una corsara mora

Post N° 252


LADY CHATTERLEY SA AMAR COSI'Storie di una eccentrica parente del Barone rosso che si legò a un narratore scandaloso. E diventò la sua musaLui: “Tu hai una disposizione naturale alla vita”. Lei: “Può darsi, ma sei stato tu a tirarmela fuori”. Bastano questi squarci di dialogo per capire che ci si trova di fronte a un amore non comune, per intensità e intesa. Lui è David Herbert Lawrence, l’autore di L’amante di Lady Chatterley, lei è Frieda von Richtofen, sua moglie. Lui il figlio di un minatore inglese, duro, rigoroso, irascibile. Lei figlia di nobili tedeschi, imparentata al leggendario Barone rosso, scapestrata, bohémienne, a volte sciatta, maternamente devota, talvolta fedifraga. Ed è lei, con le sue memorie a illuminare la vita privata del genio britannico che fece scalpore per la sua prosa affilata e soprattutto per aver estratto la sessualità dal cassetto del pudore e della reticenza del primo Novecento. Frieda cominciò a scrivere i suoi ricordi alla morte di Lawrence - che lei chiamava affettuosamente Lorenzo, anche per i prolungati soggiorni della coppia nel nostro paese -  Inevitabile domandarsi se ci sia un nesso tra l’estroversa Frieda e la sensuale Constance Chatterley detta Connie. C’è, eccome. Frieda è florida come la protagonista del romanzo. Lawrence scrive che era così debordante la femminilità della sua eroina da poterla difficilmente collocare tra le donne eleganti, almeno quelle spilungone e secche delle inglesi, così pallide, anzi così scialbe. letteratura. Lawrence, psicologicamente mutilato dal rapporto difficile con la madre, ammetteva con la moglie: “Mi fai sentire sicuro di me”. Lei, più vecchia di sei anni, lasciò il marito (un insegnante inglese) e tre figli per aver visto nello scrittore alle prime armi la propria liberazione: “Stavo conducendo una vita da sonnambula in uno schema convenzionale ed egli risvegliò la consapevolezza del mio io”. Era l’aprile del 1912: il ventiseienne Lawrence si dichiarò subito: “Siete la donna più affascinante dell’Inghilterra”. E Frieda, vent’anni dopo, cerca di capire il mistero di quella reciproca attrazione: “Io possedevo ciò che egli chiamava ‘sesso nella testa’, una teoria per amare gli uomini”. Lui la circonda di tenerezza, la fa rinascere. Quale gioia maggiore offrire a una donna? E lei, nelle memorie, si mostra riconoscente: “Il suo amore spazzò via tutte le mie vergogne e inibizioni, il fallimento e le miserie del mio passato. Mi rese nuova e fresca, cosicché io potessi vivere libera e leggera come un uccello. Lottò per la libertà del mio essere, e vinse”. Un idillio senza nubi? No: i due si scontravano spesso, e talvolta si picchiavano. Frieda ammette candidamente: “Era una tortura vivere con lui”. E quando ebbe una crisi di gelosia, si scagliò contro la rivale: “Prova tu a stare accanto a un genio!”. Diverbi a parte, la coppia era salda e aggrappata a un mondo rigorosamente a due. Con riflessi nella creazione letteraria, tanto è vero che lei racconta: “La sua arte era il risultato della nostra vita quotidiana”. Lo aiutò fino alla fine. Sopportò la povertà, l’incomprensione di molta critica e infine i colpi della sua tubercolosi. La malattia tolse energia a un uomo così “vitale, che mai provava pena per se stesso”. Lei materna, lui in armistizio con certe sue paure, compresa quella che aveva delle donne: “Sentiva” racconta Frieda “che erano in fondo più forti degli uomini, diceva che la donna è assoluta e inconfutabile, mentre l’uomo è fluttuante”. L’ottimismo, la naïveté e la generosità fisica dell’ex baronessa non fu solo ispirazione per Lawrence, ma vita vera. Lui il logos, lei l’eros”.