Quello che scrive De Biase sul blog dall'omonimo titolo è sicuramente interessante, ed anche originale per il modo in cui esso è concepito, nel senso che, da quello che ho intuito, si tratta di un percorso di analisi dei risvolti economici e sociologici del processo di globalizzazione in atto, che raccoglie spunti da chiunque voglia in qualche esprimere la propria opinione in proposito.
Cio' detto, da quello che ho letto e che sicuramente necessita di approfondimenti, mi pare di capire che, aldilà della condivisibile idea che il processo di globalizzazione vada governato, quantunque ci si accorga che lo si stia soltanto navigando e che gli effetti dal punto di vista economico ed anche sociale sono di carattere epocale, il testo non affronta - o almeno non l'ho visto io - un tema che è stato "il cavallo di battaglia" del neoliberismo e cioè che le forze del libero mercato sarebbero state in grado di operare un processo di redistribuzione della ricchezza, su scala mondiale, come di fatto sta avvenendo.
Quando l'autore afferma che la globalizzazione da fenomeno di contestazione giovanile è diventata fenomeno di preoccupazione per gli imprenditori lombardi, per citare l'esempio, egli indirettamente afferma che, e qui si arriva al nocciolo del problema, ovvero la crescita, che di fatto, la liberalizzazione degli scambi sta operando, appunto, un processo di redistribuzione della ricchezza su scala planetaria. Se prima il temine di paragone era il rapporto tra una regione d'Italia e le altre regioni, adesso il termine di paragone è Italia quale periferia della Cee e le altre aree del mercato comune europeo. La Cee rappresenta cioè una sintesi del processo in atto della globalizzazione dell'economia.
Pertanto, premesso che di epocali trasformazioni stiamo parlando, il problema della crescita e della visione classica dell'economia, a mio avviso, non sono in discussione.
Anzi. Ciclo economico e crescita sono l'origine del processo di liberalizzazione dei mercati perchè il mondo occidentale, dopo un lungo ciclo espansivo partito alla fine della seconda guerra mondiale, si è trovato di fronte ad una crescente saturazione del mercato che, dal lato dell'offerta, ha imposto, l'allargamento del mercato per non penalizzare la crescita, i cui tassi si stavano riducendo progressivamente.
Vi è un fondo di verità nell'affermazione che il benessere delle societa' occidentali è stato in qualche modo sostenuto dalla fame dei paesi del terzo mondo. Questo era un tema della sinistra avanguardista quando di teoria si trattava. Adesso, che abbiamo operato un principio di redistribuzione, ci si scaglia contro la globalizzazione.
Per quanto riguarda poi le mistificazioni operate dai sistemi di informazione di massa, per quello che mi riguarda vorrei dire che "non c'è niente di nuovo sotto il sole": cambiano i sistemi ma gli scopi sono gli stessi (il minculpop e la propaganda nazista insegnano!), con una differenza pero', ovvero, paradossalmente, l'esplosione dei sistemi di comunicazione informatici liberi ha tolto il cerotto dalla bocca di chiunque voglia dire la sua, qui ed ora, su questa rete.
A ben pensare era peggio il telegiornale che ci recitavano tutte le sere alle ore venti che la santa messa in San Pietro, che almeno si svolgeva solo una volta la settimana.
Che poi vi debba essere o non vi debba essere una correlazione tra benessere economico, crescita e felicità, è un problema che vale sia su scala nazionale che su scala mondiale; non vedo la differenza!
Concludo dicendo che quello che forse veramente interessa analizzare è il fatto che, parallelamente al processo di redistribuzione della ricchezza su base geografica c'è n'è un altro, che ha caratteristiche inverse, e che produce un processo di concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, che è gia' visibile anche nei paesi occidentali ed è misurato da quella che inizialmente si definiva con il termine "mobilità verso il basso" e che ora si comincia a chiamare col suo vero nome, ovvero POVERTA'. Quale ne sia la soglia per adesso sono loro a dircelo, gli indicatori ufficiali (disoccupazione ed inflazione), sulla veridicità dei quali c'è molto da discutere e questa è oggi, la questione politica piu' urgente, in Europa, ovvero prendere consapevolezza del fatto che vi è un'istanza crescente a cui è negato accedere alle soglie della politica ufficiale, quella che trova sede nei parlamenti nazionali, della crescente poverta' di strati sempre piu' vasti della popolazione, che subiscono da un lato il processo di globalizzazione e dall'altro quello della concentrazione della ricchezza.
Quindi la questione è non economica ma solo e squisitamente politica, perchè i processi economici si governano tramite la politica.
Un saluto a De Biase.
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whatsgoingon2005 il 25/08/05 alle 20:48 via WEB
Io non minimizzo il problema della concentrazione dei media, anzi, ritengo che sia molto distorsivo per il corretto, teorico, funzionamento della democrazia. Piu' distorsivo ancora è pero', a mio parere, il processo di omologazione del pensare politico, che sta andando di pari passo con quello dei sistemi d'informazione.
In altri termini, se nell'Europa sociale la politica rappresentava l'ambito della mediazione degli interessi tra di loro in conflitto, adesso si assiste ad una progressiva perdita di potere dello spazio e dell'agire politico e ad una pericolosa omologazione del pensare politico, e tale fenomeno, anzichè essere denunciato dal sistema dell'informazione, ne è invece assecondato.
In altri termini lo scontro tra potere politico, che fonda sulla diversità la sua forza di esistere, e poteri forti, si sta risolvendo in una conformazione del primo ai fondamenti del secondo: il cosidetto "pensiero unico".
Quindi, estendendo il ragionamento, diventa intuitivo percepire, in una situazione di persistente deterioramento degli standard di vita a cui la popolazione europea era abituata (leggasi impoverimento), il pericolo di un forte scollamento tra società reale da una parte e potere politico e delle comunicazioni dall'altro, nel caso in cui l'istanza di strati sempre piu' ampi della popolazione, non trovi risposta e spazio ne' nella politica ne' nel sistema dei media.
Bisogna pertanto tornare all'origine del processo di formazione dello stato sociale europeo, che è nato sulle macerie della seconda guerra mondiale prima e sul conflitto di classe dopo, per concludere che il potere politico, da solo, secondo quanto la storia dimostra, non è in grado di autoriformarsi, ma è sempre il risultato di un movimento, o di un sovvertimento, che scuote le fondamenta della società civile.
Tutto questo non per fare del catastrofismo o del terrorismo ideologico, ma per affermare che, analizzando il processo in atto, siamo di fronte, dopo cinquantanni di sostanziale immutabilità dell'impianto economico-politico dell'Europa occidentale, ad un cambiamento radicale, che è in divenire, che si scontra e si confronta con processi nuovi. Questo mi pare il dato di fatto oggettivo.
Di fronte a cio' si assiste, nei diversi paesi europei, ad una risposta politica differenziata, che passa dal tentativo di mantere il privilegio come si assiste in Italia (leggasi false privatizzazioni), ad un'azione strategica di ampio respiro, lungimirante, tesa a conquistare un vantaggio competitivo sugli altri paesi, come avviene invece in Olanda e, principalmente, in Francia.
Se il processo di unificazione europea ha rappresentato il tentativo, unitario, di rispondere alla perdita complessiva di competività, una volta che esso è stato raggiunto, ha aperto il campo a nuovi conflitti per il raggiungimento del primato economico, proprio tra gli stessi stati dell'Unione, di fronte ad un problema che è oggettivo, ed è quello della scarsità delle risorse.
Manca in Italia un progetto di cosi' ampio respiro che sia in grado almeno di esprimere il tentativo di portare il paese, nel lungo periodo, al raggiungimento di uno stabile livello di competitiità, capace di garantire tassi di crescita adeguati a non fare dell'Itralia la periferia dell'Unione Europea, la terra di confine tra Europa e paesi in via di sviluppo.
Tale spazio politico, paradossalmente, è stato occupato proprio da alcuni poteri forti -leggasi Unicredit - cui spetta oggi, a mio avviso, e dispiace dirlo, il primato economico/politico in termini di elaborazione di una strategia di carattere europeista.
Un saluto, Massimo.
(Rispondi)
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