una corsara mora

Post N° 446


la riforma della procedura fallimentare, varata dal governo, ha toccato un picco di mistificazione davvero straordinario. Il ministro della Giustizia ha parlato di "un altro fiore all'occhiello della legislatura" e addirittura di "una rivoluzione copernicana che accresce la competitività del sistema mettendoci in linea con l'Europa". Mentre il presidente del Consiglio è andato più sul pratico, sintetizzando le novità con l'annuncio che d'ora in poi chi fallisce non sarà più "un reietto della società", ma potrà intraprendere nuove iniziative.E, in effetti, l'impianto di questa riforma si caratterizza proprio con l'obiettivo di squilibrare nettamente la bilancia dei diritti dei soggetti coinvolti in una procedura fallimentare, favorendo la posizione di chi risulta insolvente e dei suoi maggiori creditori a spese di tutti gli altri, segnatamente dei piccoli creditori. Con tanti saluti a quel principio secolare che si chiama 'par condicio creditorum'. In buona sostanza accadrà che chi vanta i crediti più importanti - cioè, il sistema bancario - potrà concordare con il fallito un accordo sulla gestione dell'attivo fallimentare a conclusione del quale l'insolvente si vedrà liberato da tutti i debiti residui, vale a dire quelli nei confronti di tutti i piccoli creditori. Mentre la funzione di controllo della magistratura viene ridotta ai minimi termini e il fallito potrà tranquillamente intraprendere nuove avventure.Insomma, il timone della procedura fallimentare viene posto nelle mani delle banche creditrici: le quali poi, in molti casi, sono gli stessi soggetti responsabili di avere in precedenza disinvoltamente finanziato imprese e imprenditori rivelatisi inaffidabili. Altro che il malcapitato Copernico tirato in ballo a sproposito dal ministro Castelli, questo è il ritorno a una visione tolemaica del diritto economico che pone al centro del sistema la salvaguardia dei diritti dei più forti e dei più furbi a scapito di quelli dei più deboli o più ingenui. Un'involuzione che grida vendetta al cielo in un paese dove migliaia e migliaia di piccoli risparmiatori si stanno ancora leccando le ferite dei crac Cirio e Parmalat, senza che il patrio governo, così pronto nel correre in soccorso dei falliti, sia riuscito a mandare in porto anche la più blanda riforma del mercato del risparmio.D'altra parte, di che meravigliarsi? Il governo  ha esordito nel 2001 mettendo avanti a tutto un'altra legge di protezione dei forti a scapito delle buone regole del mercato libero: la depenalizzazione del reato di falso in bilancio. Legge ben mirata anche su interessi particolari e personali, di cui il presidente del Consiglio ha appena raccolto i frutti con la sentenza di assoluzione sul caso All Iberian perché "il fatto non costituisce più reato". Queste novità lassiste in materia fallimentare altro non sono che il compimento di un'opera di screditamento dell'economia di mercato e del capitalismo nazionale scientemente perseguita lungo l'intero arco della legislatura.