Finché morte non ci separi

Il bacio di Doisneau e le altre opere | Robert Doisneau

Robert Doisneau, Bacio all’Hotel de Ville, Parigi, 1950

Siamo messi così male quanto a emozioni che, se solo fossimo sufficientemente onesti, dopo un accurato esame di coscienza dovremmo dare di noi stessi la definizione di analfabeti sentimentali, e magari rinunciare, per non incorrere in ulteriori errori marchiani, alla formula del “finché morte non ci separi“. Purtroppo, com’è noto a chiunque abbia del sangue che scorre nelle vene, pur chiamando a raccolta tutte le nostre forze, l’abiura resterebbe una pia illusione perché una volta esperita la reazione fisiologica all’innamoramento, che peraltro si manifesta precocemente, l’idea della rinuncia definitiva alle farfalle nello stomaco diventa intollerabile.

Ecco spiegato il motivo per il quale la foto di Doisneau resta un caposaldo del nostro immaginario amoroso, ancora in grado, a 72 anni di distanza, di affascinare chi la osserva, perfino, o forse soprattutto, nel caso in cui l’incauto/a abbia alle spalle una serialità di amori finiti in malo modo. In quest’ottica non è peregrino immaginare che i più versati si spingano oltre la mera contemplazione, provando a dare tridimensionalità agli innamorati di Doisneau. Come nel racconto che segue e che narra di un bacio vissuto in maniera diametralmente opposta. Viene meno il romanticismo che tanti hanno scorto in questo scatto, ma a mio parere non la suggestione di credere ancora nell’amore.

Lei:

Un bacio può essere l’inizio, un durante o la fine ed io sapevo che dopo quel bacio non l’avrei rivisto più. O meglio, non lo sapevo, ma lo temevo. Anche se dentro di me speravo di sbagliarmi. Dopo che il tempo aveva fatto il suo lavoro, come lo fa con tutto – dolori, gioie, ricordi e sentimenti compresi – un po’ ingiallendola, un po’ consumandola nei bordi, riguardando quella foto che aveva fatto il giro del mondo, capii quanta fretta ci fosse in quel bacio.
Non il meraviglioso “ho fretta di te” che solo Claude mi diceva nei momenti e nei luoghi più impensabili e solo per una di quelle mie espressioni o risate che adorava. Quel Claude che non è stato il mio amore più grande, ma quello che mi ha fatta sentire amata come, poi, nessun altro.
Quel “ho fretta di te”, quando l’amore è totale ed ha urgenza dei tuoi occhi, delle tue labbra, della tua lingua, delle tue mani, dei tuoi capelli, del tuo corpo, dei tuoi capezzoli, del tuo respiro, del tuo sesso.
Di te. Ed ogni volta, un lago.
Quel “ho fretta di te” che, dopo Claude, nessuno mi ha mai più detto. Acqua passata.
Riguardandola, in quel bacio invece c’era tutt’altra fretta, e per la prima volta, allargando lo sguardo su quelli che possono sembrare dettagli, ebbi la conferma che il mio timore era solo il disperato tentativo di aggrapparmi alla speranza perché il futuro era tutto scritto nelle mani. La mia mano destra già si era arresa nel braccio abbandonato sul fianco mentre la sua mano sinistra ed il suo braccio, piuttosto che venirmi incontro, avevano fretta d’andare altrove“.

Lui:

Erano passati anni, quando mi ricapitò di guardare quella foto che, intanto, era diventata un capolavoro fotografico. Nel guardarla mi tornò in mente che già subito dopo l’ultimo di quei ben 19 ciak, sapevo che dopo quel bacio non l’avrei più rivista. Certo, se per Doisneau, quello era un lavoro, lo era anche per lei e per me, e lui ci aveva chiesto solo di far finta di crederci in quel bacio e io, non ricordo di preciso se dopo il quinto o il sesto, cominciai a crederci davvero. Era anche vero che non mi capitasse spesso di baciare la stessa donna cinque o sei volte nel giro di meno di un’ora. Insomma, quando poi arrivi all’ottavo o nono bacio, non dico che te ne innamori, ma almeno un poco poco ti lasci pure andare. Lei invece, niente. Più si andava avanti con i ciak e più capivo che per lei era solo un lavoro. Nessuna partecipazione emotiva. Come una donna che suonava il piano mostrando la padronanza fra dita e tasti, ma solo tecnica. Quei baci erano note senza emozione.
Oltre a crederci, Doisneau ci aveva anche detto: “Se volete metterci la lingua siete liberi di farlo”, ma io neanche ci provai.
Come ho detto, dopo quella volta, non la rividi più, tranne una volta. Un’ultima volta. Quasi un mese dopo. Ero seduto in metro e lei era in piedi, in corridoio assieme ad un’amica. Neanche mi vide. Scese a Saint-Michel, dopo aver baciato l’amica. In bocca. Quello sì, un bacio vero“.

I virgolettati sono di Arienpassant