Cuori disadorni

Qualcosa per coprirsi


Aveva adocchiato il Loden appena entrato nella trattoria.L’attaccapanni era ingombro all’inverosimile.Aveva appeso alla bell’e meglio anche il suo vecchio giaccone blu, sdrucito e liso.Un bel Loden di lana d’alpaca, gli avrebbe fatto davvero comodo.Gli avrebbe tolto di dosso quell’aria miserrima che si portava dietro.In un baleno fotografò la gente ai tavoli ed il personale in giro.Nessuno lo guardava, tutti presi com’erano ad inforcare tagliatelle e ragù, il cui odore gli aveva stretto lo stomaco vuoto come se fosse un pugno.Prese il Loden per il bavero e riaprì la porta della trattoria. In strada se lo appoggiò con fare distratto sulla spalla destra, tenendolo per il colletto, con un pollice, come se fosse una gualdrappa.Al primo angolo svicolò velocemente, attraversò la strada, guardando ad eventuali auto e a qualcuno che poteva essergli sfilato dietro.Non vide nessuno.Velocemente indossò il cappotto verde, sperando che fosse della sua taglia.Perfetto.Se lo sentì subito suo.Esplorò le tasche e le trovò vuote, a parte un vecchio biglietto di cinema.Oltre le tasche sul davanti, aveva delle fessure tagliate sui fianchi, attraverso le quali poteva infilare le mani nelle tasche dei calzoni, senza sbottonarlo.Si tirò su il bavero, mise le mani in tasca per tenerle al caldo ed a passo svelto guadagnò la notte.Gli cadeva a pennello.Ed era anche in tinta col basco verde ed il maledetto ponpon rosso.Passò per via Fatebenefratelli, per vedere che aria tirava.C’era il solito capannello di anarchici in strada.Stazionavano lì davanti da quando uno di loro, prima di Natale, era stato ‘defenestrato’, (come dicevano loro) dall’alto dell’ufficio politico.Entrò nel mucchio, salutando quelli che conosceva, per far cessare gli sguardi sospettosi, e si avvicinò all’ ometto al centro.L’anziano ometto altri non era che il padre dell’anarchico “defenestrato”, e manco lui sapeva perché era lì.Sapeva solo che aveva perso un figlio, un soldo di cacio come lui, che il redattore della Notte aveva identificato come “ alto, superiore alla media.”, quando a malapena arrivava al metro e sessantasette, e che tutte quelle persone intorno a lui, le aveva intorno solo in memoria di quello sciagurato figliolo.L’ometto, affogato nella calca più alta di lui, guardò Manrico con quei suoi occhi piagnucolosi e stupiti, e si portò la cicca alla bocca, stretta come una fessura orizzontale, a malapena visibile tra le rughe del suo volto.Qualcuno aveva rimediato una sedia, sulla quale sedeva compostamente, come se fosse la cosa più naturale del mondo, stare seduto in mezzo ad un branco d’anarchici incazzati.Si fissarono negli occhi senza parlare.Non che ci fosse molto da dire, a quel punto.Era stato detto tutto ed il contrario di tutto, come sempre del resto.Un ragazzo biondo e dagli occhi azzurri, benvestito, bello e dai modi così delicati e gentili da sembrare quasi effeminato, lo avvicinò a sua volta, con fare protettivo.Manrico lo riconobbe.Era un ragazzo di buona famiglia e veniva dalla Toscana.Un anarchico di quelli che ti lasciano stupito ed imbrogliato.Il biondino parlò all’ometto in un orecchio, abbracciandone le spalle, come se ne fosse il figlio.L’ometto evitò di guardare Manrico, mentre gli rispondeva nella stessa maniera.Parlavano di lui.Poco male, perché tanto l’indomani, sarebbe sparito, come neve al sole.Manrico si accertò, tastando nella tasca, di avere ancora il biglietto ferroviario.Sembravano tutti bravi ragazzi e forse in fondo, lo erano davvero, ma non si sa mai, fino a che punto.Ebbe un brivido, di freddo o di timore, non lo sapeva bene, ma se n’andò alla svelta dalla calca, per trovarsi un tetto, una copertura.Una copertura, proprio così, di quelle non ce n’era mai abbastanza.