Creato da corsaramora il 24/05/2005
tutto cio' che ci accade intorno ..mie riflessioni e non...
 

Messaggi di Agosto 2005

Post N° 352

Post n°352 pubblicato il 31 Agosto 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

Panico per falso allarme kamikaze
 

in iraq  si muore anche cosi'..e muoino i bambini

All'improvviso sono stati esplosi alcuni colpi di mortaio contro la folla

la voce sul kamikaze è stata fatta circolare ad arte proprio per creare quel clima di panico che ha portato poi alla strage, prospettando così una nuova, pericolosa strategia terrorista.

nella foto..solo povere scarpe..di gente povera

 
 
 

Post N° 350

Post n°350 pubblicato il 31 Agosto 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

le grandi bugie

"IRAQ: BUSH, COME NEL 1945 IN GUERRA CONTRO NEMICO SPIETATO
La stessa determinazione che ha portato gli Stati Uniti alla vittoria nella Seconda Guerra Mondiale e' necessaria oggi nella lotta al terrorismo, per far si' che l'Iraq diventi, come il Giappone, un fedele alleato: e' quanto il presidente degli Stati Uniti George W. Bush ha affermato parlando alla base navale di Coronado, nel sud della California, in occasione del 60esimo anniversario della resa del Giappone dopo le bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki."

chi non prova orrore a queste dichiarazioni?
tutti sappiamo le tragiche conseguenza delle bombe atomiche  e perche' l'iraq possa diventare come il giappone quante vittime si dovranno contare?
 
I soldati  sono stati inviati in iraq  non per eroiche imprese per la salvezza o per l'onore della patria, ma per imporre la democrazia ,a una società che non sa neppure quel che vuole 

 mandati per che cosa?
E ciò che i soldati credevano di dover fare è proprio quel che hanno fatto o stanno facendo?

Se non fanno nulla di utile o se addirittura stanno facendo cose inutili, naturalmente non è colpa loro, ma dei loro capi. E per capi si intende il Presidente degli Stati Uniti.

L'immagine dell'America che sta uscendo da questa avventura è peggiore di quella che in qualsiasi film si sarebbe riusciti a immaginare.


a che punto è la rinascita dell'Iraq? Che cosa ha saputo fare Bush per favorirla?


Saddam è stato cacciato, e va bene. Ma questo è l'unica voce attiva iscritta a bilancio a partire dal 17 marzo 2003 a oggi.

Tutto il resto: liberazione accolta senza entusiasmo, elezioni che sono state (e nelle settimane successive lo si vide chiaro) una farsa, una Assemblea costituente i cui membri venivano metodicamente assassinati, un testo costituzionale infine che, conclamato da Bush ma anche dai nostri politici, come la prova provata della bontà delle ragioni dell'intervento, è stato prima ancora di nascere stracciato dalla componente sunnita dell'Assemblea stessa. Sembrava che fare una Costituzione fosse una bazzecola, per un paese liberato, pacifico, democratico: ebbene, purtroppo, le cose stanno esattamente al contrario.

L'Iraq non è un paese libero, non è pacifico, non è democratico.
Non per colpa sua, sia ben chiaro. Ma è passato da una dittatura sanguinaria a una anarchia assoluta nella quale la vita di chiunque non vale più di un fucile o di qualche etto di tritolo: chi esce in strada non sa se tornerà a casa.

Chi va a cercare lavoro nelle forze di polizia e di sicurezza ha una probabilità altissima di morire in un attentato suicida, insieme a qualche marine americano (ne sono ormai morti quasi 2000 in Iraq). E il Segretario alla Difesa Rumsfeld nei giorni scorsi ha annunciato che a ottobre prossimo (in vista del referendum sulla Costituzione: ma come fare il referendum se la Costituzione non c'è?) le truppe statunitensi in Iraq aumenteranno.
Dicono che la popolarità di Bush declini più vistosamente del solito. Non c'è proprio ragione di stupirne: fa tristezza vedere le mamme dei marine morti schernite o guardate con disprezzo dalla polizia o dai concittadini, che però non riescono a convincerle che la morte dei loro figli è stata per il bene del mondo.

Si deve ormai ammettere che la storia di questa guerra è una delle pagine più tristi degli ultimi decenni. A differenza della stessa tragedia del Vietnam, quando almeno c'era chi credeva che la salvezza dal comunismo passasse da Saigon, ora non si riesce a trovare un solo straccio di giustificazione per una guerra unilaterale che doveva combattere il terrorismo e lo ha fatto crescere, che doveva instaurare la democrazia e non c'è riuscita, che doveva far decollare l'economia sostenuta dal petrolio, e invece continua ad arricchire soltanto i petrolieri americani... a proposito, vi siete mai chiesti dove vadano a finire i profitti dell'aumento del prezzo del petrolio? Il tesoro contenuto nei pozzi texani (sfruttati al minimo) si è triplicato negli ultimi tre anni, con il prezzo del barile che è passato da 20 a più di 60 dollari!

Si direbbe davvero che le società occidentali, ricche, fortunate, sviluppate abbiano perso un po' la bussola, e che l'anarchia irachena stia diventando il simbolo di una perdita di senso della politica: che cosa stiamo facendo in Iraq, perché ci restiamo? Più nessuno crede alla favola dell'intervento chirurgico di una squadra di politologi che doveva costruire sul terreno un nuovo tipo di democrazia: ammettiamo il fallimento, e proviamo a riformulare il problema in altri termini. Ad esempio, la democrazia non si impone, non si esporta, la si desidera e la si vive. Ma riguarda i cittadini, non i soldati."

 

 
 

 
 
 

Post N° 349

Post n°349 pubblicato il 30 Agosto 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

 Le bugie con le gambe lunghe "

eduardo

Libero e' un'onestuomo e proprio per questo vive nell'indigenza.Vorrebbe sposare Graziella,una ex prostituta,ma non puo' farlo per non rovinare il matrimonio della sorella il cui futuro marito non accetterebbe come cognata una donna dal passato movimentato.In casa di Libero oltre alla sorella abitano pure Olga e Benedetto,una coppia dai continui litigi. Olga resta incinta e poi abbandonata da un soldato americano,il marito scoperto il fatto accetta la perternita' perche' gli conviene.Ma al battesimo del figlio,Libero vedendo in mezzo a quante menzogne e' costretto a vivere,si decide a presentare la sua fidanzata,l'ex prostituta,come una ricca ereditiera di una famiglia aristocratica,costringendo gli altri ad accettare questa sua versione e a congratularsi per il loro prossimo matrimonio

" Le bugie con le gambe lunghe sono quelle nate dagli interessi, dalle connivenze, dai più sporchi compromessi della vita, e con la più disgustosa, soffocante rete dei loro passi invischiano l'esistenza in modo tale da far credere quasi alla loro ineluttabilità. Contro di esse non può trovarsi che una verità, con le gambe purtroppo molto corte ma non tanto da impedirle, come afferma l'autore in questo lavoro di grande nobiltà, verità e coraggio, di percorrere tutta la sua strada e di giungere alla meta: quella dell'onestà " .

 
 
 

Post N° 348

Post n°348 pubblicato il 30 Agosto 2005 da corsaramora
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 Ditegli sempre di sì

Michele e' appena uscito dal manicomio ma nessuno lo sa e comunque il suo comportamento e' del tutto normale,unico suo difetto crede che tutto cio' che gli viene detto sia vero.Dopo alcuni episodi che finiscono comunque bene,la situazione precipita il giorno in cui un vicino di casa da del pazzo a Luigino che gli corteggia la figlia.Michele sente questo e vuole tagliare la testa al povero Luigino per guarirlo dalla pazzia che secondo lui risiede nella testa.Quest'ultimo episodio riporta Michele al manicomio .

Michele compie le sue stravaganze con un'efficacia così contenuta e precisa che in certi momenti viene da chiedersi se ti e' permesso  ridere a tutti gli equivoci, i malintesi, gli scombussolamenti provocati dalla presenza di un pazzo in una casa dove ognuno lo ritiene un uomo normale appena tornato da un lungo viaggio.

Michele pare la cortesia e la saggezza fatte persona. E tutto quello che fa e dice, nasconde, sotto una lucidezza un po' inquieta, una matta ostinazione. Ebbene, bisogna vedere quale comicità placida e insieme fantasiosa, sfumata e potente, distratta e convinta sa raggiungere nell'interpretazione di questo personaggio Eduardo De Filippo, che è poi anche l'autore della commedia

La misura in cui Eduardo De Filippo costruisce la figura del pazzo, le sue espressioni, i suoi tic, le sue amnesie, i pasticci che crea, le prepotenze che esercita, sono d'un'efficacia veramente straordinaria

 
 
 

Post N° 347

Post n°347 pubblicato il 30 Agosto 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

CON  UN  SUPERBO  SLANCIO  PATRIOTTICO  SAPEVA  RITROVARE,  IN  MEZZO AL  LUTTO  E  ALLE  ROVINE,  LA  FORZA  PER  CACCIARE  DAL  SUOLO PARTENOPEO  LE  SOLDATESCHE  GERMANICHE  SFIDANDONE  LA  FEROCE DISUMANA  RAPPRESAGLIA.

IMPEGNATA  UN' IMPARI  LOTTA  COL  SECOLARE  NEMICO  OFFRIVA  ALLA PATRIA  NELLE  QUATTRO  GIORNATE  DI  FINE  SETTEMBRE  1943,  NUMEROSI ELETTI  FIGLI.

COL  SUO  GLORIOSO  ESEMPIO  ADDITAVA  A  TUTTI  GLI  ITALIANI  LA  VIA VERSO  LA  LIBERTA’,  LA  GIUSTIZIA,  LA  SALVEZZA  DELLA  PATRIA».

Le Quattro Giornate di Napoli

il sacrificio

 

 
 
 

Post N° 346

Post n°346 pubblicato il 30 Agosto 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

Suonava bene solo nei desideri della gente. Una sublime storia di falso.

 
 
 

Post N° 345

Post n°345 pubblicato il 29 Agosto 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

 

sempre piu' spesso vengono  ritrovati neonati nei cassonetti, fagottini già immobili o che piangono ancora.

Non abbandonati, ma chiusi in un sacco di plastica da chi li ha appena messi al mondo. Poi, spesso da angoli di provincia, da cittadine tranquille di cui ignoravi il nome, vengono ogni tanto storie di maternità sovvertite: figli buttati in una roggia, soffocati da madri non si sa se folli, eppure fino al giorno prima apparentemente normali. E in quei paesi - le porte chiuse, la gente sbigottita - si tace, o si parla, come sperando, di rapinatori assassini, che nessuno però ha mai visto. 

lo psichiatra Vittorino Andreol dichiara che tale fenomeno  in Italia e’ cresciuto del 41% .

 Un aumento impressionante. Ma perché? Già, per quale motivo una donna uccide il suo bambino.

Ancora dieci anni fa in criminologia dominava, su questo argomento, un principio di derivazione lombrosiana.

Lombroso affermava, in generale, che se un individuo fino a quel momento sano un giorno uccide significa che quell'uomo è mentalmente degenerato. Circa l'infanticidio, il "corollario" lombrosiano era che una donna che uccide il figlio non è più madre, è un "lusus naturae", uno scherzo maligno della natura.

 È vero che la condizione biologica e l'assetto ormonale della donna che ha da poco partorito la dispongono a essere più paziente, più capace di accudire, naturalmente incline a difendere la prole, come accade, è ben noto, anche fra gli animali.

Noi dunque siamo da questa eredità lombrosiana condizionati per cui, quando una madre uccide, si pensa che certamente debba avere "qualcosa di storto" , che la sua mente l'abbia tradita. E questo invece non è sempre vero.

 Ci sono, certo, gli infanticidi da depressione post partum, depressioni a volte non curate da medici che hanno dimenticato che un malato lasciato a se stesso può anche uccidere. Ma assistiamo oggi al crescere inquietante di un altro, diverso tipo di infanticidi: quelli di donne sane di mente, che uccidono davanti alle difficoltà poste dall'accudire il bambino. Dunque, lucidamente, per ottenere dei vantaggi, per eliminare quell'ostacolo che il figlio rappresenta. Ricordo il caso di una giovane donna, qualche anno fa, che soppresse il suo bambino di pochi mesi e con la complicità della madre ne occultò il corpo. Da quando era nato, spiegò poi, litigava con il marito, non si poteva più uscire la sera, né andare in vacanza come prima. Era stato un omicidio a freddo, come altri raccontati dalle cronache, che definirei infanticidi dell'ignoranza e della stupidità: perché queste donne, per cui provo pena, non immaginano quale terribile peso si porteranno dietro per tutta la vita. Accade spesso che si ammalino dopo, in carcere, di depressione, per l'incapacità di sostenere il ricordo di ciò che hanno fatto.

 Esistono oggi condizioni familiari e sociali che favoriscono l'esplosione della tragedia.

Ci sono coppie che  entrano in crisi proprio con l'arrivo di un figlio, e anche fino alla separazione. Lui si lamenta di non essere più al centro dell'attenzione, lei soffre nel sentirsi imbruttita e appesantita. Entrambi non possono più uscire come prima, o prendere il primo volo scontato per una vacanza last minute. È chiaro che un bambino cambia fortemente il legame di coppia, ed è un cambiamento molto bello. Ma se quel bambino non è nato prima anche nei pensieri, non è stato atteso e immaginato, e i suoi genitori sono abituati a vivere solo nel presente - ecco, invece quel loro figlio è il futuro, per la prima volta, ma un futuro faticoso e ingombrante. E quella piccola famiglia sta chiusa in casa, sola, perché i nuovi "moduli abitativi" sono di 60 metri quadri, altrimenti neanche col mutuo li si riesce a pagare. E in 60 metri c'è poco spazio per il figlio, figuriamoci per una nonna che ti dia una mano. Sono case sterili quelle dei nuovi condomini, case non pensate perché un uomo e una donna con i loro figli vi possano vivere. Chiusi dentro lui, lei, il bambino, e nessun altro. E spesso con stipendi da sterilità quasi obbligata. Come si fa a vivere con ottocento euro al mese? E anche se sono un po' di più, come si fa a vivere con poco, dentro una cultura per cui farsi la lampada abbronzante e vestirsi alla moda è un dovere? E nei 60 metri quadri, con pochi soldi, sole davanti alla tv accesa, sognando, si può cominciare a guardare al proprio figlio neonato come a un ostacolo? È possibile. C'è una cultura, un modo di stare insieme, di costruire le case, di pensare la vita, che può spingere a guardare a un bambino come a un oggetto. Si allunga una mano e lo si prende, la si apre e lo si butta via. Non posso dire se la madre di Casatenovo sia sana di mente, ma ammetto che, da quanto leggo, alcuni particolari della premeditazione mi inquietano - quella mano la si può premere sulla testa di un neonato nell'acqua, fino a lasciarci l'impronta. E se ci pensi rimani senza fiato, lei sa com'è piccola e delicata la testa di un bambino di cinque mesi? Proprio per questo viene da pensare a quello che lei chiama "lusus naturae", a un tradimento della natura materna, un buio, un vuoto.

Da cio’ che afferma andreoli sembra che le   donne lucidamente si liberano di un "ostacolo"

è difficile da accettare.

Ciò che sta accadendo è che la biologia, ciò che finora abbiamo chiamato "legge di natura", sembra come sopraffatta da una cultura dominante. Una studiosa come Margaret Mahler ha scritto saggi fondamentali sull'attaccamento simbiotico fra la m adre e il bambino nei primi tre anni di vita.

 Qualcosa di viscerale, per cui la madre avverte il figlio come parte di se stessa; qualcosa di legato al codice genetico in funzione della sopravvivenza della specie, per cui una donna "deve" accudire e proteggere il figlio piccolo, allo stesso modo in cui i merli nel nido sull'albero davanti a casa mia badano ai loro piccoli.

 Ma, ecco, fra i merli questo comportamento è immodificabile. Mentre un aumento del 41% degli infanticidi in 10 anni - in molti casi compiuti lucidamente -  fa pensare a una cultura che con i suoi modelli riesce a stravolgere quella che chiamavamo legge di natura. Se è così, costituisce il segnale di qualcosa di drammatico.

 siamo in un momento storico drammatico. Nell'evidente inarrestabile declino di una civiltà ingolfata nei suoi insostenibili consumi. Obbligati a continuare a comprare automobili e cellulari per non innescare la spirale della disoccupazione a catena,

occorre ritrovare un senso. Perché quando accade che vengano uccisi dei bambini - i bambini sono di tutti, non dei loro genitori - si produce, assurdamente, un dolore che sarebbe evitabile. Un dolore devastante e , insensato; e il segno, insieme, che si è perso senso e voglia di vivere.

Che si comincia a perdere l'essenziale.

Ma letta la notizia dai quoditiani o ascoltata al telegiornale ,commentata con orrore ,se pur commentata , dopo un attimo si dimentica ,pronti a riparlarne non appena accadra' un caso analogo.

 

 

 

 
 
 

Post N° 344

Post n°344 pubblicato il 28 Agosto 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

FOGLIE MORTE

Veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali
soprattutto se sono ippocastani
soprattutto se passano dei bimbi
soprattutto se il cielo è sereno
soprattutto se ho avuto, quel giorno, una buona notizia
soprattutto se il cuore, quel giorno, non mi fa male
soprattutto se credo, quel giorno, che quella che amo mi ami
soprattutto se quel giorno mi sento d'accordo con gli uomini e con me stesso
veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali dei viali d'ippocastano.

NAZIM HIKMET

 
 
 

Post N° 343

Post n°343 pubblicato il 28 Agosto 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

Chi si trova a Parigi in vacanza o ci passa per caso dovrebbe fare un salto al Beaubourg. Al Centre Pompidou è stata da poco inaugurata una grande mostra tematica, Big Bang che associa pittura, scultura, fotografia, cinema, video, architettura, moda, design e letteratura. La visita è divertente ed istruttiva perché il Museo d'arte Moderna, ubicato al quinto piano, mette a confronto le opere e le principali tendenze culturali dall'inizio del Ventesimo secolo ai giorni nostri

si possono ammirare opere di Pablo Picasso, Salvador Dalì, Alberto Giacometti, Diego Rivera, Constantin Brancusi, Vassily Kandinsky, Lucio Fontana, Louise Bourgeois, Niki de Saint Phalle, Andy Warhol, Piet Mondrian, Alberto Burri, Anselm Kiefer

Big Bang, il titolo, allude a quella libertà radicale che nel secolo appena trascorso ha polverizzato i valori tradizionali producendo la distruzione creativa per poi avviare nuove sperimentazioni. Il percorso della mostra è diviso in otto sezioni : distruzione, costruzione/decostruzione, guerra, arcaismo, sesso, malinconia, re-incanto, sovversione. Riflettendo così sullo stretto legame che unisce distruzione e creazione si ha non solo una visione 'panoramica' dei fenomeni culturali ed artistici del Novecento ma anche una più chiara comprensione delle ispirazioni che hanno guidato i grandi artisti contemporanei.

Nella sezione Distruzione si capisce l'importanza di questo tipo di spirito nella ridefinizione dell'arte. La volontà di fare tabula rasa si è esercitata a tutti i livelli della creatività, il corpo diventa il centro di tutti i conflitti, lo specchio dell'instabilità del mondo. Lo si vede bene nell'opera di Willem de Kooning del 1972 'The Clamdigger', una scultura di bronzo che potrebbe far pensare a un uomo preistorico ma anche all'ultimo sopravvissuto di una guerra atomica.

 
 
 

Post N° 342

Post n°342 pubblicato il 28 Agosto 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

Contadini brasiliani rinchiusi per anni in fattorie circondate da fili spinati. Donne ghanesi costrette a lavorare tutta la vita senza stipendio per paura di vendette verso i loro familiari. Ragazzi birmani rapiti dall'esercito e portati a costruire strade per scontare la loro appartenenza a una minoranza etnica sgradita. I lavori forzati non solo esistono ancora, ma negli ultimi cinque-dieci anni sono esplosi in una miriade di situazioni e di condizioni difformi, seguendo l'estrema diversificazione delle realtà sociali nel Terzo Mondo investito dalla globalizzazione.

la coercizione al lavoro non retribuito non coinvolge soltanto detenuti o prigionieri di guerra, ma riguarda «milioni di persone apparentemente libere, senza manette né catene, e in realtà costrette dalle circostanze sociali o culturali in cui vivono a farsi sfruttare per anni o per sempre

alla luce di quanto succede nel mondo, il burka o il chador ci appariranno cosa di poco conto.

liberarsi di uno chador e' molto piu' semplice che liberarsi dalla schiavitu' del terzo millennio.

 
 
 

Post N° 341

Post n°341 pubblicato il 28 Agosto 2005 da corsaramora
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Nel suo appartamento di dieci metri quadrati il signor Li vive con la moglie e ogni notte cuce vestiti per qualche casa di moda parigina. Li tiene sempre da parte alcune bottiglie di vino da offrire ai vicini affinché non lo denuncino alla polizia per il rumore notturno delle macchine da cucire. I due coniugi hanno anche una figlia che non possono mandare a scuola per paura di essere scoperti. Non hanno un permesso di soggiorno e in Francia sono clandestini come altri 50mila loro connazionali: prigionieri invisibili dello sfruttamento o addirittura del lavoro forzato, come denuncia uno studio dell'International labour organization (Ilo). Da dieci anni, parallelamente allo sviluppo esponenziale dell'economia cinese, il flusso dei migranti della Repubblica Popolare verso Parigi e l'Ile de France è aumentato in media di 6mila persone ogni anno. "Il progresso economico non ha giovato a molti cinesi, colpiti invece dalla disoccupazione e dalla povertà", ci spiega Yun Gao, avvocato e autrice dell'inchiesta per l'Ilo. "Sono sempre di più i cinesi che si affidano a un'organizzazione criminale per emigrare in Europa, a costo di sostenere un viaggio lungo e pericoloso".

Nel tragitto verso un futuro migliore spesso attraversano una decina di Paesi e luoghi impervi. Rischiano maltrattamenti ed estorsioni, o addirittura di ammalarsi e perdere la vita. Chi riesce ad arrivare in Francia, "ma anche in Italia - spiega la ricercatrice - dove la situazione è simile e stiamo conducendo un'indagine", cade poi vittima di una vera e propria schiavitù. Nei settori dell'abbigliamento e della ristorazione, migliaia di cinesi lavorano dalle quindici alle diciotto ore al giorno, per una paga che va dai 300 ai 500 euro al mese e della quale il 40 per cento è trattenuto dal datore di lavoro.

Il signor Guo fa il lavapiatti in un ristorante per 12 ore al giorno e guadagna 300 euro al mese, ma ha ancora 9mila euro di debito verso il trafficante che l'ha fatto arrivare a Parigi. Sarà il datore di lavoro a pagare la somma al trafficante, dopo averla trattenuta dallo stipendio di Guo che, come molti altri suoi colleghi, non può denunciare la situazione. I lavoratori clandestini cinesi non si rivolgono quasi mai agli ispettori sia perché non conoscono il francese sia per il timore di essere rimpatriati. Il loro destino sembra segnato tra condizioni di vita disumane e un isolamento che li rende invisibili al resto della società.

 
 
 

Post N° 340

Post n°340 pubblicato il 27 Agosto 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

La diffusione della pasta a Napoli, sostituisce quello che da sempre era considerato il piatto nazionale dei napoletani “la minestra maritata”, a base di foglie di cavolo cotte con i ritagli di carne. E’ da quel momento che i napoletani soprannominati “mangiafoglie” dai siciliani, divengono nel Seicento “mangiamaccheroni”.
La fortuna dei maccheroni a Napoli è legata successivamente ai “lazzaroni”. Sono loro che nel XVIII secolo eleggono gli spaghetti il cibo preferito, o meglio, il più adatto a combattere la fame.
Il termine “lazzaro o “lazzarone”, dallo spagnolo “làzaro”, cencioso, diviene di uso corrente nel Seicento, per indicare uomini e donne disoccupati e senza tetto, che vivono alla giornata. Quando la fortuna permetteva loro di avere pochi soldi, guadagnati più o meno onestamente, erano soliti spenderli per comprarsi un piatto di pasta. Caratteristico è rimasto il modo in cui i “lazzari” consumavano il loro pasto: per la strada con l’uso delle mani. Questa modalità così “vistosa” di mangiare gli spaghetti, a prescindere dalla diffusione della forchetta nella classe borghese e popolare, diviene presto un’attrattiva turistica, ed entra a far parte del folclore napoletano. Per potere assistere all’insolita usanza, i turisti infatti, pagavano piatti di vermicelli ai “mangiamaccheroni”, ovvero piatti per lo più conditi con sale e formaggio e solo più tardi con salsa di pomodoro.
L’uso di mangiare con le mani gli spaghetti, secondo le fonti è da far risalire, senza dubbio, tra il XVI e XVII secolo per poi scomparire tra la fine dell’Ottocento e i primi del XIX secolo, con il solo scopo folcloristico.
 

 
 
 

Post N° 339

Post n°339 pubblicato il 27 Agosto 2005 da corsaramora
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L’educazione femminile nel XIX secolo era molto differente da quella riservata ai maschi delle famiglie aristocratiche. Alle donne dell’alta borghesia, venivano insegnate le cosiddette “arti nobili”, tra le quali il ricamo, la musica, la pittura. Pratiche che si approfondivano nelle “Case di educazione per donzelle” istituite da Napoleone, ma che non raggiunsero immediatamente le nostre terre del Sud, dove le donne furono tutte (o quasi) autodidatte

Francesi di Napoleone quando, agli inizi dell’ 800, conquistarono il Regno di Napoli istituirono, per primi, le “Case di educazione per donzelle”, presso le quali si insegnavano le “arti nobili” riservate alle donne aristocratiche e borghesi: ricamo, musica, pittura, italiano, francese, ect.
Agli uomini, a quei tempi, venivano impartite altre discipline umanistiche e scientifiche. Il ricamo, considerato un “nobile passatempo”, era gia' praticato, cosi' come la musica, prima che il relativo apprendimento fosse istituzionalizzato, da distinte signore che avevano anzitutto molto tempo libero. D’altronde se si tien conto che, nei secoli precedenti, le donne, relegate in casa, non erano destinate a, studiare, si puo' concludere che l’aver ideato per loro scuole specifiche, aveva significato un notevole passo in avanti...

 
 
 

Post N° 337

Post n°337 pubblicato il 26 Agosto 2005 da corsaramora
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Enrichetta nacque a Napoli nel 1821 da don Fabio Caracciolo , maresciallo dell'esercito napoletano, e da Teresa Cutelli, gentildonna palermitana. Era la quinta di sette figlie femmine, e questo segnò il suo destino, in una famiglia che per generazioni  usò monacare tutte le figlie femmine tranne le primogenite. La generazione di Enrichetta, peraltro, fu la prima in cui questa prassi si incrinò (più di una delle sue sorelle si sposò); ma una serie di circostanze fecero sì che a lei fosse destinata una monacazione forzata, in un’epoca in cui un articolo del codice civile consentiva espressamente ai genitori, se non di costringere le proprie figlie a pronunciare i voti, quanto meno di rinchiuderle in istituti religiosi, a qualsiasi età.

Enrichetta trascorse la sua adolescenza come una ragazza sensibile e romantica. Un primo innamorato la abbandonò "per insufficienza di dote"; un secondo venne allontanato per la sua "insensata gelosia" (Caracciolo). Alla morte del padre fu affidata, ancora adolescente, alla tutela della madre, che, avendo deciso di risposarsi, a sua insaputa iniziò le pratiche per introdurre Enrichetta nel monastero di San Gregorio Armeno di Napoli, dove già si trovavano due zie paterne della fanciulla. Quindi Teresa partì per Reggio, dove celebrò il suo secondo matrimonio, dopo aver promesso alla figlia che l’avrebbe condotta nella sua nuova dimora. Ma un parente –un magistrato- avvertì la giovane di quanto si stava tramando alle sue spalle. Enrichetta, allora, rifiutò di lasciare la sua temporanea dimora presso una sorella sposata. Ma il ministro di Polizia Del Carretto, dietro la pressione di Teresa Cutelli (che accusò la figlia di insubordinazione) ordinò che la giovane fosse "tratta a viva forza dai gendarmi sul piroscafo che doveva salpare per Reggio" (Caracciolo). Stretta tra la prospettiva di essere rinchiusa in convento a Reggio o a Napoli, Enrichetta accettò di entrare nel monastero napoletano di San Gregorio. Qui le monache le imposero, come condizione per accoglierla, il noviziato.

"Quando la Badessa prese le forbici per tagliarle la lunga ed inanellata chioma – scrive Francesco Sciarelli – un membro del Parlamento inglese che era tra la folla degl’invitati, gridò: ‘Barbara, non tagliare i capelli a quella ragazza’. I preti imposero silenzio. Uno di loro disse alla Badessa: ‘Tagliate, è un eretico’" . Siamo nel 1840. L’anno successivo Enrichetta pronunciò i voti solenni.

Colta e amante degli studi, nel convento si scontrò con la grettezza e la diffidenza di monache ignoranti, per lo più analfabete. Si innamorò di un giovane medico, senza osare rivelarsi. Poi l’ufficio di sagrestana, che la metteva in contatto con preti e chierici, la espose a maldicenze e scandali.

Nel 1846, incoraggiata dal diffuso clima di speranza nel "papa liberale" , presentò a Pio IX la prima di una serie di istanze volte ad ottenere lo scioglimento dai voti, o almeno una dispensa temporanea per motivi di salute. Ma l’arcivescovo di Napoli, Riario Sforza, le rivolse un’accanita persecuzione personale, negandole il suo nulla osta, perfino contro il parere del pontefice.

Nel 1848, mentre le monache pregavano per lo "sterminio dei malvagi", Enrichetta innalzava "taciti voti all’Onnipossente per la caduta della tirannide e pel trionfo della nazione". Si procurò la fama di "rivoluzionaria, aggregata a segrete società, settaria, eretica" (Caracciolo 1864). Comprava senza nascondersi i giornali dell’opposizione, che leggeva ad alta voce nel convento, profittando della concessa libertà di stampa. E di questa nuova libertà progettò di avvalersi –come scrisse in una lettera indirizzata a Pio IX – per denunciare lo stato monastico imposto a tante giovani donne, "residuo di barbarismo orientale" e per "notificare al mondo intero" sulla stampa, in più lingue, l’iniquità della sua condizione .

Il 15 maggio, allo scatenarsi della repressione borbonica, Enrichetta dette fuoco alle sue memorie, temendo ripercussioni per sé e la sua famiglia. Frattanto, un cappuccino inviato dal papa le portava l’autorizzazione a trasferirsi in un conservatorio - ma non, come lei aveva chiesto, nella casa della madre, ora separata dal marito e riconciliata con la figlia. Parzialmente sconfitto, Riario Sforza le impose di lasciare in convento le argenterie e le pietre preziose ereditate dalle zie monache.

Nel Conservatorio di Costantinopoli, nonostante la presenza di alcune recluse "non nemiche del progresso e della civiltà", il "partito" riunito intorno alla badessa era totalmente ligio alla Curia e ai Borbone. Enrichetta subì una drastica censura riguardo a quelle che erano diventate –come narra lei stessa- le sue fonti di sopravvivenza psichica: la lettura degli scritti storici di Cesare Cantù, l’esecuzione al piano dei brani di Rossini, la possibilità di scrivere lettere o tenere un diario. Le vennero confiscati un saggio di Ozanam su Dante, uno di Tommaseo sull’educazione, gli Inni sacri di Manzoni, un carme alla libertà di Dionisio Salomos. Alla perquisizione, subita nel 1849, sfuggirono, fortunatamente, "un fascio di carte rivoluzionarie in cifra, un pugnale ed una pistola" affidatele da un cognato cospiratore

Enrichetta ripiegò allora sulle letture consentite dalla badessa: nella Vita delle sante martiri trovò testimonianze del contributo delle donne al rinnovamento dell’umanità. Continuò a inviare lettere, che sottraeva alla censura del convento nascondendole nel cesto della biancheria sporca, con la complicità di una domestica.

Alcuni suoi scritti, sequestrati e pervenuti nelle mani di Riario Sforza, vennero da lui inviati a Pio IX affinché non cedesse alle reiterate suppliche di Teresa Cutelli per la libertà alla figlia. Solo nel 1849, grazie ai disturbi nervosi di cui soffriva, Enrichetta ottenne finalmente il permesso di uscire con la madre per curarsi con i bagni. L’anno dopo, Riario Sforza tornò a perseguitarla: le negò una nuova licenza, le sequestrò l’assegno costituito dai frutti della sua dote di monaca, costringendola a vivere della carità dei parenti. Enrichetta allora, con la complicità della madre, lasciò il conservatorio e –saputo che era stato emanato il suo ordine di arresto- si recò a Capua, sotto la protezione del vescovo Serra di Cassano. Ma il suo protettore morì pochi giorni dopo. Un altro amico ecclesiastico, il sacerdote Spaccapietra, riuscì a procurarle il permesso di abitare con la madre – seguendo la regola delle Canonichesse di Sant’Anna, che prescriveva, fra l’altro, il nubilato- e di riottenere i suoi frutti dotali.

Riario Sforza, tuttavia, continuò a perseguitarla, valendosi della sua influenza presso Ferdinando II: nel giugno 1851, mentre Enrichetta si trovava a casa di una sua sorella, il commissario di polizia Morbilli si presentò per arrestarla, accompagnato da un prete. Condotta nel ritiro di Mondragone, Enrichetta rifiutò il cibo e meditò il suicidio. Dopo undici giorni, era quasi in fin di vita. Si colpì al petto con un pugnale, riuscendo solo a ferirsi. Sopravvisse, superando un intero anno di isolamento. Un nunzio pontificio, monsignor Ferretti, tornò ad intercedere per lei, le procurò il permesso di ricevere i parenti; ma non di lasciare il ritiro, neppure per visitare la madre morente. Dopo la scomparsa della madre, Enrichetta progettò una nuova fuga, con la complicità di una zia: pensò di rivolgersi al capitano di una nave inglese ancorata nel porto di Napoli. Poi le preoccupazioni per il suo onore, che sarebbe stato messo a rischio da un lungo viaggio in una nave di soli uomini, la fecero desistere. Tentò ancora la via diplomatica. La zia ottenne dalla Sacra Congregazione dei Vescovi l’invio di un medico che prescrisse ad Enrichetta la cura dei bagni a Castellammare: era uno stratagemma attraverso il quale la Congregazione – fortemente critica verso il comportamento dell’arcivescovo di Napoli – mirava a liberare Enrichetta dal suo persecutore. Enrichetta si recò a Catellammare, dove godette di una relativa libertà. Ormai era entrata a tutti gli effetti nelle reti cospirative: sollecitata dagli amici, tornò clandestinamente a Napoli. Per sfuggire alle spie, cambiò –in sei anni- diciotto abitazioni e trentadue donne di servizio: "(..) Ed ecco la via che seguiva lo spionaggio (..): il fatto dalla fantesca passava al droghiere, all’oste, al farmacista, e bene spesso al medico del vicinato: da questi trasmettevasi, sotto la garanzia della confessione, al parroco, e quindi al vescovo: dal quale passava ipso facto al commissariato, donde giungeva poi al gabinetto del re"(Caracciolo 1864). Elaborò un sistema di controspionaggio, con persone di sua fiducia incaricate di individuare e depistare i poliziotti in borghese messi alle sue costole.

"La mia storia finisce in questo giorno, che per l’Italia è giorno di nuova creazione": il sette settembre 1860 Enrichetta – dopo esser rimasta quasi schiacciata dalla folla, nel tentativo di essere la prima donna di Napoli a stringere la mano a Garibadi, nel Duomo, mentre il Generale assisteva al Te Deum di ringraziamento per la fuga di Francesco II, depose su un altare il suo nero velo di monaca.

Recuperata la libertà, dopo pochi mesi, sposò col rito evangelico il patriota napoletano di origine tedesca Giovanni Greuther.

Nel 1864 pubblicò le sue memorie presso la società editrice Barbera di Firenze. Il libro venne accolto con grande interesse e ripubblicato otto volte negli anni successivi. Fu tradotto in francese, inglese, spagnolo, tedesco, greco, ungherese. Venne apprezzato da Manzoni, Settembrini, dal principe di Galles. Alinari volle ritrarre l’autrice. Garibaldi le scrisse, invece, per ringraziarla di alcuni "bellissimi sonetti"

Nel 1866 pubblicò Un delitto impunito: fatto storico del 1838, che narra l’assassinio di un’educanda da parte di un sacerdote respinto dalla fanciulla.

Un altro dramma, Un episodio dei misteri del Chiostro Napolitano, è tratto dalle sue memorie.

I miracoli

, pubblicato nel 1874, è una raccolta di poesie satiriche contro le superstizioni.

 
 
 

Post N° 335

Post n°335 pubblicato il 26 Agosto 2005 da corsaramora
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x lupopezzato ,se mai dovesse passare da queste parti...

le mie risposte ai tuoi commenti sono state egregiamente cancellate o per meglio dire censurate,e non certo da me

 
 
 

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