La ragazza con la valigia

Mi accorsi di lei in un momento non meglio precisato.
Non per una particolare bellezza o un comportamento inusuale.
Ma per la sua purezza assoluta.
La definirei una ragazza ,anche se forse era ormai una donna all’ anagrafe.
Il viso morbido e pennellate di sangue sulle dita.
Se ne stava seduta su una panchina, davanti alla grande vetrata che divideva l’area d’aspetto dai treni.
Era così tenera nel suo trench nero e i suoi grandi occhiali scuri, ne sottolineavano un nasino infantile e labbra insolenti e ingenue.
La guardavo mentre scriveva sulla sua agenda, immersa in un chiassosa musica che le usciva dalle orecchie.
Si guardava intorno come qualcuno che non aveva mai visto prima l’imponenza di quella  stazione
 
Fantasticai…
 
Chissà su quel diario cosa scrivesse.
Una lettera d’amore?
O forse riflessioni di una giornata diversa.
Così nella mia mente quella ragazza con la valigia aveva appena salutato un uomo.
Un uomo che non poteva avere.
O forse non voleva avere ,non sapendolo ancora.
 
Aveva un espressione assolutamente pacifica e triste.
La stessa tristezza di due amanti nel darsi l’ultimo bacio.
 
La immaginavo con le manine minute accarezzare il petto e il viso di un uomo tanto più grande di lei.
La immaginavo a fare discorsi interessanti con una saccenza diretta di chi nella vita ha le idee chiare, quando si tratta della vita di qualcun altro però.
La immaginavo con gli occhi lucidi mentre ripensava allo sguardo di lui che la guardava come un essere speciale e questo la rendeva felice, compresa.
Ripensava all’odore di maschio che lui le aveva lasciato addosso.
La sua tristezza era come quella di chi cerca di scacciare la malinconia nell’ultimo giorno di vacanza sapendo che all’indomani la scuola avrebbe ripreso
Lei che baciava quell’uomo con la stessa naturalezza  di una figlia che bacia il proprio padre ma con l’ ardente passione di due giovani innamorati da troppo lontani.
Quella ragazza non era innamorata ,ma aveva dato tutta se stessa a quell’uomo e questo la destabilizzava.
Una tristezza profonda che le faceva sentire ogni singolo capillare nel suo corpo.
O forse aveva solo bisogno di essere triste per riuscire a capire quanto speciale fosse.
Perché ragazze come lei non ce ne erano molte.
Lei era l’emozione, la semplicità, la purezza, la fragilità.
Si svestiva di tutto quando era con lui.
Ma una volta sola, quella nudità non riuscì a gestirla.
Ed era lento il rivestirsi, troppo perché lei non sentisse il freddo pungente della solitudine.
 
Guardai quella ragazza riflessa sulla vetrata per molto, finchè non mi accorsi che l’unica sagoma ancora impressa su quella fredda parete, era la mia.