una corsara mora

Post N° 660


 Purtroppo non si sbaglia a dire che presto ne arriveranno degli altri, avvolti dal tricolore. Lacrime, gente, discorsi, omelie più o meno accettabili, politici, molta retorica d'occasione e molta ipocrisia. Per ricordare dei ragazzi automaticamente assurti al rango di «eroi» - anzi di «eroi della pace » - mandati invece a morire in due guerra sbagliate. Perché quelle in Iraq e in Afghanistan sono guerre, e non missioni di pace come molti politici e molti opinionisti di grido si sforzano di far credere, e guerre di aggressione. Tre anni dopo l'inizio della prima e tre anni dopo l'inizio della seconda, la situazione è sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono vedere. Blindati che saltano sulle mine, elicotteri che cadono, morti, morti, sempre più morti. Resta solo Bush a dire che in quei due disgraziati paesi la democrazia avanza. Al contrario. L'Iraq rischia di andare in pezzi come paese e come Stato, sotto la spinta di una guerra inter-etnica e inter-religiosa che ormai nessuno osa più non chiamare civile. L'Afghanistan è ridotto a una città - Kabul - dove un signore che era impiegato della Halliburton di Cheney è stato piazzato - pardon: eletto - alla presidenza di una repubblica che non c'è. Ma nell'ottobre 2001 e nel marzo 2003 quando Bush, per vendicare l'11 settembre, sferrò la guerra «di liberazione » e la guerra «al terrorismo», qualcuno doveva dirgli che andava a finire in una trappola. In tanti ci avevano provato prima - gli inglesi, i russi - e in quei due paesi si erano impantanati. Quello di Saddam e quello dei taleban erano due regimi aberranti. I «liberatori » avrebbero dovuto essere accolti da rose e fiori, come fu quando gli europei accolsero i bravi ragazzi americani alla fine del nazi-fascismo. Invece hanno trovato bombe e kamikaze. Il terrorismo, anziché non diciamo finire ma diminuire, è dilagato: Madrid, Londra... L'Islam è sempre più rabbioso con l'Occidente che l'ha oppresso e l'opprime. Si fa di tutto perché uno scontro politico divenga una guerra di civiltà. Si dà spazio ai magdiallam e alle emmebonino che incitano all'esportazione armata della democrazia e all'umanitarismo militare. Si lancia una crociata contro le ambizioni nucleari dell'Iran (pacifiche, fino a prova contraria che al momento non c'è) e si consente la «bomba amica» all'India (e a Israele, ovviamente). Come mai non ci si chiede perché scomparsi personaggi orrendi come Saddam e i taleban, gli iracheni e gli afghani muoiono e uccidono anziché cedere ai «liberatori» e ai loro quisling locali? Conquistatori anziché liberatori. C'è chi spinge per allargare quei conflitti - e altri: all'Iran, alla Siria e chi più ne ha più ne metta perché di regimi fetenti il mondo è ricco - e c'è chi, più moderato, dice che non ci possiamo ritirare adesso perché se no il terrorismo l'avrebbe vinta. E tutti insieme dicono che non bisogna fare come Zapatero. Un vile «tutti a casa», un 8 settembre bastardo. Un'ipotesi che coincide con quella espressa ancora ieri da Robert Kaplan, uno dei perversi cervelli dei neo-con: «Ritirare i soldati italiani sarebbe una decisione irresponsabile ». Irresponsabile per chi? Il Kosovo, l'Iraq e l'Afghanistan non bastano?