Iconografia del bacio

Il bacio di Doisneau e le altre opere | Robert Doisneau

Robert Doisneau, Bacio all’Hotel de Ville, Parigi, 1950

Pur venendo meno la leggenda che attribuiva a questo scatto la potenza della casualità, la magia resta inalterata perché il bacio dei due studenti di teatro che posano per Doisneau sembra sospendere il tempo. Ma non è quello che dicono tutti gli innamorati? Gli stessi che, prima o poi, si ritrovano a fare i conti proprio col tempo che non di rado li costringe a riconoscersi inetti all’amore. E quindi a ricominciare. In una spirale di deliranti epifanie.

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Iconografia del bacioultima modifica: 2022-07-01T09:09:40+02:00da hyponoia

10 pensieri riguardo “Iconografia del bacio”

  1. Un bacio può essere l’inizio, un durante o la fine ed io sapevo che dopo quel bacio non l’avrei rivisto più. O meglio, non lo sapevo, ma lo temevo. Anche se dentro di me speravo di sbagliarmi. Dopo che il tempo aveva fatto il suo lavoro, come lo fa con tutto – dolori, gioie, ricordi e sentimenti compresi – un po’ ingiallendola, un po’ consumandola nei bordi, riguardando quella foto che aveva fatto il giro del mondo, capii quanta fretta ci fosse in quel bacio.
    Non il meraviglioso “ho fretta di te” che solo Claude mi diceva nei momenti e nei luoghi più impensabili e solo per una di quelle mie espressioni o risate che adorava. Quel Claude che non è stato il mio amore più grande, ma quello che mi ha fatta sentire amata come, poi, nessun altro.
    Quel “ho fretta di te”, quando l’amore è totale ed ha urgenza dei tuoi occhi, delle tue labbra, della tua lingua, delle tue mani, dei tuoi capelli, del tuo corpo, dei tuoi capezzoli, del tuo respiro, del tuo sesso.
    Di te. Ed ogni volta, un lago.
    Quel “ho fretta di te” che, dopo Claude, nessuno mi ha mai più detto. Acqua passata.
    Riguardandola, in quel bacio invece c’era tutt’altra fretta, e per la prima volta, allargando lo sguardo su quelli che possono sembrare dettagli, ebbi la conferma che il mio timore era solo il disperato tentativo di aggrapparmi alla speranza perché il futuro era tutto scritto nelle mani. La mia mano destra già si era arresa nel braccio abbandonato sul fianco mentre la sua mano sinistra ed il suo braccio, piuttosto che venirmi incontro, avevano fretta d’andare altrove.

    ***
    La foto di Doisneau è un po’ la sintesi di quello che ritengo sia un’arte figurativa ovvero una storia o un romanzo condensato in una sola immagine. In tema di baci, vale lo stesso per quello di Hayez o quello di Klimt, ma vale anche per quelle immagini che non sono baci. Frame di storie. Come le donne di Modigliani, quelle di Vettriano o i muri di Banksy. Come un profumo. Basta svitarne il tappo e ti racconterà le millemila storie da quando è nato fino a quando è stato imbottigliato. Le altre millemila di chi lo indosserà non le conosce ancora.
    Non c’è arte figurativa in cui l’immagine non sia il frame di un intero romanzo.

    Frame come questi, invece, non hanno nulla a che vedere con l’arte figurativa, ma sono solo un deturpare l’ambiente con collinette d’ipocrisia:

    https://citynews-today.stgy.ovh/~media/horizontal-hi/1144121598727/g7-germania-oro-russia-sanzioni-tetto-energia-2.jpg

  2. Gli ingredienti per farne un racconto suadente, quasi una saudade, c’erano tutti: il romanticismo, la malinconia, la nostalgia e persino un accenno discreto e doveroso alle imprescindibili parentesi sessuali. Poi quell’epilogo (frame +link). Perché?

    1. In effetti, anche se io ho mischiato le carte mettendo nell’ordine racconto, frame e link, l’ordine esatto è

      – frame: tutte le immagini, fotografiche o pittoriche che siano, catturano e raccontano un istante o attimo ovvero una parte del tutto;
      – racconto: quello che partendo da quell’immagine, esplodendola immaginariamente s’inventa una delle millemila storie che potrebbero esserci dietro. Il racconto non è necessario, rimane solo un esercizio di fantasia;
      -link: mi è venuta voglia di metterlo perché non tutti i frame hanno a che fare con l’arte. Alcuni, come quello, sono invece disgustosi come il bisogno di quella foto di gruppo che la dice lunga sull’imbecillità di coloro dai quali dipendono le nostre vite, la nostra dignità, la nostra povertà, il nostro futuro e la quantità del nostro malessere.
      🙂

  3. Grazie per il chiarimento, ma io terrò solo il racconto (mi è piaciuta particolarmente l’attenzione e la conseguente interpretazione riservata a braccia e mani). Ti dispiace? 🙂

    1. Certo che non mi dispiace. A dirla tutta, rileggendomi, mi dispiace il modo da sapientino che ho usato. Che ti sia piaciuto o meno il racconto, concordi sulla mia lettura di braccia e mani? Non trovi anche tu un po’ arrendevole e indecisa la mano di lei? Da qui, Watson, è evidente che non c’era lingua in quel bacio :))

  4. A mio parere in quell’arrendevolezza potrebbe pure esserci il preludio a un sì pieno, tondo…ma romanticismo a parte, se lei avesse usato il braccio per accogliere lui in un abbraccio, a livello di resa fotografica forse non sarebbe stata la stessa cosa. Comunque non vivisezioniamo troppo, o perderemo completamente la magia 🙂

    1. Erano passati anni, quando mi ricapitò di guardare quella foto che, intanto, era diventata un capolavoro fotografico. Nel guardarla mi tornò in mente che già subito dopo l’ultimo di quei ben 19 ciak, sapevo che dopo quel bacio non l’avrei più rivista. Certo, se per Doisneau, quello era un lavoro, lo era anche per lei e per me, e lui ci aveva chiesto solo di far finta di crederci in quel bacio e io, non ricordo di preciso se dopo il quinto o il sesto, cominciai a crederci davvero. Era anche vero che non mi capitasse spesso di baciare la stessa donna cinque o sei volte nel giro di meno di un’ora. Insomma, quando poi arrivi all’ottavo o nono bacio, non dico che te ne innamori, ma almeno un poco poco ti lasci pure andare. Lei invece, niente. Più si andava avanti con i ciak e più capivo che per lei era solo un lavoro. Nessuna partecipazione emotiva. Come una donna che suonava il piano mostrando la padronanza fra dita e tasti, ma solo tecnica. Quei baci erano note senza emozione.
      Oltre a crederci, Doisneau ci aveva anche detto: “Se volete metterci la lingua siete liberi di farlo”, ma io neanche ci provai.
      Come ho detto, dopo quella volta, non la rividi più, tranne una volta. Un’ultima volta. Quasi un mese dopo. Ero seduto in metro e lei era in piedi, in corridoio assieme ad un’amica. Neanche mi vide. Scese a Saint-Michel, dopo aver baciato l’amica. In bocca. Quello sì, un bacio vero.

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