una corsara mora

Post N° 334


"Quel centro assai sociale Il centro sociale lo occuparono il 25 agosto del 1995. Una palazzina bianca, in un parco abbandonato costruito con i soldi del dopo terremoto. Per arrivarci bisognava attraversare un giardino. Quel giorno l'erba era alta e gialla, le piante disposte a caso nelle aiuole. I cespugli di rosmarino straripavano ovunque. La palazzina aveva tre piani, in ognuno una sala bianca e vuota, dove rimbombavano le voci. I vetri delle finestre erano a pezzi per le sassate. L'edificio era stato costruito in modo sommario. C'era un solo bagno, i pavimenti di linoleum assorbivano lo sporco, l'umidità si mangiava i muri. Non poteva avere nessuna destinazione. Eppure, subito dopo l'occupazione, sui giornali comparve il testo di una petizione. Un gruppo di intellettuali lo reclamava per farne un archivio ma per fortuna non riuscirono a farsi troppa pubblicità.Molti abitanti del quartiere non erano mai stati nel parco. Gli era cresciuto sotto gli occhi nel corso degli anni. Avevano visto scomparire interi vicoli e palazzi pericolanti. I lavori si interrompevano quando l'impresa non pagava la protezione, poi dopo un po' riprendevano. Un giorno il cantiere era rimasto in silenzio, ma non si trattava di un'altra imposizione del racket. L'opera era terminata. Gli operai smobilitarono. Al posto loro non arrivò nessuno. Il Comune aveva lasciato marcire la struttura. Adesso qualcuno si prendeva la responsabilità di aprirla. Bisognava approfittarne. La curiosità della gente convinse gli occupanti che valeva la pena andare avanti. Erano curiosi. Volevano vedere come sarebbe andata a finire.Lo chiamavano lo sgarrupato, quell'eccentrico insieme architettonico, designando senza giri di parole il deperimento a cui l'aveva condannato l'inerzia amministrativa. I bambini erano gli unici, insieme agli eroinomani, che apprezzavano la sua degenerata destinazione d'uso. Spazio avventuroso e segreto dove coltivare la propria indipendenza. Buco nero sottratto al controllo degli adulti, che lo bollavano come pericoloso e imponevano anche a loro, inutilmente, di starne lontano.Gli occupanti avevano stampato un piccolo manifesto, solo per loro. L'avevano attaccato nei dintorni del centro sociale. Era l'identikit di un anonimo personaggio. Maschio, bianco, meridionale. «Ambiente di riferimento: il quartiere in cui è nato. Professione: disoccupato, con lavoro saltuario. Stato penale: almeno qualche precedente. Stato culturale: disinteressato alla conoscenza. Stato mentale: tendenza alla violenza fisica e verbale, difficoltà di concentrazione. Stato fisico: abuso di droghe eccitanti, imita tutto ciò che la televisione o il gruppo di appartenenza gli propongono, si esalta con le armi da fuoco. Limiti: attacca il più debole e si sottomette al più forte, trova ridicolo tutto ciò che è diverso da lui, considera la donna un oggetto sessuale e vorrebbe vietarle ogni libertà di scelta». Il manifesto finiva con un'esclamazione, a caratteri più grossi: «Ma dài, questo non puoi essere tu!"