Il Libero Pensiero

Difendiamo la democrazia liberale


C’era una volta in Italia un sistema dei partiti che replicava quotidianamente, dagli anni 60 in poi, la stessa commedia. Una finzione che voleva trasformare ed asservire le idee al proprio bisogno e la logica al mestiere. La democrazia si era ridotta al posizionamento dei partiti ed al gioco delle parti. Alla bisogna si partorivano le espressioni più vaghe per stabilire chi poteva o meno partecipare al gioco. Ed il principio  non era mai  estensivo, ma solo esclusivo. Arco costituzionale, pregiudiziale antifascista, preambolo democratico, costituivano i contenitori dei luoghi comuni o la sottigliezza lessicale per stabilire che, in base agli accordi stipulati fuori dal Parlamento e nelle sedi più disparate, le formule erano irreversibili, i ruoli stabiliti e le compensazioni prefissate. Si giocava questa partita per spartirsi di tutto, dalla Rai all’assunzione dell’ultimo commesso della Camera dei Deputati. Una sorta di “Conventio ad excludendum” che garantiva ai due maggiori partiti ed ai loro “corollari” la secolarizzazione autoritaria del potere. C’era persino il famoso manuale Cencelli che stabiliva il peso e le pretese delle correnti democristiane, perché anche il dissenso interno era organizzato e parcellizzato. Naturalmente a pagare le spese di questa orgia di demagogia populista è stato il popolo italiano, mentre le nuove generazioni sono state caricate di debiti, di carenze, di abusi e di servizi inefficienti.Oggi viene Don Sciortino su Famiglia Cristiana ad accusare, di “distruzione di chi dissente”, colui che ha quanto meno il merito di aver smosso le acque melmose della partitocrazia italiana. Il Direttore del giornale cattolico muove le sue critiche partendo da considerazioni che riteniamo completamente sbagliate. Questi osserva, con eccessiva faziosità antiberlusconiana, che in Italia, a differenza degli altri paesi democratici, non vi sarebbero equilibri nell’esercizio del potere. Naturalmente questa carenza sarebbe dovuta alla esclusiva responsabilità di Berlusconi, colpevole d’aver vinto le elezioni. E la responsabilità democratica di chi chiede d’esser messo nelle condizioni di dar esito al suo programma, rispettando il mandato elettorale, sarebbe per Don Sciortino già un arbitrio: il solo chiedere il rispetto del voto sembra che sia un atto arrogante. Berlusconi così non rispetterebbe la Costituzione. Ma se il rispetto della Carta Costitutiva della nostra Repubblica è un dovere di tutti, anche l’opinione che sia obsoleta, inadatta ai tempi, incrostata di retorica populista è pure un diritto legittimo. Anche questa è democrazia! Ma Don Sciortino, forse, lo ignora.C’è la parte seconda della Costituzione, quella sull’Ordinamento della Repubblica, che può essere più snella e che può equilibrare più efficacemente i poteri. A che servono, ad esempio, due rami gemelli del Parlamento?  L’Idea di un Senato trasformato in una Assemblea della autonomie è una opzione percorribile ed anche abbastanza condivisa. Ma dirlo non è mancare di rispetto ai principi democratici della Costituzione. Ciò che importa, più di un feticcio da idolatrare, è il complessivo rispetto democratico delle scelte popolari. Ma per rispettare le scelte degli elettori, devono essere cautelate e focalizzate le prerogative degli ordinamenti della Repubblica. Dopo oltre 60 anni di esperienza repubblicana ci sarebbero da fare verifiche sulle autonomie ed i loro limiti, sugli ambiti, i controlli e le garanzie. Se ci lamentiamo di un’Italia che non funziona a dovere, ci sarà pure una ragione da individuare nella sua organizzazione. Ma per tornare a Don Sciortino, vorremmo che comprendesse, per essere al comando di un osservatorio che avrebbe il dovere d’essere neutrale, come quello di una rivista che si richiama alla fede cristiana, che, in democrazia, il Capo del Governo è l’espressione della maggioranza del Paese. Se questo principio è inconfutabile, dovrebbe dedurre che dar attuazione, con responsabilità, al programma di governo, per tutta la durata del suo mandato, sia un dovere del Premier verso la Nazione. Il giudizio dell’elettorato si forma, infatti, su queste capacità e sul gradimento o meno della complessiva azione di governo. Non certo sulla simpatia o meno attribuita da Don Sciortino a Berlusconi.Avviene così in tutte le democrazie liberali: dall’Inghilterra, alla Germania, alla Spagna. Ed avviene anche negli Usa ed in Francia, sebbene vi sia una figura politico-istituzionale, come quella del Presidente, che stabilisce l’indirizzo del Governo. Nei paesi in cui prevale il sistema presidenziale, inoltre, il Capo dello Stato è una figura rilevante e determinante: il suo potere, infatti, è legittimato dall’elezione diretta da parte del popolo. Lo si vorrebbe anche in Italia per evitare che le elezioni siano solo una formalità scritta nella Costituzione e per attribuire finalmente ai cittadini il diritto di scegliere. Ma chiedere questo non è certo bestemmiare, e non sarebbe neanche irrilevante osservare che questa caratteristica ridurrebbe drasticamente il fenomeno della partitocrazia. Potrebbe invece essere un modo per limitare il potere maneggione dei partiti e per sopire la fauna delle tante fameliche “bestie politiche” che li circondano.I tempi sono cambiati dal 1948, le ideologie forti sono crollate, le comunicazioni e gli interventi richiedono tempi veloci e le trasformazioni sono spesso più rapide del pensiero. Non a caso il Costituente, con l’art. 138, aveva previsto la possibilità delle revisioni della Carta, prevedendone così l’ adeguamento nel tempo. Non esiste democrazia che non preveda verifiche, che non consenta aggiornamenti e che non si attivi per offrire maggiore efficienza. Arroccarsi sull’intangibilità delle norme costituzionali puzza di pretestuosità e certamente è esercizio retorico di pseudo-moralismo. Un po’alla Scalfaro, o alla Don Sciortino, per intenderci!Vito Schepisi