La pioggia comune è tornata
Obliqua e incolore, pallida e anonima,
Flebile cade nella prima sera
Al primo accenno del vero autunno,
La lunga e tarda luce si era lentamente raccolta
Un fuligginoso bosco di nuvoloso cielo, smorzato e distante sempre più
Fino a che, come l’imbrunire, il senso stesso dell’individualità è svanito,
Una debolezza che niente ha arrestato, diminuito o negato o messo da parte
Né il tè né, dopo un’ora, il whisky,
Ghiaccio e poi un piacevole chiarore, un bruciore,
E le prime lingue di fuoco che saltano
Sin da una fredda notte di maggio, troppo tempo fa per non essere
Che un freddo e vivido ricordo.
Lo sguardo fisso, vuoto e senza pensiero
Oltre le nebbie dell’emozione della tristezza immotivata,
All’improvviso tutta la coscienza si è tramutata in spontanea contentezza;
Sapendo senza pensare come la pioggia che cade (fuori, dappertutto)
In una lenta sostenuta costante vibrazione dappertutto all’esterno
Picchiettando sulla finestra, rigando il tetto, scorrendo nel canale di scolo
E risvegliando il senso, ancora una volta, di tutto ciò che viveva fuori da noi,
Al di là dell’emozione, al di là delle gonfie ombre distorte e delle luci
Della città giocattolo e della fiera delle vanità della vigile coscienza!
Delmore Schwartz, The First Night of Fall and Falling Rain
Tutte le volte che viene a piovere, quel suono schiude alla figura di un desiderio sublimato dalla distanza. Il retrogusto del passato, particolarmente caro a chi opera un’esplorazione cognitiva del presente, vive di due momenti antitetici: rimozione e ricordo. Il primo è figlio di una distorsione, il secondo di una nostalgia che si stempera in una gnosi perduta.
Bellissima la fotografia e bellissima la chiusura. La poesia, nel mezzo, non mi dice nulla.
(buonasera)
Posto che la letteratura e ogni forma d’arte restano una questione di gusti di chi ne fruisce, o si guarda bene dal farlo, mi chiedo e ti chiedo: sono più le persone meritevoli ad arrivare al successo o quelle mediocri?
Eheh, bella domanda o, meglio, bella provocazione.
Sicuramente sono di più quelle mediocri ma, fra quelle mediocri, tante sarebbero ben più meritevoli del successo che, invece, altrettanti mediocri hanno ottenuto.
Quindi, andando di nuovo a capo, non sarebbe meglio dire che la letteratura come ogni forma d’arte sono concetti astratti, mentre è proprio il successo una questione di gusti di chi ne fruisce e, quindi, la mediocrità appartiene tanto al giudicato quanto al giudice?
Per concludere in bellezza, se il giudice è il primo responsabile del successo del mediocre non è forse vero che la meritocrazia è ben più astratta dell’arte?
Buon appetito :))
Assolutamente sì, la meritocrazia è aleatoria perché non esistono parametri a definirla. I critici sono persone e come tali fallaci, aggiungi pure che molti di loro sono prezzolati o magari non vogliono fare un torto a qualcuno del settore e il gioco è fatto. Certo, qualcuno super partes c’è e meno male dico io. Buon appetito anche a te ma presumo tu abbia già esperito 🙂