi è stato indagato 800 volte: nemmeno il capo dei capi (Riina) è stato così tanto perseguitato. In un Paese, dove la democrazia è occupata dal potere della magistratura e della stampa la forbice tra benessere e malessere continua ad allargarsi sempre di più. Con questo provvedimento proposto dal Governo si spera di chiudere, per sempre, una lunga stagione iniziata con la falsa rivoluzione del'92 sotto il nome "Tangentopoli". L'Italia stà diventando sempre più un Paese irriconoscibile e, questo, gli Italiani non lo meritano
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