Questo si può dire dell'ultimo quarto del ventesimo secolo: il concetto che se si vuole un mondo migliore si deve per forza di cose diventare persone migliori era fiorito in una primavera straordinaria, anche se non si era del tutto compreso come si potesse fare a diventare migliori e quindi una moltitudine significativa navigava incerta nel grande oceano azzurro senza avere una rotta precisa e c'era chi naufragava e chi si isolava in atolli inesplorati e chi si univa a corsari maledetti e c'era chi si trovava nei maelstrom e sprofondava nel profondo degli abissi e chi saliva tra le nuvole eterne che sovrastavano le isole per non discenderne più ma una cosa era certa: i continenti non erano più gli stessi o almeno s'erano fatti confusamente mescolati popolati da varie minoranze che tentavano di liberarsi dall'ansietà e dalla paura di vivere inutilmente. Molti mettevano in primo piano i propri sogni vedendoli migliori d'una realtà frustrante che li sottometteva e li asserviva coprendoli di stratiforma crostosi ed inodori, scoloriti ed insapori così alcuni s'erano vestiti di fiori ed altri di lustrini per potersi riconoscere da lontano anche nel quotidiano. Accanto a me che ero piuttosto uno "square", Egon appariva ancora più bello e fiorito e certo potevamo sembrare una strana coppia. Quando ci trovavamo da soli a quattr'occhi, mi si faceva vicino, mi levava i peluzzi dal blazer, mi prendeva sottobraccio e mi parlava delle canzoni che amava, delle poesie che scriveva, dei sogni che faceva ed i suoi occhi mi sussurravano anche altro ch'io fingevo di non capire lasciando la risposta sul ciglio d'un sorriso. Non sapevo bene chi fosse il gatto e chi il topo tra di noi, in fondo non eravamo che due sperduti in un continente in formazione.Egon ed io forse eravamo anche un po' compiaciuti di rappresentare la strana coppia dei dintorni di quel continente, lui il ragazzo coi capelli cosparsi di lustrini e zoccoletti colorati e tacchi alti ed io l'uomo in doppiopetto e capelli corti senza sorrisi. All'alba,quando il club chiudeva, lo accompagnavo in auto alla sua abitazione fuori mano ed immancabilmente prima di scendere mi stringeva la mano destra, mi ringraziava del passaggio, guardava da qualche altra parte e mi diceva:«...se vuoi salire per un caffè...». Anch'io guardavo da qualche altra parte ma anch'io puntualmente rispondevo: un'altra volta Egon, stamani ho troppo sonno, al che lui mi sfiorava con un bacio la guancia destra, a stasera allora, diceva ed io sorridevo, davo gas e partivo scuotendo la testa per ritrovarla forse persa nella brumosa alba e piantarla tra le spalle.
continenti scivolosi
Questo si può dire dell'ultimo quarto del ventesimo secolo: il concetto che se si vuole un mondo migliore si deve per forza di cose diventare persone migliori era fiorito in una primavera straordinaria, anche se non si era del tutto compreso come si potesse fare a diventare migliori e quindi una moltitudine significativa navigava incerta nel grande oceano azzurro senza avere una rotta precisa e c'era chi naufragava e chi si isolava in atolli inesplorati e chi si univa a corsari maledetti e c'era chi si trovava nei maelstrom e sprofondava nel profondo degli abissi e chi saliva tra le nuvole eterne che sovrastavano le isole per non discenderne più ma una cosa era certa: i continenti non erano più gli stessi o almeno s'erano fatti confusamente mescolati popolati da varie minoranze che tentavano di liberarsi dall'ansietà e dalla paura di vivere inutilmente. Molti mettevano in primo piano i propri sogni vedendoli migliori d'una realtà frustrante che li sottometteva e li asserviva coprendoli di stratiforma crostosi ed inodori, scoloriti ed insapori così alcuni s'erano vestiti di fiori ed altri di lustrini per potersi riconoscere da lontano anche nel quotidiano. Accanto a me che ero piuttosto uno "square", Egon appariva ancora più bello e fiorito e certo potevamo sembrare una strana coppia. Quando ci trovavamo da soli a quattr'occhi, mi si faceva vicino, mi levava i peluzzi dal blazer, mi prendeva sottobraccio e mi parlava delle canzoni che amava, delle poesie che scriveva, dei sogni che faceva ed i suoi occhi mi sussurravano anche altro ch'io fingevo di non capire lasciando la risposta sul ciglio d'un sorriso. Non sapevo bene chi fosse il gatto e chi il topo tra di noi, in fondo non eravamo che due sperduti in un continente in formazione.Egon ed io forse eravamo anche un po' compiaciuti di rappresentare la strana coppia dei dintorni di quel continente, lui il ragazzo coi capelli cosparsi di lustrini e zoccoletti colorati e tacchi alti ed io l'uomo in doppiopetto e capelli corti senza sorrisi. All'alba,quando il club chiudeva, lo accompagnavo in auto alla sua abitazione fuori mano ed immancabilmente prima di scendere mi stringeva la mano destra, mi ringraziava del passaggio, guardava da qualche altra parte e mi diceva:«...se vuoi salire per un caffè...». Anch'io guardavo da qualche altra parte ma anch'io puntualmente rispondevo: un'altra volta Egon, stamani ho troppo sonno, al che lui mi sfiorava con un bacio la guancia destra, a stasera allora, diceva ed io sorridevo, davo gas e partivo scuotendo la testa per ritrovarla forse persa nella brumosa alba e piantarla tra le spalle.