Costellazioni del crepuscolo (venate di follia)

Sulla lastra tombale ho installato una lampada votiva e un portaritratti, per il momento c’è soltanto la fotografia della bambina in abiti da ballerina, ma presto verrà il turno della vecchia. Riposeranno in pace, Marianna è là sotto che aspetta, non fa che attendere la nonna.

Che brutta fine prevedo per i Pallavicino… Non meritano di meglio, hanno tentato in mille modi di innalzare quel titoluccio che il generale aveva sgraffignato cinquant’anni fa. Per essersi distinto in Africa eliminando col gas tonnellate di negri – voleva ripulire il continente nero e farlo sembrare più bianco! – a mio suocero regalarono il titolo di conte e questa tenuta sul lago, dove si ritirò a consumare i suoi giorni di conte campagnolo.

In realtà i Pallavicino sono sempre stati dei palloni gonfiati; diversamente da me che porto il nome di Carafa, loro non possono vantare nessun nobile di rango. Agli altri la raccontano grossa, io però non ci casco, le loro fandonie non le ho mai bevute. Che aristocratici sono se perfino i funerali di Marianna sono stati un fallimento? Ma quali nobili, dov’era la nobiltà quel giorno?

La verità è che dietro alla bara di mia figlia sfilarono degli attori. Un’intera compagnia di vecchi guitti travestiti da nobili, con i costumi, le parrucche e tutto il resto, gente con la quale mia suocera aveva recitato in gioventù.

Provenivano da Bologna, mi sembra, da una casa di riposo per artisti caduti in miseria, ed ebbero l’impudenza di presentarsi a palazzo con il pullman di un’orchestra romagnola.

La gente ha creduto di assistere a una sfilata di nobili, ma ancora una volta la gente di questo paese è stata presa in giro dai Pallavicino. I quali hanno organizzato così bene la commedia che i nostri paesani non si sono mai resi conto di aver scambiato una compagnia di attori per una rappresentanza di nobili del Lombardo Veneto.

Ingordo di pettegolezzi aristocratici, il popolo si è bevuto d’un fiato quel funerale da burletta, ben felice di ingurgitare quintali di belle époque fasulla. Chi si era travestito da granduca, chi da baronessa, tutti hanno recitato in maniera superba, parevano appena usciti da un casinò della Costa Azzurra. In onore di mia suocera che li aveva noleggiati, quei pagliacci diedero il meglio di sé; fu in assoluto la loro pièce più riuscita e nessuno si accorse di nulla. Ancora oggi il sindaco e le altre autorità locali sono convinte di aver baciato la mano a dei nobili di sangue reale“.

Francesco Permunian, Costellazioni del crepuscolo

Dall’alto della sua follia, certificata dagli anni trascorsi in manicomio da cui è uscito non del tutto risanato – che la follia attiene all’imponderabile – Francesco Permunian, avversatore di codici e sistemi ai quali oppone un ritiro scontroso e ombroso, a proposito della sua scrittura ha detto:

Vivo di divagazioni e di cornici. Non me ne frega niente delle scuole di scrittura che proliferano come foruncoli assai fastidiosi sul viso ormai invecchiato di questa signora che chiamiamo letteratura. L’arte della divagazione l’ho appresa leggendo e rileggendo lo Zibaldone, lì c’è tutto e tutto parte da lì: Landolfi, Savino, Manganelli, Ceronetti, in modi diversi, sono stati partoriti dal ventre leopardiano“.

L’ho sempre detto anch’io, dal basso della mia ignoranza: l’arte della scrittura la impari leggendo. A costo zero, o quasi.

Intervista postmoderna a Francesco Permunian - Lettera Zero - Nuova Serie