acca.di.menti


Inizierei da quella sala per complimentarmi con l'autore perché in quell'architettura ci vedo proprio l'ampiezza e le rotondità del palato; il lungo tavolo è la lingua e le sedie intorno sono i denti. In quella sala c'è proprio la sintesi e la bellezza di quell'Accademia che, solo a guardarla, mette a disagio, facendoli arrossire, sia i miei congiuntivi che le mie selvagge virgole. Bella, così da vuota. Quand'è occupata, meno bella ma più coerente, con gli hdemici che come i semini di pomodoro, le briciole di cibo o di prezzemolo, il nervetto del prosciutto e i fogli sparsi disordinatamente sulla lingua-tavolo rappresentano perfettamente quel palato, denti e lingua in piena attività. Dopo, ci penserà l'impresa di pulizie. Un po' di dentifricio, una spazzolata e tutto torna bello e fresco come prima. Soprattutto la lingua quando, in un bacio, non ammette interferenze di sapori che non siano soltanto quelli di noi due. Oggi leggevo che quell'apparato bocca, si lamenta per quello "smartabile", il neologismo che si sta diffondendo per identificare lo "smart working" che, a sua volta, non piace agli hdemici che invece hanno coniato il termine di "lavoro agile". Per quanto mi riguarda, me ne frega un cazzo se chiamarlo in un modo piuttosto che in un altro, perché, considerati i tempi, mi scervellerei più sull'inventarmi nuovi lavori che cercare nuovi termini per quel lavoro che tende sempre di più all'estinzione. E' anche vero, però, che fra le forme di lavoro ancora esistenti e pure ben pagate, c'è anche quella di non avere altro da fare se non inventare oppure omologare nuovi termini e, tante volte, come in questo caso, a nessuno viene in mente che possiamo pure divertirci col folklorismo delle parole, ma lo "smart working" o "lavoro agile" si è sempre chiamato "lavoro da remoto". Forse sono i miei occhi, ma qui mi sembra di vedere le sedie intorno a quella lingua, aprirsi ordinatamente in un sorriso fra il divertito e l'annoiato.