una corsara mora

Post N° 493


Era il 9 settembre del 2004. I giornali americani si accorsero, con enfasi e angoscia, che in Iraq erano morti mille soldati americani. I volti dei caduti, la commozione, e per la prima volta, anche, le proteste: perché per tanti mesi quei volti erano stati nascosti? Così quella cifra simbolica divenne un argomento della campagna elettorale fra John Kerry e George Bush. Fra commozione, indignazione e retorica patriottarda. Il sito del New York Times, ad esempio, pubblicò uno speciale in memoriam: decine di quadratini grigi allineati uno accanto all’altro, come lapidi di un cimitero virtuale. Forse illudendosi che quello shock visivo potesse indebolire l’ideologia neo-con.A poco più di un anno di distanza, e a meno di un anno dalla rielezione di Bush alla Casa Bianca, i morti sono diventati duemila. Segno che la guerra in Iraq non è finita, segno che la mortalità dei soldati americani è aumentata: quasi tre al giorno, in media. Uno stillicidio senza fine.Ma come reagirà ora l’America? Lontano dai clamori della campagna elettorale, Bush sarà costretto a spiegare, difendere la sua politica, indicare una via d’uscita. Compito non facile. Per la prima volta dal 2003, rivela un sondaggio pubblicato da The Wall Street Journal, la maggioranza degli americani (il 53 per cento degli intervistati) giudica che la guerra contro Saddam sia stata un errore, mentre il 44 per cento ritiene che la situazione stia peggiorando di giorno in giorno, e addirittura il 61 per cento non nutre alcuna fiducia nelle possibilità di successo della politica irachena di Bush. l'unita'