e tutto questo è…

Scrivo per te parole senza diminutivi
senza nappe né nastri, Chiara.
Resto un uomo di montagna,
aperto alle ferite,
mi piace quando l’azzurro e le pietre si tengono
il suono dei “sì” pronunciati senza condizione,
dei “no” senza margini di dubbio;
penso che le parole rincorrano il silenzio
e che nel tuo odore di stagione buona
nel tuo sguardo piú liscio dei sassi di fiume
esploda l’enigma del “sí” assordante che sei.

Scriverti è facile; e se potessi verserei
la conoscenza tutta intera delle nuvole
la punteggiatura del cosmo
la forza dei sette mari, i sette mari in te
nel bicchiere dei tuoi giorni incorrotti.

Ma non sono che un uomo, e quest’uomo
ti scrive da un tavolo ingombro
e piove, oggi, e anche la pioggia ha le sue beatitudini
sulla casa dalle grondaie rotte
quando quest’uomo ti pensa e fra tutte le parole da scegliere
non sa che l’inciampo nel dire come si resta
e come si preme
nel mistero del giorno nuovo in te
che prima non c’era
adesso c’è.

Pierluigi Cappello, Lettera per una nascita

… poesia

e tutto questo è…ultima modifica: 2024-12-11T16:19:21+01:00da hyponoia

8 pensieri riguardo “e tutto questo è…”

  1. Bellissima o tanto bella da incuriosirmi al punto da cercare su wiki qualcosa sull’autore.
    C’è poco da fare, il dolore è sempre gravido di poesia. Altro motivo per il quale l’umorismo non può mai essere letteratura. Il verso che più mi ha fatto pensare è “penso che le parole rincorrano il silenzio”.
    Ci si potrebbe scrivere un libro intero sul rapporto conflittuale fra le parole ed il silenzio e, forse, nemmeno se ne verrebbe a capo. Diciamo che, apparentemente, il silenzio l’avrebbe avuta vinta sulle parole e, quindi, dal conflitto ne uscirebbe vincitore. A mio avviso, invece, perdono entrambi o, meglio, quella del silenzio è sempre una vittoria di cui non può gioire.

  2. “o, meglio, quella del silenzio è sempre una vittoria di cui non può gioire.” e lo dici a me? :))
    Scherzi a parte, più passa il tempo più mi convinco che il silenzio sia un alleato…però, un però c’è: malgrado non sia molto interessata a parlare, quando mi capita di conversare con una persona che mi capisce e che mi accetta per quello che sono, è un miracolo a cui non riesco ancora a rinunciare.
    Per quanto riguarda la poesia sono stati questi versi a gridarmi l’altolà “il suono dei “sì” pronunciati senza condizione,
    dei “no” senza margini di dubbio;”. Con la loro dolce perentorietà dicono del segreto forse più grande di una relazione duratura, ma ho trovato significativo, e invidiabile, anche questo “l’enigma del “sí” assordante che sei.”
    Ok, a quanto pare questa poesia ha molto da dire, ma ora di’ tu una cosa a me: tutto bene?

    1. Infatti.
      Il fatto è che tutti i problemi avrebbero una soluzione se conoscessimo le cause di ciascuno di essi. Purtroppo però non è così e, quindi, per quelli di cui non conosciamo ancora le cause, non abbiamo la soluzione e, questi, almeno per evitare di fare di tutta l’erba un fascio ed avere un minimo sindacale d’onestà e più rispetto del dolore, non dovremmo chiamarli “problemi” ma drammi.

      Appunto, onestà vorrebbe che avessimo più rispetto e anche più intelligenza nel linguaggio. Passando ad altri tipi di problemi, ad esempio, sicuramente l’immigrazione chiamata “clandestina” può definirsi un problema ma non un dramma perché se ne conoscono le cause vere ovvero fuga da guerre, fame e persecuzioni. Cause che, sempre in termini di linguaggio, definiscono il problema in immigrazione “clandestina” piuttosto che immigrazione “disperata”. Del resto, sempre in termine di linguaggio, “clandestino” è colui che viaggia abusivamente e senza biglietto, mentre questi il biglietto lo pagano e profumatamente.
      Questo, fra l’altro, è un problema che fa eccezione rispetto a quanto ho detto perché, malgrado se ne conoscono le cause, si trasforma sempre di più in dramma perché, a dispetto della Storia, stavolta sono gli indigeni a scacciare i “clandestini”.
      Quelli che quando eravamo noi occidentali i “clandestini” e non certo per fuggire dalle guerre o dalle persecuzioni, ma per fame e sete di ricchezze altrui, sbarcavano e compivamo le peggiori porcherie, violenze, atrocità e genocidi (indiani d’America, mahori, atzechi, razzie di schiavi in Africa e così via)…
      … A proposito di porcherie, la più bella definizione di libertà è proprio quella coniata da noi occidentali: “La tua libertà finisce dove inizia la mia”… eheh.

  3. Bon après-midi mon sieur (scritto proprio così), a proposito di quell’ “onestà vorrebbe che avessimo più rispetto e anche più intelligenza nel linguaggio”, duole riconoscere che la nostra bellissima lingua possiede almeno un verbo, un sostantivo, un aggettivo per ogni sfumatura di significato, però vuoi mettere? meglio scorporare, livellare, ridurre ai minimi termini una questione fino a banalizzarla piuttosto che intraprendere la strada opposta – esaminare, cavillare, sviscerare – perché implicherebbe troppa fatica e chi se ne frega finché l’argomento non ci tocca.

  4. “duole riconoscere che la nostra bellissima lingua possiede almeno un verbo, un sostantivo, un aggettivo per ogni sfumatura di significato”

    A Napoli diciamo “ann’ mise ‘a carta ‘e museca ‘mmano ‘o barbiere” (hanno messo lo spartito in mano al barbiere) ovvero, in questo caso, lo spartito è la nostra bellissima lingua ed il barbiere siamo noi, quelli che non avendone padronanza ne facciamo strage. Esclusi ovviamente quei pochi che non solo non sbagliano un aggettivo, ma hanno il dono di scegliere sempre quello che s’incastra alla perfezione. Questi, infatti, oltre a non essere barbieri, non sono nemmeno coiffeur, ma veri e propri hairstylist, tipo questo qua:https://www.linkiesta.it/2018/01/il-piu-grande-parrucchiere-al-mondo-e-russo-e-lo-trovi-su-instagram/
    Bon après-après-midi 🙂

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