Signori si nasce.

Da una finestra qualunque.


Nel tardo pomeriggio di ieri mi è capitato di dover andare a ritirare dei documenti in uno studio in pieno centro. C’era da attendere un pò che uscissero dei clienti prima di me. Mi siedo nella sala d’attesa. Sfoglio distrattamente un giornale. Ovviamente e regolarmente datatissimo. Giro qualche pagina senza nemmeno dare attenzione agli articoli e poi lo ripongo al suo posto sul tavolino. Mi alzo e faccio due passi nella stanza vuota. Mi fermo a guardare dalla finestra. Fuori sta iniziando a piovigginare. L’impressione è che a breve arriverà un diluvio. E’ un tardo pomeriggio seminvernale qualunque. Guardo quello che accade fuori da quella finestra. Una finestra qualunque in un giorno qualunque. E vedo il fumo che esce dai tetti delle case e scompare pian piano durante la lenta e difficoltosa  ascesa. Vedo il traffico giù in strada. Sento clacson frenetici. Immagino le voci imprecanti di coloro che li azionano. Vedo gente incappottata che si affretta. Vedo le nuvole create dai loro respiri. O sospiri. Provo quasi il loro stesso freddo. Osservo l’autobus che accosta alla fermata. Decine di persone ne discendono. Altrettante vi salgono. Guardo il bus che riparte e vedo tanti volti diversi che hanno preso posto. Qualcuno preferisce stare in piedi. Forse scenderà poco dopo. Immagino che molti di loro torneranno a casa dopo una giornata di lavoro. Altri tornano a casa da altrove. Alcuni forse non vi torneranno. Mi soffermo ancora un pò su quei volti. L’autobus è fermo per l’ingorgo in strada. Seduta al centro del bus c’è una signora che guarda l’orologio. Deve essere in ritardo. Forse deve preparare la cena. Una ragazza degli ultimi posti legge un libro, ma non riesco a distinguerne la copertina. Ma deve trattarsi di una lettura molto interessante perché ha aperto il libro non appena si è seduta. Due ragazzi seduti di fronte parlano. Forse stanno organizzando la serata. Un signore anziano con il cappello sembra molto stanco. L’autista deve aver fatto scorta di pazienza perché il traffico non ne vuol sapere di ridursi. E lui aspetta lì in coda. Senza clacson. E dopo una giornata di lavoro stressante. Alla fine la pazienza lo premia. La fila riparte. Il bus scompare dalla mia visuale. E io quasi tra me e me lo saluto e con lui i suoi passeggeri. Guardo alcune insegne luminose di negozi. Un paio sono tutte colorate. A caratteri piuttosto grossi. Eccessivi direi. Un’altra è molto più modesta. Scritta monocolore quasi invisibile. Mi soffermo un pò su quest’ultima. Guardo l’edicolante infreddolito che sta tirando giù la serranda del suo chiosco. Nel palazzo di fronte vedo un paio di finestre aperte nei piani bassi. Ad una scorgo una signora anziana che sta cenando da sola. Guardo l’orologio sul muro della stanza in cui mi trovo e penso che mangia molto presto. Ma poi quasi mi rimprovero per aver dato più importanza all’orario che alla sua solitudine. Mi rimprovero e provo un pizzico di tristezza per lei. Poi mi dico che magari è sola soltanto stasera. Magari è soltanto un caso. O magari lo è sempre. Sta mangiando una minestra calda. Deve esser molto buona. Ma da soli ogni pietanza perde di sapore. Con quel velo di tristezza sposto il mio sguardo sull’appartamento accanto a quello dell’anziana. C’è una famiglia serena. Con due bambini seduti su una coperta a terra che giocano. E i genitori che sorridendo preparano la cena insieme. Sorrido per la loro serenità. Ma il pensiero della signora che cena da sola in una fredda sera invernale spazza subito via quel sorriso. Guardo il cielo. Scuro. Cupo. Quasi minaccioso. Gli alberi ormai spogli sembrano reclamare un pò di calore. Una voce dietro di me mi riporta all’interno della stanza. Quasi mi ero dimenticato di esser lì per un motivo preciso. Sbrigo la mia formalità ed esco. Devo tornare a casa. Scendo e mi dirigo in macchina. Fa davvero tanto freddo. Proprio come me l’ero immaginato mentre osservavo il mondo fuori dalla finestra. Metto in moto e avvio il riscaldamento. Accendo l’autoradio e parto in direzione casa. E mentre ascolto una canzone un pò triste penso che sono fortunato a non dover cenare da solo.