una corsara mora

Post N° 380


 Il mattino del 25 aprile 1895, in una radura alberata, luminosa e tiepida, a Portici, furono visti due giovani sul trent'anni battersi vigorosamente con le spade. Il duel­lo, che lasciò perplessi e sorridenti gli amici dei due nemici, era nato da dissensi su questioni di critica lette­raria e di estetica.  Ma lo scontro fu, per fortuna, al primo sangue: uno dei due ebbe la peggio con «una gentile feritina alla guancia» e alla fi­ne i duellanti, invitati dai padrini, si strinsero la mano. Il ferito e perden­te era Benedetto Croce; ma l'altro, un professore di letteratura italia­na, era perduto: i suoi scritti erano stati trafitti dalla penna sottile di uno studioso i cui esordi critici e storiografici erano universalmente apprezzati.Quell'anno, il 1895, si presentava al giovane Croce quanto mai interessante: era affiorata in lui la pas­sione per il socialismo e il marxi­smo, al punto da spingerlo a sottoscrivere mille lire (oggi sarebbero circa tremila euro) per il nuovo gior­nale socialista Avanti! e a pubblica­re, a sue spese, il saggio di Antonio Labriola, suo maestro e amico, In memoria del "Manifesto dei Comu­nisti". Fu l'avvio ad alcuni scritti di Croce dedicati alle idee e alle opere di Marx (Sulla concezione materia­listica della storia, apparso nel 1896) che culmineranno, dopo quattro anni, nel volume Materiali­smo storico ed economia marxistica, edito a Napoli nel 1900.  Ma questo culmine non coincise con la partecipazione passionale degli esordi.  Oltre alla demolizione teorica di uno dei fondamenti (la «caduta ten­denziale del saggio di profitto») del­l'analisi marxiana del Capitale, il volume chiudeva i conti del «compagno Croce», lo chiamavano così gli amici socialisti, col socialismo come ideale e come pratica di lotta politica e con il materialismo storico come materia di ricerca e di discussio­ne filosofica.  Era nato uno studioso di grande rigore, dal linguaggio limpido e preciso, la cui stagione intel­lettuale entrerà nella storia culturale, politica e morale dell'Italia dei primi cinquant'anni del Novecento. E l'immagine del duellante non è estranea al carattere militante del suo idealismo, all'antiaccademismo, al senso della storia e della poesia, come forme libere, duttili del cono­scere, all'essere cittadino (sarà an­che leader politico) di un paese diventato Stato e nazione grazie a una minoranza di innovatori borghesi e di rivoluzionari, e tuttavia col pessi­mismo di ascendenza machiavel­liana nei confronti di una Italia di cui andavano protetti i fondamenti culturali e civili, sempre a rischio di caduta e di perdizione.  Non a caso la sua prima ricerca storico-politica, contemporanea all'appassionato confronto con il socialismo, fu la Ri­voluzione napoletana del 1799, pubblicata nel 897; amara rifles­sione sulla grande occasione per­duta dalla storia d'Italia