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A PROPOSITO DI "ECONOMIA, CRESCITA E FELICITA'"

Post n°12 pubblicato il 21 Agosto 2005 da whatsgoingon2005

Quello che scrive De Biase sul blog dall'omonimo titolo è sicuramente interessante, ed anche originale per il modo in cui esso è concepito, nel senso che, da quello che ho intuito, si tratta di un percorso di analisi dei risvolti economici e sociologici del processo di globalizzazione in atto, che raccoglie spunti da chiunque voglia in qualche esprimere la propria opinione in proposito.

Cio' detto, da quello che ho letto e che sicuramente necessita di approfondimenti, mi pare di capire che, aldilà della condivisibile idea che il processo di globalizzazione vada governato, quantunque ci si accorga che lo si stia soltanto navigando e che gli effetti dal punto di vista economico ed anche sociale sono di carattere epocale, il testo non affronta - o almeno non l'ho visto io - un tema che è stato "il cavallo di battaglia" del neoliberismo e cioè che le forze del libero mercato sarebbero state in grado di operare un processo di redistribuzione della ricchezza, su scala mondiale, come di fatto sta avvenendo.

Quando l'autore afferma che la globalizzazione da fenomeno di contestazione giovanile è diventata fenomeno di preoccupazione per gli imprenditori lombardi, per citare l'esempio, egli indirettamente afferma che, e qui si arriva al nocciolo del problema, ovvero la crescita, che di fatto, la liberalizzazione degli scambi sta operando, appunto, un processo di redistribuzione della ricchezza su scala planetaria. Se prima il temine di paragone era il rapporto tra una regione d'Italia e le altre regioni, adesso il termine di paragone è Italia quale periferia della Cee e le altre aree del mercato comune europeo. La Cee rappresenta cioè una sintesi del processo in atto della globalizzazione dell'economia.

Pertanto, premesso che di epocali trasformazioni stiamo parlando, il problema della crescita e della visione classica dell'economia, a mio avviso, non sono in discussione.

Anzi. Ciclo economico e crescita sono l'origine del processo di liberalizzazione dei mercati perchè il mondo occidentale, dopo un lungo ciclo espansivo partito alla fine della seconda guerra mondiale, si è trovato di fronte ad una crescente saturazione del mercato che, dal lato dell'offerta, ha imposto, l'allargamento del mercato per non penalizzare la crescita, i cui tassi si stavano riducendo progressivamente.

Vi è un fondo di verità nell'affermazione che il benessere delle societa' occidentali è stato in qualche modo sostenuto dalla fame dei paesi del terzo mondo. Questo era un tema della sinistra avanguardista quando di teoria si trattava. Adesso, che abbiamo operato un principio di redistribuzione, ci si scaglia contro la globalizzazione.

Per quanto riguarda poi le mistificazioni operate dai sistemi di informazione di massa, per quello che mi riguarda vorrei dire che "non c'è niente di nuovo sotto il sole": cambiano i sistemi ma gli scopi sono gli stessi (il minculpop e la propaganda nazista insegnano!), con una differenza pero', ovvero, paradossalmente, l'esplosione dei sistemi di comunicazione informatici liberi ha tolto il cerotto dalla bocca di chiunque voglia dire la sua, qui ed ora, su questa rete.

 A ben pensare era peggio il telegiornale che ci recitavano tutte le sere alle ore venti che la santa messa in San Pietro, che almeno si svolgeva solo una volta la settimana.

Che poi vi debba essere o non vi debba essere una correlazione tra benessere economico, crescita e felicità, è un problema che vale sia su scala nazionale che su scala mondiale; non vedo la differenza!

Concludo dicendo che quello che forse veramente interessa analizzare è il fatto che, parallelamente al processo di redistribuzione della ricchezza su base geografica c'è n'è un altro, che ha caratteristiche inverse, e che produce un processo di concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, che è gia' visibile anche nei paesi occidentali ed è misurato da quella che inizialmente si definiva con il termine "mobilità verso il basso" e che ora si comincia a chiamare col suo vero nome, ovvero POVERTA'. Quale ne sia la soglia per adesso sono loro a dircelo, gli indicatori ufficiali (disoccupazione ed inflazione), sulla veridicità dei quali c'è molto da discutere e questa è oggi, la questione politica piu' urgente, in Europa, ovvero prendere consapevolezza del fatto che vi è un'istanza crescente a cui è negato accedere alle soglie della politica ufficiale, quella che trova sede nei parlamenti nazionali, della crescente poverta' di strati sempre piu' vasti della popolazione, che subiscono da un lato il processo di globalizzazione e dall'altro quello della concentrazione della ricchezza.

Quindi la questione è non economica ma solo e squisitamente politica, perchè i processi economici si governano tramite la politica.

Un saluto a De Biase.

 
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Commenti al Post:
ladymiss00
ladymiss00 il 21/08/05 alle 21:12 via WEB
io de biase non l'ho letto, ma sono pienamente d'accordo con ciò ke affermi, gli ammortizzatori sociali non sono stati adeguatamente sostituiti, niun interesse per una distribuzione equa delle risorse, noi stessi e kiunque faccia controcultura lo fa a proprie spese e se può, quindi sui margini del sistema o per le strade, la volontà politika non è una droga ma un'educazione ke ha saltato almeno un paio di generazioni perkè così faceva comodo a tutti: A presto, ti aspetto, milena;)
(Rispondi)
 
whatsgoingon2005
whatsgoingon2005 il 22/08/05 alle 19:56 via WEB
Ottimo! Non avresti potuto trovare espressione migliore per definire il vuoto politico che da un paio di generazioni, come giustamente tu affermi, ci circonda. Un caro saluto, Massimo.
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solo_per_te_sempre
solo_per_te_sempre il 24/08/05 alle 01:26 via WEB
scusami Massimo ma stai affermando esattamente quello che De Biase afferma,cioè la prevalenza dell'intervento politico sull'economia e onestamente non essendo un fautore di Luca mi sento di dirti che lo hai frainteso...
(Rispondi)
solo_per_te_sempre
solo_per_te_sempre il 24/08/05 alle 01:28 via WEB
Quando lui fà delle critiche hai modelli economici in termini di priorità per la crescita non parla assolutamente di globalizzazione per come la intendi tu ma è contrntato nei paradigmi teorici di riferimento che indubbiamente e strariconosciutamente sbagliati,ma ha livello analitico,non sociale.
(Rispondi)
 
solo_per_te_sempre
solo_per_te_sempre il 24/08/05 alle 01:42 via WEB
Siccome il tema mi stà a cuore e a me non è proprio sembrato di cogliere quella sfumatura che tu hai colto,lo rileggerò.. Lui non mette in discussione che la libertà economica sia fondamentale per la crescita ,anzi le sue proccupazioni vanno tutte in quel verso,a pertire dalle strozzature competitive,alle politiche economiche protezioniste,fino alla validità dei modelli di misurazione stessa del cosiddetto benessere,e infatti lui parla di qualità,non di PIL. Comunque lo rileggo e sono contento che si può discutere di queste cose.. a presto
(Rispondi)
 
 
whatsgoingon2005
whatsgoingon2005 il 25/08/05 alle 12:07 via WEB
Sicuramente il tema trattato da De Biase è complesso ed articolato e pertanto mi limito solo marginalmente ad entrare nel merito di quello che egli scrive e ne prendo spunto per esprimere il mio pensiero sull’argomento. Io penso che il processo di globalizzazione, ovvero la liberalizzazione del mercato dei capitali e delle merci, sia stata originata dalla necessità per i paesi sviluppati, di porre rimedio alla stasi della crescita e che l’Europa, per non perdere ulteriormente competitività nei confronti degli Usa, li abbia inizialmente dovuti seguire su quella strada. Le potenti spinte del libero mercato hanno comportato, poi, ’Europa, enormi conseguenze sul piano sociale in quanto ha messo in messo in discussione il modello sociale stesso su cui era costruita, ovvero il welfare state. Infatti, se da un lato l’introduzione della moneta unica e lo smantellamento delle rendite di posizione costituite a oligopoli e monopoli (banche, telecomunicazioni, trasporti, energia) hanno consentito un necessario e rapido recupero di competitività e, alla fine, sono stati essi stessi elementi di redistribuzione della ricchezza, dall’altro, tali interventi, non hanno pero’ compensato la portata degli effetti causata dalla deregolamentazione del mercato del lavoro, che già soffriva della pressione della liberalizzazione del mercato dei capitali e delle merci, cosi’ dimostrandosi, questo, a posteriori, il classico vaso di coccio tra due vasi di ferro. Anzi, la moneta unica ha introdotto un nuovo modello di competitività all’interno dei paesi membri, che di fatto spinge i singoli paesi, Olanda e Francia in particolare, a lottare per la supremazia nei settori ritenuti strategici, quelli che offrono maggior e piu’ duraturo vantaggio competitivo (ricerca, energia, finanza). Il risultato finale è stato il veloce processo di impoverimento di larghi strati della popolazione a cui la politica, per adesso non sa trovare una risposta ed in questo sicuramente non l’aiuta il modello politico su cui è costruita l’Unione Europea, che ha sottratto spazi alla sovranità nazionale dei singoli paesi membri ed è organizzata essa stessa su un sistema istituzionale che non vede il parlamento come organo sovrano (parlamento europeo), di fatto negando ulteriormente un fondamentale elemento di democrazia. Quando De Biase afferma che l’incoerenza attuale consiste nel fatto che il sistema dell’informazione non è adeguato al processo di trasformazione in atto in quanto ancora fortemente caratterizzato da poteri oligopolistici, io rispondo che in una democrazia il sistema dell’informazione esercita il controllo sull’operato del potere politico, ma esso, cioè il potere politico, viene prima. Se potere politico e potere dei media vanno nella stessa direzione si verifica uno scollamento potente fra società civile e sistemi di potere, che rischia di minare le fondamenta stesse del processo politico in atto.
(Rispondi)
 
 
 
solo_per_te_sempre
solo_per_te_sempre il 25/08/05 alle 14:32 via WEB
Convengo con quello che affermi sulle nuove falle rappresentative di interessi che la politica non riesce più a farsi carico,alle problematiche inerenti lo sfaldamento del walfare e le mancate misure di ammortizzatori e le timide forme di incentivo a forme sussidiarietà orizzontale che possano fare da contraltare alle deregolamentazione del mercato. Questo però è un tema prettamente politico e meriterebbe una trattazione a parte anche se trasversalmente è implicito. E' il tema della deleggittimazione della politica e della pertecipazione attiva alla decisioni pubbliche,che come hai specificato attualmente è aggravato anche dalla trasformazione dei meccanismi istituzionali non più nazionali,delle mancate coordinazioni a livello europeo e da altri fattori politico regolmentari. Quando affermi sulle misure attuate per la liberalizzazione del mercato per contrastare la competizione globale è un'altro discorso ancora e qui bisognerebbe scendere un pò più vicino a quella politica intesa come politica economica generale che avrebbe dovuto liberallizzare ma che allo stato dell'arte attuale sono state solo delle mere privatizzazioni monche,che non ha caso uno dei fattori che frena la nostra competitività è proprio nei servizi che hai elencato(se sgui il sole24ore è un tema che stà quasi sempre in pol position). I Media sono un caso un pò a parte e molto specifico di tutto questo e il discorso di Luca De Biase è focalizzato in questo anche se affronta anche questioni molto più ampie sia per quanto rigurda le politiche economiche che la trasformazione di modelli e logiche economiche. Che la politica in questi settori è fondamentale è indiscusso soprattutto per il funzionamento di questi mercati che sono a rete e non tradizionali,formando delle posizioni dominanti anche senza collusione politica,vedi caso microsoft ma attualmente Google rende meglio l'idea. La particolarità del nostro sistema italiano è ulterirmente aggravato dal fatto che se sempre, come affermi sopra la politica è a monte dei media e non ha caso gli indici di libertà economica sono estratti dalle relazioni tra questi due ambiti di potere,le distorsioni sono nel mercato stesso,per la dipendenza tra regolatori e regolati,e l'autonomia di queste sfere è molto più collusa che in altre democrazie. Sicuramente facendogli torto,data la discrezionalità interpetativa che una tematica così complessa comporta,la direzione su cui De Biase si avventura è quella di una politica economica che abbia la responsabilità di andare oltre i propri interessi di breve termine attraverso forme di protezione settoriali ma che incentivi aperture all'innovazione tecnologica di lungo respiro che possano avere una ricaduta generale e non privatistica. Lui cerca di tracciare una via per lo sviluppo che non sia fondata solo sul paradigma neoclassico dell'economia di mercato,perchè la realtà delle mutazioni in atto,con l'avvento del digitale in quella macro area dell' information & comunication technology stà cambiando ruoli e finzioni sia dell'economia che delle modalità di intervento politico. Lui se hai letto i primi capitoli infatti mette in discussione i modelli teorici con cui si è valutato lo sviluppo nella old economy e ne chiarisce sia l'inattualità che la mancata coerenza con l'ambiente economico emergente. Poi cerca di inquadrare le nuove tendenze affinchè ne possano emergere nuovi paradigmi teorici analitici che possano compensare le falle che il modello neoclassico a comportato. E' in quel contesto che mette in evidenza "beni alternativi" come quelli relazionali appunto e cerca anche di profilare delle regole per il governo del nuovo ambiente che caratterizza l'economia della conoscenza,che appunto è fondata sull' information good e experience good. L'entrata nel politico lui la fà in questo contesto,una politica economica però,non politica partecipativae di rappresentanza. Trattando dei media che sono stati propusori e collettori del sociale ampio,anche quello partecipativo ai diritti politici in questo caso,mette in evidenza sia le opportunità che i rischi del cambiamento e onestamente per quanto non si avventuri lontano come spesso accade a studiosi della new economy,devo riconoscergli che espone i molti vantaggi non dimenticando i limiti e criticità,anzi cercandone i vuoti da colmare,e tenendosi lontano da certe ideologie tecnolibertarie che sono di vulgata. E' circa un anno che seguo gli interventi da una molteplicità di punti di vista e prospettive teoriche in merito ai cambiamenti dell' innovazione tecnologica e devo riconoscergli,che si è saputo tenere lontano almeno sia dalle radicalità dei tecnofili che da quelle dei tecnofobi. Questo naturalmente dal mio parziale punto di vista. Veramente interessante il tuo post Continueremo spero Emanule
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alexxxdgl5
alexxxdgl5 il 25/08/05 alle 15:15 via WEB
Una cosa che onestamente non ho capito della tua posizione è se reputi riduttivo affrontare la concentrazione oligopolistica nel setore media come fattore distorsivo della perfetta dinamica democratica,dato che hai ripreso nelle ultime righe il sistema economico o se pensi che la distorsione non sia a quel livello,ovvero solo politico. Non sò come contestuallizare il tuo discorso critico rispetto a De Biase in merito ai media. I media come cassa di risonanza della politica mi sembra di intendere,e questo nel nostro sistema lo è sempre stato,non a caso siamo stati gli ultimi ad aprire le porte all'innovazione del digitale anche se non può essere liquidato così il discorso. Dal monopolio alla liberalizzazione commerciale del settore passando attraverso le forma più disparate di lottizzazione c'è stata sempre la dominante politica. Dove vorrei capire fa buco nell'acqua il sistema dei media che secondo te De Biase non avrebbe colto.
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alexxxdgl5
alexxxdgl5 il 25/08/05 alle 15:18 via WEB
Sono sempre io con l'altro nick...
(Rispondi)
 
 
whatsgoingon2005
whatsgoingon2005 il 25/08/05 alle 20:48 via WEB
Io non minimizzo il problema della concentrazione dei media, anzi, ritengo che sia molto distorsivo per il corretto, teorico, funzionamento della democrazia. Piu' distorsivo ancora è pero', a mio parere, il processo di omologazione del pensare politico, che sta andando di pari passo con quello dei sistemi d'informazione. In altri termini, se nell'Europa sociale la politica rappresentava l'ambito della mediazione degli interessi tra di loro in conflitto, adesso si assiste ad una progressiva perdita di potere dello spazio e dell'agire politico e ad una pericolosa omologazione del pensare politico, e tale fenomeno, anzichè essere denunciato dal sistema dell'informazione, ne è invece assecondato. In altri termini lo scontro tra potere politico, che fonda sulla diversità la sua forza di esistere, e poteri forti, si sta risolvendo in una conformazione del primo ai fondamenti del secondo: il cosidetto "pensiero unico". Quindi, estendendo il ragionamento, diventa intuitivo percepire, in una situazione di persistente deterioramento degli standard di vita a cui la popolazione europea era abituata (leggasi impoverimento), il pericolo di un forte scollamento tra società reale da una parte e potere politico e delle comunicazioni dall'altro, nel caso in cui l'istanza di strati sempre piu' ampi della popolazione, non trovi risposta e spazio ne' nella politica ne' nel sistema dei media. Bisogna pertanto tornare all'origine del processo di formazione dello stato sociale europeo, che è nato sulle macerie della seconda guerra mondiale prima e sul conflitto di classe dopo, per concludere che il potere politico, da solo, secondo quanto la storia dimostra, non è in grado di autoriformarsi, ma è sempre il risultato di un movimento, o di un sovvertimento, che scuote le fondamenta della società civile. Tutto questo non per fare del catastrofismo o del terrorismo ideologico, ma per affermare che, analizzando il processo in atto, siamo di fronte, dopo cinquantanni di sostanziale immutabilità dell'impianto economico-politico dell'Europa occidentale, ad un cambiamento radicale, che è in divenire, che si scontra e si confronta con processi nuovi. Questo mi pare il dato di fatto oggettivo. Di fronte a cio' si assiste, nei diversi paesi europei, ad una risposta politica differenziata, che passa dal tentativo di mantere il privilegio come si assiste in Italia (leggasi false privatizzazioni), ad un'azione strategica di ampio respiro, lungimirante, tesa a conquistare un vantaggio competitivo sugli altri paesi, come avviene invece in Olanda e, principalmente, in Francia. Se il processo di unificazione europea ha rappresentato il tentativo, unitario, di rispondere alla perdita complessiva di competività, una volta che esso è stato raggiunto, ha aperto il campo a nuovi conflitti per il raggiungimento del primato economico, proprio tra gli stessi stati dell'Unione, di fronte ad un problema che è oggettivo, ed è quello della scarsità delle risorse. Manca in Italia un progetto di cosi' ampio respiro che sia in grado almeno di esprimere il tentativo di portare il paese, nel lungo periodo, al raggiungimento di uno stabile livello di competitiità, capace di garantire tassi di crescita adeguati a non fare dell'Itralia la periferia dell'Unione Europea, la terra di confine tra Europa e paesi in via di sviluppo. Tale spazio politico, paradossalmente, è stato occupato proprio da alcuni poteri forti -leggasi Unicredit - cui spetta oggi, a mio avviso, e dispiace dirlo, il primato economico/politico in termini di elaborazione di una strategia di carattere europeista. Un saluto, Massimo.
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solo_per_te_sempre
solo_per_te_sempre il 25/08/05 alle 22:56 via WEB
Adesso ho capito la focalizzazione del tuo discorso,e credo a questo punto che ho pensato che la tua fosse una discussione critica rispetto alcune posizioni del libro on line,mentre in realtà è un'altro modo di specificare il problema. Infatti non riuscivo a capire quali fossero le posizioni di discordanza. Credo che un discorso sulle politiche di sviluppo che possa riportare il nostro paese nella strada della crescita,siano oggi più che mai condivise tra economisti e in effetti il problema non è stipulare sulla carta un Documento di Programmazione Economica Finanziaria che vada ad incidere sulle effettive aree di maggior strategiche,a maggior valore aggiunto,ma prendere in considerazione tutte le debolezze che il nostro sistema ha accumulato che ne ostacolino la fattibilità. Uno dei tanti esempi emblematici sono le riforme che mirano a snellire la pubblica amministrazione.Dall'inizio del 90,sono oramai passati 15 anni e dall'ingente erogazione di risorse per la semplificazione amministr.che attraverso l'e-government avrebbe dovuto diminuire tempi,costi di transazione e spesa pubblica a tutt'oggi i progressi sono molto limitati. Perchè queste risorse investite non hanno alleggerito,semplificato e reso efficiente l'intervento amministrativo nella gestione sia del denaro pubblico che di interessi economici rilevanti? Ovviamente perchè l'indipendenza tra identità politica e gestionale non esiste che non a livello regolamentare, ma non applicativo.Problema di collusione politica amministrativa. Anche se l'esempio sopra non è riferito all'ambito prettamente economico,un'altro esempio di collusione economica politica è proprio quella che riguarda il settore finanziario e dei media. Sono ancora settori "protetti" e intrecciati con la programmazione politica con logiche in cui le carenze tra regolazione,applicazione, vigilanza e controllo tendono al perseveramento di posizioni acquisite più che da stimolo e apertura del sistema. E' difficile non notare se si seguono queste vicende,anche cercando di essere super partes politica(per quello che basta naturalmente)la brutta spirale in cui l'Italia è posizionata,e il senso di incertezza che questo mi mette addosso. Ti confesso che la mia competenza in merito non mi fa avventurare in altro,data la complessità del discorso che fa paura a qualsiasi mente grigia. Ma la considerazione a cui credo fermamente rispetto al "pensiero unico" la voglio fare. Purtroppo questo riguarda i mass-madia di grande impatto e diffusione,la tv cioè,e non ha caso la trasformazione del fare politica e legato alle modalità del mezzo,che predilige l'immagine e la sintesi piuttosto che il ragionamento e l'analisi,il tutto in forma piuttosto passiva da parte del pubblico. E io qui mi chiedo,chi ha approfittato di questa logica(re artù) ha recepito delle trasformazioni in atto che dopo tangentopoli ha caratterizzato le istanze per la formazione per un nuovo tipo di consenso. Il tutto su una debolezza di base:il disinteresse dal politico come programmazione e progetto da motivare e contribuire con il reperimento e la volonta di partecipare alle decisioni pubbliche. Quasi nessuno segue l'informazione politica specializzata e si accontenta dello scontro di identità che la tv ha come propria logica di linguaggio. Se nessuno si interessa per come dovrebbe ai mezzi che permettono una pluralità di punti di vista,e oggi ce ne sono proprio tanti(infatti il problema e saper selezionare)e questo non è che l'indice di una nullità di identità civica,come poter rettificare la logica che tutti vogliono? Quella che predilige se non il pensiero unico il "non pensiero",dato che la tv non ha nessuna valenza informativa(e per logica del mezzo è,anche senza manipolazione)non può cambiare che poco di questa indifferenza all'informazione generalizzata. I giornali in Italia hanno sei milioni di lettori come 50 anni fà,nessuno vuole agire per il sistema pubblico,ma tutti si lamentano perchè Berlusconi fa i cazzi suoi,se gli chiedi che cosa non lo sà però! Questo è uno dei problemi più grossi della società civile,è polemica e deresponsabilizzata. Tutte le logiche con derive plebiscitarie per il consenso fanno perno su lacune dall'altra parte,grosse poi. Come si fà a chiedere ai media quello che la società civile non vuole?perchè non è ancora società civile.. Due metodi nella storia,il primo dall' alto dice quello che i poveri ignoranti dovrebbero fare per il loro meglio,(certo loro non lo sanno),e si elimina tutto il resto,bisognerebbe essere dio per farlo. Il secondo cerca di creare le condizioni affinche emerga la domanda dal basso,orizzontale,io e te che parliamo e altri che parlano,moltiplicato... Emergerà questa domanda dal basso? Speriamo ma credo che sia molto,molto,lenta. Ciao Emanuele
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whatsgoingon2005
whatsgoingon2005 il 26/08/05 alle 14:11 via WEB
Bisognerebbe chiedersi, a mio avviso se il fatto che si leggano poco i giornali e che il fenomeno dell'astensionismo elettorale siano il sintomo di un "non pensiero" o, piuttosto, una forma di rifiuto verso un'informazione omologata e distorta ed una politica eccessivamente distante dai problemi reali della società civile. Se prevalesse la seconda ipotesi allora sarebbe confermata la tesi che esiste un'istanza a cui la politica non sa o non vuole dare risposta. Tradotto in numeri, fatto 100 l'elettorato attivo, il consenso è rappresentato da 51; se l'elettorato attivo si riduce ad 80, il consenso si ottiene con 41: rimane fuori un 19% che non ha valenza ai fini del consenso, ma cio' non significa automaticamente che tale percentuale sia apolitica, disinteressata e priva di coscienza civica. Paradossalmente la domanda politica che viene dal basso si organizza con il non voto in quanto piu' esso sarà crescente, tanto piu' sospingerà la classe politica a darne risposta.
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solo_per_te_sempre
solo_per_te_sempre il 26/08/05 alle 15:15 via WEB
Inopinabile la tesi dell'astensionismo come non rappresentanza,ma a livello numerico credo che di quel 19%,una buona parte è disipegnata nel contribuire alla formazione di un progetto. Questo lo dimostra il fatto che l'astensionismo è un fenomeno molto trasversale e comunque mancante di un progetto condiviso,e in questo infatti non trova secondo me una risposta. Il marketing politico ricerca sempre qusti cluster per politiche di consenso e se non c'è un minimo do omogeneità non può uscirne un progetto politico,quantanche retorico persuasivo per il consenso. E' un discorso di certo interesante che non voglio liquidare così... Non stò affermando comunque che ci sia omologia tra disinteresse politico nei riguardi dell'informarsi e contribuire attivamente e astensionismo. Fatto stà che l'astensionismo non vale niente se non trova una propria via di espressione di interessi,sarebbe troppo facile e a pappa fatta. Comunque le ricerche di scenario di opinione ha cui la politica fa riferimento per vendere voti come prodotti commerciali,non dorme mai e il problema non è la rappresentanza di queste istanze,che hanno peso certamente,ma di trovare obbiettivi credibili di crescita che possano tornare ad incentivare la fiducia nel sistema generale,che è molto più grave. Sfiducia e incertezza sul futoro sono diventati problemi generali,collettivi,in un momento come questo se non si attua una visione di sistema,super-partes siamo in scacco matto. Poi appena lo scossone funziona la rappresenranza va nello specifico degli interessi frammantati di segmenti e anche nicchie. La maggior parte degli istituti e organizzazioni indipendenti nazionali e internazionali pongono il problema in questi termini,me ne faccio portavoce per la loro riconosciuta credibilità e indipendenza,l' OCSE in primis. Se ti interessa comunque De Biase a messo on line il sesto capitolo e parla specificatamente di questo,entrando nel merito della politica nel suo senzo primario della parola. Un saluto Emanuele
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whatsgoingon2005
whatsgoingon2005 il 27/08/05 alle 10:14 via WEB
Concordo con quello che affermi. Infatti quando parlavo dell'astensionismo avrei dovuto dire che la via per riformare il sistema puo' partire "anche" dall'astensionismo; ma non solo da quello, essendo tale fenomeno, come tu dici, abbastanza ambiguo, trasversale, e di per se' mancante di un progetto. Nel momento in cui si concorda pero' sul fatto che organismi super partes denunciano la necessità di ristabilire un punto di contatto tra politica e società reale, in un momento di grande sfiducia nel sistema e nel futuro, in qualche modo si conferma da un lato la veridicità dell'affermazione che è già in atto quel pericoloso processo di scollamento tra sistema politico e società e che la politica come marketing puro non funziona più. In altri termini il marketing politico può essere inteso come una rivisitazione dell'antico motto satirico "panem et circenses"; esso funziona finchè insieme alla tranquillizzante informazione ed alla prospettata fiducia nel futuro, vi è anche il "panem"; se manca quello diventa molto, molto, più difficile vendere illusioni. Infine, il fatto che organismi super partes si facciano in qualche modo "carico" del problema, è altresì indicativo, a mio avviso, che il sistema politico, da solo, non è in grado di riformarsi. Non manchero' di leggere il nuovo capitolo di De Biase; Un saluto, Massimo.
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solo_per_te_sempre
solo_per_te_sempre il 27/08/05 alle 13:14 via WEB
Lapalissiano quello che affermi,la situazione si può essere resa con mille declinazioni,ma il nocciolo duro è proprio quello. Un saluto Emanuele
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minsterr999
minsterr999 il 25/03/09 alle 05:00 via WEB
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