una corsara mora

Post N° 448


«La tigre e la neve» uscirà il 14 ottobre È la storia di un poeta che finisce a Baghdad per riuscire a salvare la donna dei suoi sogniBenigni «Il mio filmè un inno alla vita»«Solo poesia e amore possono farci superare l'orrore delle guerre L'ho ambientato in Iraq ma non critico i soldati americani: sono vittime anche loro»Di Giacomo Vallati«No. La parola amore non ha un suono dolciastro. Al contrario: è il nome di ciò che muove il mondo». Entusiasmerà parecchi (e spiazzerà altrettanti) l'amore che Roberto Benigni ha riversato come suo stile, senza risparmio né paure in La tigre e la neve: il nuovo, attesissimo film del poeta di La vita è bella, che dal 14 invaderà 800 cinema italiani e (presumibilmente) i cuori del pubblico. Vivaddio: in tempi di desolato assassinio della speranza, ecco finalmente «un film che - come dice l'autore - è un inno alla poesia. Cioè all'amore per la vita. E proprio mentre cinema e letteratura attorno a noi non fanno che parlarci di morte». Non teme, Benigni, d'apparire «buonista» a chi per professione fa il profeta di sventura; né accomodante a chi scambia i film per dei manifesti politici. Quando si seppe che la Tigre e la neve avrebbe avuto sullo sfondo la guerra in Iraq, molti sperarono in un film ideologico. Magari anti-americano. «Ma che quella guerra sia brutta lo pensiamo tutti. E sui soldati americani mandati a combatterla io non esprimo giudizi. Anzi - riflette alludendo all'intenso sguardo che il suo personaggio scambia con un giovane soldato yankee - li guardo con sentita pietas umana». Non solo: a chi avrebbe gradito esclusivamente una requisitoria anti-bellicista, «quello è un tipo di film che va alla testa - risponde ora Benigni - mentre invece il mio vuole arrivare al cuore. Io non credo che un film possa salvare il mondo. Però può consolarlo; magari divertirlo. Ecco quanto ho cercato di fare».Ed ecco perché la Tigre e la neve - semplice storia di un poeta innamorato di una donna (Nicoletta Braschi) a un punto tale da inseguirla in Iraq e da salvarla contro ogni avversità, con la sola forza dell'ottimismo - «voleva essere semplicemente la storia di un amore. L'amore per la poesia, che poi è amore per la vita. E l'amore per una donna, che è quello per il mondo intero».D ai primi fotogrammi (che con effetti digitali arruolano fra gli attori anche Montale, Ungaretti, Borges e la Yourcenar) alle struggenti immagini conclusive, il film fa dunque perno attorno alla poesia intesa come strumento d'amore. «Il protagonista, il professor Attilio, è un poeta (il che già è raro in un film); ma è bello che sia anche uno qualunque. Si trasforma cioè nel poetare. Perché gli artisti sono come i sonnambuli: in stato di grazia superano tutte le difficoltà, ma se li svegli diventano tipi qualsiasi».Proprio nella poesia è il coraggio del film («il professor Attilio insegna anche cose dure, difficili: che per trasmettere la felicità bisogna soffrire, ad esempio, e che dunque non bisogna avere paura della sofferenza»); nonché il suo entusiasta messaggio vitalistico: «Non è un caso che il poeta arabo interpretato da Jean Reno, incapace di soffrire e incredulo di Dio, compia una scelta drammatica. Al contrario di lui, Attilio ha una voglia di vivere - esplode Benigni (secondo il suo stile) - che gli spacca il ventricolo destro della circumnavigazione sanguigna». E non è un caso - aggiungiamo noi - che accanto alla poesia molto spazio abbia (consapevole o meno) il sentimento religioso: «Pur non nominando mai Dio, Attilio si trova a pregare Allah. Che poi sarebbe Dio quando parla arabo. E lo fa recitando una preghiera che definisce bellissima, il Padre Nostro, in una scena che è una delle mie preferite».Concludendo: «Guardando questo piccolo ometto catapultato in mezzo alla guerra, a combattere la sua guerra per salvare la sua donna, questa ci appare tanto più giusta ed eroica di quella. E la forza dei sentimenti si dimostra la più forte che esista».