una corsara mora

Post N° 655


Crede ancora di essere una diva, quando nel cuore della notte entra in una delle case alla periferia di Atlanta dove si radunano i fumatori di crack. Per comprare una dose da pochi dollari Whitney Houston si è messa addosso una pelliccia di visone, al dito che trema accendendo la pipetta ha un anello di diamanti. Quando i cristalli di cocaina prendono fuoco e la droga le arriva al cervello, lei inizia a cantare a se stessa, le mani alzate verso il cielo, e chi riesce a sentirla dice che la voce è ancora quella incredibile di una volta. Ma invece del pubblico che una volta la applaudiva ora ad ascoltare ci sono solo gli spacciatori e i loro clienti. «Shut up, bitch!», «Taci, sgualdrina» dice uno di loro, e compone al telefono il numero degli amici della cantante perché se la vengano a riprendere.C'è qualcosa di osceno quando il sogno americano comincia a girare al contrario e a raccontarlo sono i tabloid: il finale è sempre scontato. Per Jimi Hendrix furono i barbiturici, per John Belushi gli speedball fatti di eroina e cocaina, per Kurt Cobain un colpo di pistola in testa dopo avere sfiorato troppe volte l'overdose. Ma nessuna delle morti in diretta dello spettacolo americano somiglia allo show offerto ora da Whitney, la faccia d'angelo ridotta a un teschio da dosi da cavallo di crack, la droga di chi vive nei ghetti delle grandi città americane o di chi quei posti non è riuscito a scrollarseli di dosso neppure dopo avere conquistato il mondo con un acuto impossibile.