una corsara mora

Post N° 328


Nei paesini di montagna capita di trovarle ancora oggi.  grosse scritte sui muri con uno slogan di battaglia e la firma, una gigantesca 'M'. Sono i motti di Mussolini, il primo esempio italiano, anche se un po' rudimentale, di campagna pubblicitaria a tappeto. Nel ventennio fascista il nostro paese ne era letteralmente pieno. Ma l'apparato propagandistico del regime non si accontentava certo di imbrattare i muri. I giornali, e soprattutto la radio, facevano la parte del leone in un sistema capillare di costruzione del consenso, che non risparmiava nessuno: uomini, donne e bambini, al lavoro come a scuola, come nel tempo libero e nello sport. La radio, in particolare, divenne il mezzo fondamentale per diffondere i comizi. Nei giorni precedenti le adunate, una campagna martellante ricordava a tutti di mettersi la camicia nera e correre nelle piazze, mentre chi restava a casa poteva ascoltare in diretta una novitą assoluta: i proclami del Duce. In un modo o nell'altro tutti dovevano sentirsi partecipi. Nell'organizzazione fascista poi, ognuno aveva un ruolo prestabilito. I ragazzi, per esempio, erano inquadrati in strutture paramilitari fin dalla pił tenera etą. Figli della lupa dai sei agli otto anni, balilla o piccoli italiani fino ai dodici, avanguardisti e giovani italiani fino ai diciotto, mentre, per chi aveva la fortuna di continuare gli studi, c'era la gioventł universitaria fascista, tutto sotto il comando del Ministero della Pubblica Istruzione. Tale era l'organizzazione che nel 1937, nei gruppi giovanili, contava fino a otto milioni di iscritti, iscritti a forza naturalmente. Del resto anche l'adesione al Partito Nazionale Fascista, l'unico consentito, non era esattamente una libera scelta. Chi non aveva la tessera perdeva ogni possibilitą di carriera e spesso, nel settore pubblico, anche il lavoro.