una corsara mora

Post N° 707


                                   Per molti che avevano creduto alle promesse 'riformiste' di un atlantismo dal volto umano (il volto di Clinton, per esempio; e prima di Carter), le vicende dell'invasione dell'Iraq e dell'Afghanistan hanno rappresentato il ritorno alla dura realtà. Che ha anche portato con sé un ripensamento retrospettivo sugli Usa come patria della democrazia, legittimata anche a esportarla e a difenderla nelle varie parti del mondo contro le violazioni dei diritti umani. Insomma, era l'immagine degli Usa come la diffondono ancora i giornali e le televisioni 'indipendenti', e sulla quale si fondano per esempio le argomentazioni di chi ammonisce l'Italia a non abbandonare l'Afghanistan, magari anche l'Iraq, e le altre regioni in cui contingenti militari italiani sono ancora impegnati 'sotto l'egida' dell'Onu e 'nell'ambito' della Nato. Che cosa significhino queste espressioni, anzi quale vuoto di senso esse nascondano, lo si può imparare dal bel libro di Danilo Zolo, che collega giustamente la questione delle guerre umanitarie, preventive, antiterroristiche, alla storia del processo di Norimberga, cioè al primo e decisivo momento in cui la criminalizzazione della guerra ha dato luogo, di fatto, all'affermarsi della "giustizia dei vincitori", che contro ogni normale concezione del diritto hanno preteso di applicare, per giunta retroattivamente, le norme del processo penale a individui 'colpevoli' di aver iniziato una guerra, concepita di per sé come crimine contro l'umanità. Molti degli argomenti che Zolo utilizza, provengono dalle critiche mosse da Carl Schmitt, ma anche da Hans Kelsen, al tribunale di Norimberga. Là gli orrori del nazismo sono serviti a giustificare agli occhi del mondo una mostruosità giuridica; in preoccupante analogia con ciò che accade oggi, quando gli orrori del terrorismo servono egregiamente al cinismo imperialistico dell'amministrazione Bush e dei suoi alleati.Danilo Zolo, La giustizia dei vincitori. Da Norimberga a Baghdad