Cuori disadorni

continenti nella corrente


Andavo a farfalla. Si chiama così,quell'andare con il vento in poppa. Una vela a dritta ed una a sinistra. Proprio due ali aperte. Due ali grandi aperte su un piccolo veloce scafo bianco nell'azzurro. Le due grandi ali di una farfalla solcavano l'azzurro....lento amore azzurro, alito, respiro azzurro...caldo lieve, raggio di sole, bacio di sole...occhi chiusi sull'azzurroun vento mi sfiora il corpo con le ditami carezza mi soffia fresco sul viso...fresco azzurro, fresco amore, fresche piccole mani  sussurri perduti...nel ventonei brividi, azzurrinell'onda, azzurra ...mi tuffo nell'azzurro, mi tinge d'azzurroali di farfalla nell'azzurro mare, azzurro il cielo ...lento, amore, azzurro.Mi toccai. Toccai. Senza intenzione. Volevo soltanto verificare eventuali segni d'intorpidimento, fratture, lividume, ferite. Senza aprire gli occhi provai a muovermi ma braccia ed un certo numero di cosce mi legavano sudando. Mossi piano il capo a destra e poi a sinistra. Forse potevo aprire gli occhi, o forse erano già aperti o forse la stanza era al buio. Uno strano colore azzurrino penetrava dalle tapparelle. Un solicello azzurro? mi tastai delicatamente il viso. Gli occhi erano quasi completamente chiusi dal gonfiore.  La mia mano sinistra sepolta tra due cosce si ritrasse sorpresa. Un' umida scintilla genitale mi scaturì bruciando. Cautamente la mano ritornò dov'era. Senza incontrare resistenza. Scivolò tra piegoline di carne calda ed umida. La lasciai lì, tra le cosce di Gabriella. Girai il capo a destra. Egon dormiva bocconi ed aveva il viso coperto dai capelli, mi chiesi se avrei dovuto sentirmi depresso, a quel punto, in fondo era stato violato il mio eremitaggio. Muori forse? mi domandai, e poi non sai nemmeno cosa sia successo, mi risposi. Mi piacerebbe saperlo? mi chiesi, desideri sapere se si può morire per questo, soggiunsi? Oh no. Dì alla vita che vivo. Sono vivo, no?  mi risposi e mi sentii ottimamente dentro, un po' meno fuori, proprio tra le costole. Ricaddi nel sonno.prima voce: Vi amo.seconda voce: Tu vuoi tutto.prima voce: Sì, è vero.terza voce: Non è giusto. E io?seconda voce: Prendi a me ciò che vuoi.prima voce: E come?terza voce: Fallo e basta. Prendilo.Il mese era settembre, l'ora le venti o poco più, il tempo incerto, con il cielo macchiato di viola, rame e rosso sangue quando conobbi i loro corpi e riconobbi il  mio, di più non saprei dire, credo che da allora non ebbi mai più niente da scoprire. Nessuna vergogna, nessun controllo, nulla d'anormale o normale in quel letto a due piazze dal cui balcone si vedeva la piccola baia con l'isola azzurra sullo sfondo, ma i luoghi non contano, avremmo potuto trovarci in un'anonima camera d'un qualsiasi edificio di città circondato da altri palazzotti e balconi che danno sul traffico d'una strada anonima, tuttavia, quello che fu veramente strano è che ci comportammo  come se avessimo saputo che quella sarebbe  stata la prima e l'ultima volta. E non avevamo l'aria pulita, troppo pulita, come se fossimo stati fatti di qualcosa di duro e lucido che si potesse pulire come le piastrelle del bagno. Avevamo il sonno negli occhi e la pelle maneggiata, arrossata, striata di tracce di baci, di carezze ed unghie ed i corpi freddi del sudore di lei, di lui, mio, della saliva sua, mia, che differenza vuoi che potesse fare? fa differenza? ed il fatto era che di ritornare tra la gente, nella corrente dove si muovevano i continenti alla deriva, non ce ne importava proprio più niente, eravamo in un limbo, in una contrazione del tempo, e noi eravamo nuotatori occasionali, di passaggio giusto per vagare tra un continente e l'altro, in attesa di chissà quale altra tiepida serata, di chissà quale altro continente, di chissà con chi.