“Tutto quello che è un uomo”,nove maschi europei

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Nove ritratti di maschi europei.

Disegnare un ritratto sfaccettato del maschio europeo attraverso nove storie. Si presenta come un’ operazione letteraria ambiziosa l’ultimo libro di David Szalay, scrittore di origine canadese e ungherese. La sua raccolta “Tutto quello che è un uomo” (Adelphi, 402 pp., 22 euro) riunisce nove racconti situati in diverse parti del nostro continente, costituendo una sorta di viaggio in Europa da nord a sud. Le nove storie hanno come protagonisti uomini di età diverse, dalla post-adolescenza alla vecchiaia, disposte secondo questo ordine “cronologico”. Ogni personaggio è un individuo errante, si sposta attraverso il Vecchio Continente in un irrequieto movimento che lo porta lontano dalla sua terra d’origine. Che si tratti di una fuga dalle proprie origini, come in due delle vicende, o di una vacanza, come nelle storie imperniate sui protagonisti più giovani, o di viaggi di lavoro, i personaggi narrati da Szalay vivono la propria condizione errante con un’intensa sensazione di spaesamento e di irresolutezza. Lo spostarsi e il cambiamento altro non fanno se non accentuare il loro disagio esistenziale che si esprime in domande senza risposta o in un fastidioso e insopprimibile senso di inadeguatezza: alle aspettative proprie e altrui, all’ambiente famigliare o lavorativo e alle donne. Le donne svolgono a volte il ruolo di “migliori attrici non protagoniste”. Nel racconto probabilmente più emblematico della raccolta il protagonista è un cinico docente universitario belga molto narciso per il quale i rapporti con le donne sono avventure funzionali a confermare il suo fascino e a compensare con questo il sottile senso di inutilità che prova per i suoi interessi (insegna linguistica medievale), e di conseguenza per la sua stessa vita. Blandamente legato a una giornalista polacca, ha con lei uno strano rapporto fatto di brevi incontri in vari luoghi d’Europa, spesso non – luoghi come anonimi hotel nelle periferie o motel lungo le autostrade. Questi non – luoghi che si moltiplicano nella nostra esperienza quotidiana e rappresentano un chiaro simbolo dell’alienazione esistenziale, sono invece affascinanti per lui che li ricerca con inquietante piacere. In questo vuoto esistenziale si inserisce un viaggio tra Inghilterra e Polonia alla guida di un enorme suv che il protagonista deve consegnare al padre della donna. In un parcheggio di autogrill lo ammacca e riceve da colei che non sa definire (fidanzata?compagna?amante?) una notizia inattesa. Entrambi i fatti incrinano il senso compiaciuto di controllo su cose e persone su cui impernia la sua vita e di fatto gli rivelano la sua natura di individuo che annaspa nella realtà perché impaurito dalla possibilità di mettersi in discussione e quindi di cambiare. Szalay nei suoi ritratti di inetti mostra un’evidente empatia soprattutto verso i più giovani, che sanno vivere i sentimenti con un senso di naturalezza e immediatezza che gli adulti e gli anziani hanno smarrito. Il racconto in cui lo sguardo dello scrittore è più intenerito narra la bizzarra avventura di un giovane francese, Bernard, poco intelligente e ben poco motivato nel lavoro. Uno “sfigato” che si ritrova solo durante una calda vacanza a Cipro perché abbandonato da un presunto amico in un grande hotel fatiscente. La sua inerzia diventerebbe totale immobilità senza l’incontro con due donne obese, madre e figlia, dalle quali si sente attratto irresistibilmente fino a essere sedotto da una delle due. Il sesso e la carnalità debordante travolgono Bernard che per la prima volta nella sua esistenza può parlare di “vita” sapendo il significato della parola. Un percorso sghembo in cui l’inetto, anziché essere ingannato da una furba femme fatale, trova grazie a una donna tutt’altro che seduttiva, la strada per giungere (forse) a un’inattesa maturità.
Anche in questo caso, la figura femminile ha il ruolo di provocare un possibile mutamento che il protagonista maschile può accettare oppure rifiutare, nel primo caso confermando per paura la sua inadeguatezza e nel secondo percorrendo la via di una possibile emancipazione dai suoi limiti.
I due racconti sono significativi della maestria con la quale lo scrittore costruisce vicende vissute dentro l’incerta prospettiva sul mondo di personaggi di cui narra il disorientamento esistenziale con una notevole capacità di renderne i meandri emotivi. Persino il personaggio che più di altri sembra un vincente, un giornalista danese rampante che scopre la relazione extraconiugale di un politico suo amico altrettanto ambizioso e non esita a rovinarlo perché si sente portato “a la guèrre”, sembra più un uomo impegnato a difendersi dalla realtà che non un individuo capace di cavalcarla. Illusioni, sogni, frustrazioni, di questi maschi europei del Terzo millennio diventano grazie al talento di Szalay materiale per costruire protagonisti esemplari di un’epoca incerta in cui si naviga a vista in cerca di un senso della realtà. Ciò che non manca allo scrittore è comunque una sorridente “pietas” verso i suoi inetti.

“Tutto quello che è un uomo”,nove maschi europeiultima modifica: 2018-08-07T18:09:16+02:00da angelo.sassoli1800
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