una corsara mora

Post N° 722


Parole femmine, pensieri maschiMINA
C’è chi abbassa sensibilmente la media. «Tu mi dirai...», mi dice abitualmente un amico che ama molto parlare, alla fine di un discorso che prevederebbe un intervento da parte mia che, invece, rimango muta. «Mi dirai...» e va avanti con supposizioni circa la mia posizione sull’argomento in questione che, di solito, non si avvicinano neppure lontanamente a quella che è la mia opinione. Lo ammetto, c’è un perverso divertimento in questo mio atteggiamento. No, non c’entra la pigrizia. Quando c’è da parlare, parlo. Ecco, magari non a caso, non comunque, non per obbligo, non per circostanza, non per falsi convenevoli. E invece il solito studio di cui non si sentiva la necessità, e cioè il libro «The Female Brain» della neuropsichiatra Louann Brizendine, ci dice che le donne parlano tre volte tanto rispetto alla media maschile. Trattasi di 20 mila parole al giorno contro 7 mila. E adesso che lo sappiamo, possiamo andare a letto più contenti, no? Ma non è tutto. La signorina ci riserva altre perle. Ad esempio, la chiacchiera provoca nelle donne una sensazione di piacere simile a quella prodotta dall’eroina. Inoltre il testosterone, che determina la fisiologia del cervello del feto maschio, sarebbe responsabile della silenziosità dei maschi, che però si rifanno con un pensiero ostinato e insistente al sesso, argomento a cui la mente maschile si rivolge, udite udite, ogni cinquanta secondi. Ma chi avrà intervistato? Qualcuno in cattività, come carcerati, pastori in transumanza o seminaristi, I presume. O magari è vero e forse le donne ci pensano addirittura di più. Boh, va’ a capire. Mi piacerebbe sapere, si fa per dire, come la signorina abbia scelto il campione di individui a cui rivolgere la sua attenzione e come abbia fatto i conteggi delle parole femmine e dei pensieri maschi. Qualche giorno fa leggevo di un altro studio che attribuisce alla figura paterna la massima responsabilità nella ricchezza linguistica del bambino. E allora, che si mettano d’accordo gli studiosi del nulla. Ai fini dello sviluppo della parola vale di più il testosterone o un padre che parla forbito? Una madre amorevole o una stanza per bimbi dipinta di blu? L’allattamento al seno o una maestra tremenda che ti corregge anche le vocali aperte o chiuse? Contano o no le differenze individuali e le influenze culturali? Meglio leggere Dante o ascoltare Di Pietro che parla in tv? Comunque, per risolvere i miei dubbi, non vedo l’ora che questo libro venga pubblicato anche in Italia. Appena esce, corro in libreria a non comprarlo