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Ronde padane


Cerchiamo di capire chi sono realmente i rondisti riflettendo su come sono nati. L’articolo che segue è tratto dal sito www.ilbenecomune.net. “Ronde padane”, la falsa soluzione che alimenta l’odio Le prime ronde padane risalgono al 1989, segnando Denominatore comune la caccia all’immigrato. Al di là dell’origine e del colore. I primi infatti a finire nel mirino sono i meridionali. Nel giro di pochi anni, però, con il dilagare degli sbarchi clandestini, giunge il turno degli albanesi, dei marocchini, sino ad arrivare ai giorni nostri quando rom e rumeni divengono gli unici responsabili del degrado di strade e città. L’esperienza delle guardie verdi ha raccolto nel tempo più scivoloni che medaglie finendo spesso nel ridicolo. Come nell’agosto del 1997, quando quattro leghisti in bermuda e camicia verde, nel tentativo di “ripulire” le spiagge di Villamare di Cesenatico dai rivenditori abusi, incassarono, oltre all’irrisione e gli insulti di tutti i bagnanti, una denuncia penale da parte della Guardia Costiera. Oppure nel bresciano dello stesso anno, quando la Lega, in seguito all’accoltellamento di un uomo, organizzò in tutta la provincia perlustrazioni a caccia del presunto slavo o albanese responsabile. Peccato che nessuno slavo o albanese avesse effettivamente commesso il fatto. Fu infatti la moglie del ferito, sotto interrogatorio, a svelare i reali retroscena della vicenda: il colpevole, non era nè slavo nè albanese, ma semplicemente il proprio amante.Paradossi a parte, il fenomeno non può essere sottovalutato. Perchè a Torino nel 2000 una ronda padana a caccia di spacciatori magrebrini finì per appiccare il fuoco ad un giaciglio improvvisato di senza tetto che nulla centravano con i presunti colpevoli. Perchè Borghezio, nonostante possa pure far sorridere per le sue uscite a dir poco colorite, non può e non deve essere giustificato in veste di un presunto fervore folcloristico. La sua militanza giovanile nell’estrema destra e le sue proposte xenofobe e razziste, quali ad esempio la creazione di scompartimenti differenziati per bianchi e neri all’interno dei treni, rispecchiano infatti per tante ragioni il diffondersi di un’odierna concezione dell’alterità: la diversità come nemico, obbiettivo da combattere e distruggere. Soprattutto tra i più giovani, dove la discriminazione si trasforma troppo spesso in una forma primitiva di collante sociale.E’ da questo universo mentale e subculturale che poi scaturiscono il barbaro pestaggio di Verona e le bravate dei bulli di Viterbo. La compagnia e le conoscenze che si coalizzano in un branco arcaico, dominato da regole e logiche animali. Quello stesso branco grazie al quale individuare e colpire chi di questo non vi fa parte, l’escluso, come il compagno di scuola secchione, il giovane vestito fricchettone o chi persino può incrociare anche solo il tuo sguardo. Si cresce con la prospettiva di adeguarsi al più forte, in una spirale di omologazione dettata anche dalla paura di non risultare diverso e perciò debole, esposto al rischio di diventare obbiettivo sensibile.Il problema della violenza nelle strade resta una questione tangibile da affrontare. Immigrazione clandestina naturalmente annessa. Ma non con l’impiego di metodi polizieschi e repressivi. Chi li imbraccia con tanto slancio non mostra di comprenderne la natura simbolica: non ci sono responsabilità politiche nella xenofobia, ma prettamente culturali. E in questo modo non si fa altro che sollecitarle.Come ben descritto da Ilvo Diamanti sulle pagine de “La Repubblica” le ronde rappresentano null’altro che il tentativo di “riprodurre tracce di comunità” semplici “placebo” in una società ormai morta. Dove gli extracomunitari che tutti i giorni vediamo in televisione convogliano e redistribuiscono paure antiche. Mentre i veri stranieri, i reali colpevoli, quelli di cui avere realmente timore, sono spesso i propri figli, ragazzi magari anche inseriti socialmente, ma che non sembrano provare remore nel massacrare di botte un coetaneo persino per una sigaretta.