L’animale che mi porto dentro

L’animale che mi porto dentro racconta, con molte divagazioni e continui scartamenti fra narrazione e ragionamento, una serie di intimi e radicati istinti maschili. Quelli che ci portano a guardare negli occhi una ragazza, discutere con lei di Heidegger, fingere di ascoltare la sua interpretazione di Essere e tempo e in realtà interrogarci sull’esatta forma delle sue tette, se lasciate libere. Sono tutti così, i maschi? No, hanno detto molti maschi dopo aver letto il libro. Solo Philip Roth e Francesco Piccolo, hanno detto altri. Speriamo di no/Temiamo di sì hanno pensato molte donne, alcune dicendolo apertamente.

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L’animale che mi porto dentro non è un libro carino. Non è un libro che conferma il lettore nelle opinioni che già possiede. Non è un libro di quelli che dopo aver concluso la lettura scompaiono dalla memoria, che si confondono e sovrappongono  ad altri. Questo è un libro inconfondibile e indimenticabile. Dove indimenticabile è un aggettivo impegnativo ma anche neutro: indimenticabile nel bene e nel male.

Il fatto stesso che siamo qui a parlarne parecchi mesi dopo l’uscita significa che è discutibile, altro aggettivo da adoperare in maniera neutra: che merita di essere discusso. Non è infrequente imbattersi in libri del genere, che abbandonano le autostrade del successo per affrontare una strada sterrata, piena di strapiombi da un lato e dall’altro della carreggiata. In un mondo pieno di libri di cui è inutile discutere, ecco un’eccezione felice di per sé: un libro con cui vale la pena anche il non essere d’accordo. Vi pare poco?”.

tratto da un articolo di Roberto Alajmo

“Sono tutti così, i maschi?”, chiede Alajmo. Certo che sono così e generalmente la loro natura è piuttosto manifesta, vuoi per l’incapacità di simulare un guizzo di dignità che vada oltre l’istintualità di bassa lega,  vuoi perché vanno fieri di essere schegge animali. Tuttavia sono innocui. Vi è però una sottospecie della quale bisogna diffidare ed è quella composta da individui trasformati a tal punto dalla propria messinscena da credersi evoluti. Se lo credono loro, lo crederai anche tu.

P.S: Nella foto in alto, che è quella della copertina del libro, la donna di spalle è Moira Orfei che anche così, senza volto, ha un suo perché forse per quell’incedere percepibile nonostante il fermo immagine o forse perché sembra l’incarnazione di Venere; gli uomini invece, che possiamo ammirare fin nel dettaglio delle fattezze somatiche, sembrano un branco di scimmie. A questo punto concludere che il libro in questione abbia solo due pregi, titolo e copertina, non mi pare un azzardo. Sul contenuto c’è poco da dire a meno che non si voglia tornare su ciò che è noto fin dalla notte dei tempi.

Se sto parlando con una collega, con la mamma di un compagno di scuola di mio figlio, con la barista perché vorrei un cappuccino più caldo, con un’amica che mi confida i suoi segreti, riesco a tenere separate la parte complessa e quella semplice […] ma dentro di me, sempre, sia che io lo voglia sia che non lo voglia, sempre, lavora un pensiero che sta sotto tutti questi: me la scoperei, come sarà nuda, però che culo, però che tette, sembra desiderosa, sembra rigida, chissà se le piaccio”.

Francesco Piccolo, L’animale che mi porto dentro